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L’ ATTUALE DISCIPLINA CIVILISTICA

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA TITOLO TESI (pagine 23-26)

L’inadempimento produce delle conseguenze importanti a carico del debitore, che secondo l’art. 1218 c.c. è tenuto a risarcire il danno cagionato. Quest’ultimo si atteggia in maniera particolare nelle obbligazioni che hanno ad oggetto una somma di denaro, che è il bene fungibile per eccellenza.

ritardo qualificato a seguito della costituzione in mora. Ciò tanto nelle obbligazioni di dare, quanto nel sottoinsieme delle obbligazioni pecuniarie, per le quali la semplice lettura dell’art. 1224 c.c. non sembra giustificare l’impossibilità di ammettere concettualmente il ristoro del danno subito per l’altrui inadempimento in mancanza di un atto di costituzione in mora formale.

33 Sempre M.GIORGIANNI, L’inadempimento, cit., 161, ripreso anche da B. INZITARI, La moneta, cit., 209-212, il quale contesta alla dottrina maggioritaria che per la produzione degli interessi moratori sia necessaria una formale costituzione in mora; il predetto onere del creditore nei confronti del debitore è visto come un retaggio della codificazione ottocentesca legata alla distinzione tra obbligazioni civili e commerciali, laddove per le prime era più avvertito il principio ispiratore del favor debitoris.

34 In questo senso, O.T. SCOZZAFAVA, Gli interessi dei capitali, cit., 83-84, che muove dalla considerazione secondo cui sarebbe estremamente difficoltoso immaginare una situazione nella quale si abbia un debito liquido ed esigibile, ma allo stesso tempo il debitore non sia costituito in mora, per via del combinato disposto tra l’art. 1219, n. 3 c.c. – che consacra il principio dies interpellat pro homine – e l’art. 1182, co. 3 c.c., secondo cui l’obbligazione dev’essere adempiuta presso il domicilio del creditore. Per la costituzione in mora a seguito del semplice ritardo anche B. INZITARI, Delle obbligazioni pecuniarie artt. 1277 – 1284, cit., 283.

Invero, secondo l’art. 1224 c.c., dal momento della mora sono dovuti gli interessi (moratori) nella misura degli interessi legali, anche se non erano dovuti in precedenza interessi, salva la prova del maggior danno.

La ratio è sempre riconducibile al principio di normale produttività del denaro:

il creditore che non riceve la somma dovuta sopporta infatti un pregiudizio, di cui si presume iuris et de iure il valore minimo.

Anche in accordo con altre esperienze giuridiche, il legislatore ha ritento che la mancata restituzione di una somma di somma di denaro, ovvero il mancato pagamento, fosse comunque idoneo a ingenerare un danno. Con ciò derogando al principio generale per cui l’onere della prova grava su chi vuole far valere le proprie ragioni (cfr. art. 2697 c.c.).

Nelle obbligazioni pecuniarie, infatti, il creditore insoddisfatto è esonerato da tale probatio, perché soccorre la valutazione dell’ordinamento circa la meritevolezza e la fondatezza della sua pretesa.

Sempre a mente dell’art. 1224 c.c., se prima della mora erano dovuti interessi convenzionali ad un tasso maggiore, la mora è dovuta in quella misura, poiché, se così non fosse, il debitore sarebbe incentivato a non adempiere, dato che gli interessi moratori sarebbero inferiori a quelli eventualmente dovuti a titolo di corrispettivo.

Come è stato notato “concorre in tal caso, col principio della responsabilità obbiettiva dovuta all’inadempimento, il principio in virtù del quale la condotta colpevole del debitore non deve tramutarsi in una sua utilità ed in danno del creditore”.35

D’altronde, l’equiparazione del saggio degli interessi corrispettivi e moratori risponde a un dato logico ancor prima che giuridico: se la messa a disposizione del denaro era valutata tot, il danno subito dal creditore insoddisfatto non può certamente essere inferiore rispetto a tale misura.36

Questa presunzione legale circa il quantum del danno può essere superata in eccesso qualora il creditore dimostri di aver subito un pregiudizio ulteriore, a meno che non fosse stata pattuita la misura degli interessi moratori. In questo caso le parti hanno già predeterminano l’ammontare del risarcimento relativo all’inadempimento dell’obbligazione ed è pertanto preclusa una prova contraria.

35 Così A.TRIPODI, Mutuo – Interessi – Usura, Piacenza, 1957, 90.

36 Il ragionamento è svolto in maniera puntuale da O.T.SCOZZAFAVA, Gli interessi dei capitali, cit., 195.

L’espressa previsione degli interessi moratori preclude la prova del maggior danno, in un’ottica di semplificazione e agevolazione processuale.

Peraltro, la dottrina ha enucleato almeno due ipotesi in cui sarebbe invece ammissibile la prova contraria. La prima potrebbe configurarsi in caso di dolo o colpa grave del debitore ai sensi dell’art. 1229 c.c., norma che sancisce la nullità testuale di pattuizioni volte a limitare preventivamente la responsabilità del debitore.37 In senso contrario, è possibile tuttavia osservare che nell’ipotesi di cui all’art. 1224 c.c., la limitazione di responsabilità deriverebbe direttamente dalla legge e non da una convenzione tra privati, dimodoché il giudizio di disvalore è già risolto a monte da parte del legislatore.

Un’altra ipotesi – per vero irrealistica – sarebbe configurabile nel caso in cui gli interessi moratori fossero pattuiti in misura inferiore al tasso legale.38 In ragione del principio di naturale produttività del denaro sancito proprio dall’art. 1224 c.c.

dovrebbe ammettersi la prova del maggior danno, se non altro per dimostrare l’esistenza di pregiudizio almeno pari al predetto interesse legale.

Se da una parte è vero che un simile intervento correttivo si porrebbe in contrasto con il regolamento negoziale voluto e approvato dalle parti, dall’altra deve tuttavia riconoscersi come si stia diffondendo sempre più nell’ordinamento un principio di tutela del creditore insoddisfatto quale motore e volano dell’economia.

In questa prospettiva, quantomeno nelle transazioni commerciali, la clausola che stabilisce un tasso di mora inferiore a quello legale potrebbe essere considerata nulla ai sensi dell’art. 7, D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231.

Nell’ottica di prevenire il fenomeno dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali la norma sanziona infatti con la nullità “le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero, a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto” che risultino gravemente inique in danno del creditore. Per altro verso, il comma 3 del medesimo art. 7 stabilisce espressamente che “si considera gravemente iniqua la clausola che esclude l'applicazione di interessi di mora”, ipotesi a cui si potrebbe equiparare quella della misura della mora manifestamente irrisoria.

37 In tal senso, T. DALLA MASSARA, Obbligazioni pecuniarie. Struttura e disciplina dei debiti di valuta, cit., 359; C.M.BIANCA, La responsabilità, cit., 235.

38 T. DALLA MASSARA, Obbligazioni pecuniarie. Struttura e disciplina dei debiti di valuta, cit., 358.

Oltre alle due eccezioni sopra riportate, è singolare notare come la prova contraria non sia invece preclusa qualora le parti inseriscano nel contratto una clausola penale, che al pari degli interessi moratori miri a liquidare in via forfettaria e preventiva il pregiudizio subito dal creditore.39 È bene ricordare, però, che secondo l’orientamento maggioritario la richiesta del maggior danno espone il creditore al rischio di ottenere un risarcimento di minore entità rispetto a quello che avrebbe ottenuto avvalendosi della penale contrattuale.

5. Natura e funzione degli interessi di mora: i due opposti filoni …

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA TITOLO TESI (pagine 23-26)

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