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2 [Il problema dell’estensione dei doveri cautelari nelle attività

plurisoggettive] Trasferendo il discorso in una prospettiva plurisoggettiva, l’adozione

75 Ex multis, D.CASTRONUOVO, La colpa penale, Milano, 2009, p. 27 e ss.

76 Cass. Pen. Sez. IV, 17 novembre 2011, n. 1442, Cappucci e altro, nella cui parte motiva si legge:

«Nell’individuazione della responsabilità medica, appare necessario tenere conto delle categorie teoriche, peraltro strettamente

connesse con aspetti normativi e conoscitivi, da un verso della misura soggettiva della colpa, consistente nella prevedibilità del risultato offensivo e nell’esigibilità della condotta conforme alla regola cautelare, e dall’altro della misura oggettiva della colpa, contrassegnata invece dalla individuazione e violazione della regola cautelare e dalla evitabilità del risultato dannoso. La prevedibilità della colpa viene definita anche come “motivabilità”, considerata questa come l’essenza della colpevolezza. Ovverosia, nel reato colposo la “motivabilità”, cioè l’efficacia potenzialmente motivante per un comportamento conforme al diritto, deve fare sempre riferimento alle “pretese cautelari” provenienti dall’ordinamento mediante la formulazione di regole cautelari: in altre parole, nel reato colposo, la colpevolezza è configurabile nella discrepanza tra il “processo motivazionale reale” del soggetto, che lo ha condotto a compiere il fatto antigiuridico, ed il “processo motivazionale ipotetico” che l’agente modello, in determinate circostanze di fatto, avrebbe potuto compiere in modo conforme alle richieste di liceità dell’ordinamento. Approfondendo ulteriormente l’argomento, va detto che l’elemento della prevedibilità o motivabilità si articola a sua volta nella riconoscibilità del pericolo, e nella conoscibilità della regola cautelare».

In dottrina, S.CANESTRARI, La doppia misura della colpa nella teoria del reato colposo, in Ind. pen., 2012, pp. 21 e ss.;

G.FIANDACA-E.MUSCO, Diritto penale. Parte generale, op. cit., p. 524; S.CANESTRARI-L.CORNACCHIA-G.DE

SIMONE, Manuale di diritto penale, Bologna, 2007, pp. 417 e ss.; F.MANTOVANI, Diritto penale, op. cit., pp. 329 e ss.; C.FIORE-S.FIORE, Diritto penale. Parte generale, Torino, 2008, pp. 238 e ss.; M.ROMANO, art. 43 c.p., in

Commentario sistematico del codice penale, I, op. cit., p. 457 e ss.; T.PADOVANI, Diritto penale, Milano, 2008, pp. 207 e ss.; D.PULITANÒ, Diritto penale, Torino, 2009, pp. 350 e ss.; F.C.PALAZZO, Corso di diritto penale. Parte generale,

Torino, 2008, pp. 324 e ss.; A.CANEPA, L’imputazione soggettiva della colpa. Il reato colposo come punto cruciale nel

rapporto tra illecito e colpevolezza, Torino, 2011; M.GROTTO, Principio di colpevolezza, rimproverabilità soggettiva e colpa

specifica, op. cit., passim; D.CASTRONUOVO, La colpa penale, op. cit., passim.

In giurisprudenza, cfr. Cass. Pen., Sez. IV, 17 maggio 2006, n. 4675, Bartalini, in Cass. Pen., 2009, pp. 2837 e ss., con nota di E.DI SALVO, Esposizione a sostanze nocive, leggi scientifiche e rapporto causale nella pronuncia della

Cassazione sul caso “Porto Marghera”, e in Foro it., 2007, II, c. 563 e ss., con nota di R.GUARINIELLO, Tumori

professionali a Porto Marghera.

77 S.CANESTRARI-L.CORNACCHIA-G.DE SIMONE, Manuale di diritto penale, op. cit., p. 411; definizione riportata

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di una concezione della colpa che valorizza, in sede di tipicità del comportamento penalmente rilevante, la violazione di un dovere obiettivo di diligenza78, impone la

ricerca di criteri per delimitare l’estensione dei doveri cautelari gravanti su ciascun soggetto79.

In astratto, le alternative sono fondamentalmente due: a) ciascuno risponde delle sole violazioni cautelari riferibili all’attività effettivamente svolta; b) ciascuno risponde anche del fatto colposo altrui, nella misura in cui fosse ipotizzabile in concreto la ricorrenza di una norma cautelare che imponeva il controllo e l’eventuale neutralizzazione di quel fattore colposo80. In sostanza, la concezione

normativa della colpa impone, anche in contesti plurisoggettivi, una riflessione sull’estensione del dovere cautelare individuale.

L’alternativa sub a) si radica su una rigida compartimentazione dei ruoli interpretati da ciascuno dei partecipanti ad una attività plurisoggettiva. Ad una previa predeterminazione dell’attività in concreto doverosa per ciascuno corrisponde una netta perimetrazione delle rispettive aree di responsabilità: ciascuno è tenuto a svolgere il proprio ruolo – nei più diversi contesti interattivi che possono darsi nella vita sociale – senza preoccuparsi che altri soggetti con cui interagisca facciano altrettanto, in quanto del fatto lesivo che dovesse derivare da una condotta altrui risponde unicamente colui che ne ha realizzato gli elementi di tipicità, in primis violando la regola cautelare che imponeva un certo modo di agire per scongiurare o ridurre il rischio di verificazione del fatto stesso. In una prospettiva di tal genere, le regole cautelari assumono una fisionomia ben precisa, essendo rivolte a soggetti individuati ed essendo volte ad evitare che da una certa condotta derivi un certo

78 Cfr. E.BELFIORE, Profili penali dell’attività medico-chirurgica in équipe, op. cit., p. 268, il quale evidenza come, nel

settore medico, possano frequentemente verificarsi eventi lesivi della salute del paziente pur nel pieno rispetto delle leges artis da parte del medico. «Soltanto se il medico nel suo intervento ha violato la lex artis, la sua condotta è idonea ad integrare la fattispecie dell’omicidio o delle lesioni personali: il che vuol dire che elemento essenziale per l’esistenza del fatto tipico è, oltre al disvalore dell’evento, anche il disvalore dell’azione».

79 E.BELFIORE, Profili penali dell’attività medico-chirurgica in équipe, op. cit., p. 270: «fintantoché il principio della

divisione del lavoro e la sua rilevanza giuridica in ordine al trattamento medico-chirurgico in équipe non sono stati fatti oggetto di autonoma ed approfondita indagine, dottrina e giurisprudenza hanno avuto gioco facile nel ritenere che i problemi di imputazione posti dal fenomeno in esame andassero risolti in termini meramente psicologici di prevedibilità delle negligenze altrui».

80 G.MARINUCCI-G.MARRUBINI, Profili penalistici, op. cit., 219; C.CANTAGALLI, Brevi cenni sul dovere secondario di

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evento. Un tale modo di argomentare dovrebbe escludere la configurabilità di regole cautelari aventi come funzione il controllo e l’emenda di condotte rischiose altrui: se la funzione del diritto penale è puramente sanzionatoria ed affatto pedagogica, questo scopo è raggiunto attraverso l’individuazione di precise aree di responsabilità, come conseguenza del previo riparto delle competenze fra i vari soggetti che interagiscono fra loro. Solo in un diritto penale solidaristico, improntato non solo alla stigmatizzazione di comportamenti antidoverosi ma anche alla promozione positiva di valori sarebbe concepibile la vigenza di regole cautelari specificamente volte al controllo dell’attività altrui.

Secondo l’impostazione sub b) invece ciascuno ben potrebbe rispondere di un fatto realizzato materialmente da altro cooperatore nell’attività plurisoggettiva. Ciò suppone una più ampia estensione del dovere di diligenza rispetto alla soluzione prospettata in precedenza. Ciascuno, nell’interagire con altri soggetti, dovrebbe badare a disimpegnare correttamente le proprie incombenze e verificare che anche i soggetti con cui coopera facciano altrettanto: il rischio che si verifichi un evento lesivo come conseguenza della condotta altrui è prevedibile – non controllando la correttezza dell’operato altrui – ed evitabile – controllandola – per cui il fatto deve essere ascritto anche al soggetto che abbia violato tale dovere cautelare. L’adozione di una tale soluzione porrebbe al centro del sistema penale la massima tutela dei beni giuridici, sotto forma di estensione dell’area di rilevanza penale dei comportamenti dei cooperatori. Tuttavia si dimostra impraticabile, in concreto, nella sua assolutezza. Una estensione dei doveri cautelari tanto ampia da ricomprendere, senza eccezioni, l’obbligo di controllare e correggere attivamente la condotta altrui impedirebbe, di fatto, l’esercizio di qualsiasi attività che contempli un’interazione umana anche minimale: ciascuno dovrebbe svolgere correttamente i propri compiti ed anche verificare costantemente, dietro minaccia di pena, la correttezza dell’operato altrui. Si finirebbe, in tal modo – oltre che comprimere gravemente la libertà personale di ciascun compartecipe ad un’attività plurisoggettiva – per avallare un sistema di rapporti reciproci fra cooperatori improntato ad una «metodica

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sfiducia»81: per non incorre in un addebito di responsabilità, ogni partecipante ad

una attività plurisoggettiva, pur organizzata secondo il metodo della divisione del lavoro, dovrebbe costantemente verificare che nessuno dei cooperatori venga meno ai propri doveri.

È evidente che, per opposte ragioni, entrambe le soluzioni prospettate in astratto devono essere rigettate. Ed allora il tema dell’individuazione della responsabilità penale in contesti interattivi e quello della sua estensione può essere risolto solo attraverso un’opera di mediazione assiologica e dogmatica. È necessario trovare un compromesso fra diverse esigenze: la piena affermazione del principio di personalità della responsabilità penale che, in una prima accezione minimale, impone il divieto di ipotesi di responsabilità per fatto altrui82; la necessità di

permettere lo svolgimento plurisoggettivo di attività rischiose giuridicamente autorizzate perché socialmente utili; l’esigenza di non gravare ogni cooperatore di un “carico” cautelare eccessivamente oneroso.

La risposta fornita a questo complesso quesito è costituita dall’applicazione del principio di affidamento, in base al quale un soggetto, chiamato ad interagire con altri nello svolgimento di un’attività che contempla diversi obblighi divisi fra i vari cooperatori, può e deve potere confidare sul fatto che questi rispetteranno le regole cautelari che disciplinano la specifica mansione che sono chiamati ad espletare, potendo quindi ciascuno legittimamente omettere di controllare costantemente la conformità a diligenza dell’operato altrui; in breve, ciascuno può fare affidamento sul corretto adempimento da parte di tutti dei rispettivi compiti83.

L’analisi del principio richiede di soffermarsi sulla sua genesi, sul suo fondamento normativo, sulla sua funzione – pratica e dogmatica –, sui suoi limiti.

81 G.MARINUCCI-G.MARRUBINI, Profili penalistici, op. cit., 219.

82 Cfr. P.NUVOLONE, Le leggi penali e la Costituzione, op. cit., p. 34; A.ALESSANDRI, Art. 27, primo comma, in G.

BRANCA-A.PIZZORUSSO (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1991, p. 16; L.CORNACCHIA,

Concorso di colpe e principio di responsabilità penale per fatto proprio, op. cit., passim; M.DONINI, Imputazione oggettiva

dell’evento. «Nesso di rischio» e responsabilità per fatto proprio, Torino, 2006. Nella manualistica, S.CANESTRARI-L.

CORNACCHIA-G.DE SIMONE, Manuale di diritto penale. Parte generale, op. cit., pp. 173 e ss.

83 Cfr. M.MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., passim; ID., Sui limiti del principio

di affidamento, op. cit., pp. 1195 e ss.; ID., Alcune puntualizzazioni sul principio di affidamento, op. cit., pp. 1051 e ss.; ID., Il caso Senna fra contestazione della colpa e principio di affidamento, op. cit., pp. 153 e ss.; F.MANTOVANI, Il

principio di affidamento nel diritto penale, op. cit., p. 536; G.MARINUCCI-G.MARRUBINI, Profili penalistici del lavoro

medico-chirurgico in équipe, op. cit., pp. 217 e ss.; E.BELFIORE, Profili penali dell’attività medico-chirurgica in équipe, op.

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III. 3. [Genesi del principio di affidamento] Recentemente la dottrina84 ha

approfondito il tema in questione, rispetto alla prima applicazione che ne fu fatta in Italia85, limitatamente al settore medico-chirurgico.

La prima utilizzazione del principio in parola fu operata dalla dottrina tedesca nel settore del traffico stradale, precisamente da Hermann Gülde, autore che tanto nel periodo del nazionalsocialismo quanto in epoca successiva si occupò dei problemi attinenti allo specifico tema della circolazione stradale. Egli fu il primo a domandarsi se «il singolo partecipante al traffico stradale [...] debba costantemente mettere in conto – il che non può non riverberarsi sul quantum di diligenza che gli viene richiesta – che gli altri partecipanti si comportino in modo inavveduto, irragionevole, o comunque contrario alle regole del traffico»86. Il Gülde, avversando

l’orientamento giurisprudenziale allora dominante, rispose al quesito negativamente. La sua impostazione fu senz’altro debitrice rispetto alla concezione che dello Stato si aveva in epoca nazionalsocialista: si dovrebbe presumere che ogni membro della collettività adempirà agli specifici doveri di cui è destinatario perché se si sostenesse il contrario si ammettere l’ineffettività dell’ordinamento statale, giacché si dovrebbe postulare come comportamento paradigmatico di ogni consociato non l’osservanza ma la trasgressione delle regole.

Inoltre, ritenere che qualunque partecipante al traffico stradale debba orientare il proprio comportamento in funzione dell’altrui prevedibile (anzi, normale) trasgressione cautelare finirebbe per privilegiare irragionevolmente proprio il trasgressore, il quale potrebbe legittimamente presumere che il comportamento degli altri soggetti con cui si trova ad interagire “compenserà” la propria inosservanza. In tal senso, dunque, il principio di affidamento assume una connotazione pedagogica: l’osservanza delle regole cautelari di condotta è doverosa (anche) in quanto l’ordinamento non tutela l’affidamento sul fatto che altri,

84 Nella letteratura medico-legale, cfr., in particolare, V.FINESCHI-P.FRATI-C.POMARA, I principi dell’autonomia

vincolata, dell’autonomia limitata e dell’affidamento nella definizione della responsabilità medica, in Riv. It. Med. Leg., 2001,

pp. 261 e ss.

85 G.MARINUCCI-G.MARRUBINI, Profili penalistici del lavoro medico-chirurgico in équipe, op. cit., pp. 217 e ss. 86 Il riferimento al Gülde è contenuto in M.MANTOVANI,Il principio dell’affidamento nella teoria del reato colposo, op.

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adeguando il proprio comportamento, annulleranno gli effetti negativi derivanti dalla propria negligenza.

Già secondo questa prima teorizzazione, il principio di affidamento non deve essere concepito in termini assoluti, ma incontra uno specifico limite: viene meno quando l’altrui inosservanza sia riconoscibile, con conseguente obbligo di modificare la propria condotta in modo da contenere il rischio innescato dal soggetto che versa in colpa87.

Anche relativamente alla funzione del principio di affidamento, questa prima riflessione della dottrina tedesca fu particolarmente feconda, in quanto non mancò di evidenziare che permettere di presupporre la correttezza dell’operato altrui consente a ciascun operatore di concentrarsi meglio sui compiti che gravano su di lui. In tal modo, più in generale, si traccia la strada per un utilizzo del principio di affidamento in ogni contesto in cui la tutela di un determinato bene giuridico è ripartita fra più soggetti. L’adozione dell’affidamento come regola di distribuzione del carico cautelare fra più soggetti sottende un’opzione a favore di una tutela del bene giuridico dipendente dal corretto adempimento da parte di ciascuno dei propri compiti, piuttosto che da un controllo diffuso lasciato alla totalità dei soggetti coinvolti88. In sintesi, il principio di affidamento permette a ciascuno di prestare la

massima diligenza nell’esercizio dei propri compiti; non dovendo di regola controllare che gli altri facciano altrettanto, ne deriva una maggiore sicurezza complessiva dell’attività plurisoggettiva svolta (le considerazioni, lo ricordiamo, erano state compiute con riferimento alla circolazione stradale).

Il riconoscimento definitivo dell’affidamento è avvenuto ad opera di una sentenza del Bundesgerichtshof tedesco89 che decise una fattispecie riguardante il diritto

87 M.MANTOVANI,Il principio dell’affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., p. 14.

88 M. MANTOVANI, Il principio dell’affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., p. 27. L’Autore sottolinea,

peraltro, come la concezione del principio proposta dal Gülde parta da una concezione della colpa intesa in senso psicologico e dunque, nonostante il linguaggio utilizzato possa far ritenere il contrario, tale teorica non può considerarsi anticipatrice della teoria della tipicità soggettiva proposta con successo dal Welzel, secondo cui la colpa e il dolo – e dunque anche il principio di affidamento – hanno rilevanza già in sede di tipicità, oltre che nell’ambito della colpevolezza.

89 Del 12/07/1954, BGH 7, 118, approfonditamente analizzata da M.MANTOVANI,Il principio dell’affidamento

nella teoria del reato colposo, op. cit., pp. 42 e ss., il quale evidenzia come, anteriormente a tale revirement

giurisprudenziale, in costanza di una concezione della colpa in senso puramente psicologico, la giurisprudenza tedesca affermatasi in tema di circolazione stradale ritenesse che potesse invocare il principio di affidamento il soggetto – osservante le regole di diligenza su di lui gravanti, il quale percepisca visivamente un altro utente

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di precedenza dell’automobilista. A differenza del consolidato orientamento precedente – secondo il quale l’affidamento sul corretto comportamento altrui poteva essere invocato solo se tali altri soggetti con cui si interagisce fossero visibili, e quindi potesse constatarsi in modo concreto l’assenza di segnali del pericolo di una loro inosservanza cautelare – questa storica pronuncia ribaltò i termini del discorso. Se il titolare del diritto di precedenza dovesse sempre modulare la propria velocità, in prossimità di un’intersezione stradale, semplicemente per l’astratta prevedibilità che un altro utente della strada, non visibile – quindi, del quale non sia possibile previamente valutare l’affidabilità – non ottemperi all’obbligo di concedere precedenza, ciò equivarrebbe a svuotare di significato la norma attributiva dello stesso diritto di precedenza90. È invece doveroso affermare la vigenza, nella

fattispecie, del principio di affidamento perché la sua regolare non vigenza sarebbe disfunzionale rispetto alle esigenze di speditezza del traffico.

In tal modo la giurisprudenza tedesca ha posto un legame stretto fra affidamento e finalità che esso intende perseguire nel concreto (nel caso di specie, la fluidità del traffico stradale): si tratta di attività intrinsecamente pericolosa, nondimeno autorizzata se svolta entro i limiti segnati dalle regole cautelari, la cui osservanza è lecito aspettarsi da parte di tutti i partecipanti al traffico. Il principio di affidamento, contribuendo a precisare l’entità delle cautele doverose per ciascuno, svolge la stessa funzione del concetto di “rischio consentito”, cioè quella di perimetrare l’area della tipicità colposa. Questo modo di procedere ha spinto i commentatori successivi91 ad inquadrare il principio in esame nell’ambito del rischio

consentito, come un corollario dello stesso. In altre parole, contribuendo a definire l’area dei doveri cautelari che disciplinano un’attività rischiosa ma giuridicamente autorizzata – come, appunto, la circolazione stradale –, contribuisce a precisare i

della strada. In tal modo, l’utente della strada diligente ha la possibilità di verificare concretamente se sia possibile riporre affidamento o meno nella condotta dell’altro utente con cui si trovi occasionalmente a interagire. In definitiva, l’affidamento del soggetto diligente nel corretto comportamento altrui non è di per sé tutelato; è altresì necessario che la correttezza del comportamento altrui fosse prevedibile sulla base di un’osservazione diretta, in modo che sia possibile affermare che l’evento infausto derivante dalla condotta del soggetto che appariva diligente fosse imprevedibile.

90 M.MANTOVANI, Il principio dell’affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., p. 44.

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limiti del c.d. “rischio consentito”, oltre i quali sorge responsabilità penale per l’evento lesivo occorso.

È da evidenziare come questa soluzione interpretativa abbia comunque destato perplessità. Immanente all’applicazione dell’affidamento è un bilanciamento fra interessi confliggenti: nel caso della circolazione stradale, la speditezza del traffico e la salvaguardia della salute degli automobilisti. Ebbene, il principio dell’affidamento, inteso nel modo accolto dalla Corte Suprema tedesca, è parso “disumano” e “antisolidaristico” in quanto, espungendo dai doveri cautelari di ogni automobilista quello di adeguare la propria condotta alla potenziale inosservanza dei propri obblighi da parte di altro automobilista, tenderebbe a privilegiare le ragioni del traffico rispetto a quelle della sicurezza92.

Oltralpe, il principio dell’affidamento conosceva una rapida espansione anche oltre il settore della circolazione stradale, incluso quello della medicina in

équipe; in Italia vi furono, al contrario delle resistenze nel settore stradale ma una

rapida diffusione del principio ha caratterizzato il settore medico-chirurgico. Ciò non sorprende, per diverse ragioni.

Anzitutto, nel settore della medicina d’équipe non vi sono ostacoli normativi alla piena assimilazione ed applicazione del principio, come invece accade nel settore della circolazione stradale per effetto degli artt. 14093, 141, comma 394 e, con

riferimento al diritto di precedenza, l’art. 145 del D. Lgs. n. 285/199295.

92 D.CASTRONUOVO-L.RAMPONI, Dolo e colpa nel trattamento medico-sanitario, op. cit., p. 987.

93 Art. 140, comma 1, D. Lgs. n. 285/1992: «Gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo

o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale».

94 Art. 141, comma 3, D. Lgs. n. 285/1992: «In particolare, il conducente deve regolare la velocità nei tratti di strada a

visibilità limitata, nelle curve, in prossimità delle intersezioni e delle scuole o di altri luoghi frequentati da fanciulli indicati negli appostiti segnali, nelle forti discese, nei passaggi stretti o ingombrati, nelle ore notturne, nei casi di insufficiente visibilità per condizioni atmosferiche o per altre cause, nell’attraversamento degli abitati o comunque nei tratti di strada fiancheggiati da

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