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Autoformazione e riflessività nell’azione

In questa prospettiva, è necessario un rapporto con il sapere in termini di problematica interrogativa, di personalizzazione delle competenze e di costruzione delle stesse attraverso la riflessività. Occorre, per dirla con Schön,94superare il modello della “razionalità tecnica” fondato sulla separazione tra ricerca e pratica professionale.

Per l'epistemologia positivistica la pratica è una applicazione a problemi strumentali di teorie e tecniche basate sulla ricerca, la cui obiettività deriva dal metodo della sperimentazione controllata. E' una particolare visione del sapere che elude la competenza pratica, la creatività e le abilità artistiche del professionista.

La razionalità tecnica è una eredità del Positivismo, al fine di applicare le conquiste della scienza e della tecnologia al benessere del genere umano. Questa ambizione dalla rivoluzione industriale ad oggi ha influenzato tutte le professioni.

Secondo tale modello esiste un mondo conoscibile in modo oggettivo, il controllo tecnico su di esso si esercita osservandolo e mantenendosene a distanza; perciò gli esperimenti controllati, necessari alla produzione delle teorie scientifiche, possono essere condotti solo dalla ricerca. Non possono essere condotti in modo rigoroso dalla pratica, dove le variabili sono legate assieme, e difficilmente possono essere separate per essere analizzate.

                                                                                                               

93 Cfr. Padoan I., L’avvento dell’autoformazione, in Padoan I., Forme e figure

dell’autoformazione, op. cit..

94 Cfr. Schön D., Il Professionista Riflessivo. Per una epistemologia della Pratica

Professionale, Dedalo, Bari, 1993.  

Secondo la razionalità tecnica la pratica appare come una sconcertante anomalia, perché non è possibile trattarla come forma descrittiva del mondo, né ridurla a schemi analitici matematici. Occorre, allora, trasformarla in una tecnica basata sulla scienza che servirebbe per scegliere i mezzi migliori. Negli ultimi decenni, però, quest’approccio è stato delegittimato da una serie di insuccessi e danni provocati dai cosiddetti “professionisti-esperti” che vi si ispiravano: vedi i danni ambientali, i disastri sociali, le crisi economiche, etc.

Questo paradigma, quindi, mostra tutti i suoi limiti davanti alle sfide della complessità postmoderna, nei contesti contrassegnati da incertezza, dove le situazioni problematiche non sono descrivibili in modo lineare, né solvibili in modo univoco; quando i fini non sono chiari, quando, almeno all’apparenza, non c'è nemmeno il problema davanti e bisogna in qualche modo immaginarlo.

Dal punto di vista della razionalità tecnica la pratica professionale è un processo di soluzione dei problemi, ma non dice nulla sulla qualità del problema. Quest’attenzione esclusiva all'aspetto della “soluzione” ignora quello dell’”impostazione del problema”, che è il processo attraverso cui selezioniamo le scelte e definiamo le decisioni da prendere. L'impostazione del problema è un processo, attraverso il quale, in modo interattivo, designiamo gli oggetti, di cui ci occupiamo nell'indagine. Nella pratica quotidiana, infatti, i problemi non si presentano quasi mai come dati, devono essere pensati, costruiti, elaborati.

In tal senso, il modello della razionalità tecnica appare incompleto, perché non sa spiegare la competenza pratica, se non come un’applicazione della conoscenza, ma non c'è nulla che ci induca a pensare che il conoscere consista in regole definite che abbiamo nella mente prima dell'azione. L'azione intelligente, secondo Schön è guidata da due fattori fondamentali: la "conoscenza-nell'azione" e la "riflessione-nell'azione". La prima si manifesta in quelle azioni intelligenti che richiedono una certa abilità, come ad esempio condurre un veicolo. In casi come questo la conoscenza è intrinseca all'azione, è incorporata in essa. Si rivela tramite l'esecuzione

spontanea e sapiente di un atto, ed è difficile da verbalizzare. Si tratta di schemi d'azione, cosiddetti “script” che guidano i nostri gesti intelligenti. Accade anche, però, che la routine produca risultati imprevisti, causando errori che resistono alle correzioni, oppure, più semplicemente, capita di osservare in modo diverso le proprie azioni. Di fronte a queste esperienze uniche, che contengono elementi di sorpresa, il professionista può ignorare gli elementi perturbatori e proseguire sulla propria strada, oppure può riflettere su quanto sta accadendo.

Egli può, cioè, “fermarsi e pensare”, separando l'azione dalla riflessione, oppure “riflettere nel corso dell'azione”, determinando un cambiamento di quest'ultima durante l’esecuzione. A questo proposito, Schön propone un’epistemologia della pratica, centrata sull’idea di riflessione nel corso dell’azione, che pone lo scambio immediato, la non-separazione, tra ricerca e pratica.

“[…] Sia la gente comune sia i professionisti spesso riflettono su ciò che fanno, spesso perfino mentre lo fanno. Stimolati dalla sorpresa, tornano a riflettere sull’azione e sul conoscere implicito nell’azione. […] C’è qualche fenomeno enigmatico, problematico o interessante che l’individuo sta cercando di affrontare. Quando egli cerca di coglierne il senso, riflette anche sulle comprensioni implicite nella sua azione, che fa emergere, critica, ristruttura, e incorpora nell’azione successiva.”95

La prestazione del professionista si presenta alla stregua di una performance artistica, in quanto opera una gestione selettiva e creativa di una grande quantità di informazioni, è capace di costruire lunghe sequenze di deduzioni, impiega diversi modi di osservare e di immaginare le cose simultaneamente senza interrompere il flusso dell'indagine.

Schön paragona questa condotta all’improvvisazione dei musicisti jazz.                                                                                                                

Questi, mescolando abilmente strutture acquisite con riflessioni nell’azione, rispondono in tempo reale alle sorprese lanciate dagli altri musicisti fino a comporre nuovi brani musicali.

La riflessione nel corso dell’azione assume la forma di una “conversazione riflessiva” con la situazione, nel corso della quale il professionista opera alternando di continuo pensiero e azione.

“Egli modella la situazione in conformità con il proprio iniziale apprezzamento di essa, la situazione ‘replica’, ed egli risponde alla replica impertinente della situazione. In un valido processo progettuale, tale conversazione con la situazione è riflessiva. In risposta alla replica della situazione il progettista riflette nel corso dell’azione sulla costruzione del problema, sulle strategie d’azione, o sul modello dei fenomeni impliciti nelle sue azioni.”96

Lo strumento principale che il professionista utilizza in questa conversazione con la realtà è la “metafora generativa”, il “vedere come”. La strategia consiste nel vedere la situazione come qualcosa che è già presente nel suo repertorio di conoscenze e di esperienze, senza per questo includerla in una categoria già nota. Anzi, è proprio la capacità di “vedere come” che permette di trattare quei casi unici, che mal si adattano a regole predefinite. Si tratta, in qualche modo di una funzione narrativa che permette di connettere l’esperienza passata alla situazione presente per progettare il futuro. Non è una relazione rigida, deterministica; per la sua natura fluida, ha più a che vedere con l’intuizione, con esiti di riflessioni su similarità percepite. Ad esempio, per capire perché le setole naturali dipingono meglio delle artificiali, i ricercatori hanno cominciato a pensare al funzionamento di una pompa. Un altro aspetto chiave del modello di Schön è l’importanza che assegna alla componente soggettiva che interviene nella costruzione dei problemi,                                                                                                                

96Ivi, p. 103

che devono essere solubili prima nelle scelte in fase di progettazione e poi nella realizzazione delle decisioni assunte.

Spesso, l’attenzione esclusiva all'aspetto della "soluzione" porta ad ignorare l'aspetto della "impostazione del problema", che è il processo attraverso cui definiamo la decisione da prendere. Nella pratica i problemi non si presentano come dati, devono essere costruiti. Un professionista per trasformare una situazione problematica in un problema compie un lavoro riflessivo.

Quando i fini sono definiti e chiari può bastare la concezione della pratica secondo la razionalità tecnica, che suggerisce di scegliere i fini più adeguati; spesso, invece, i fini non sono chiari, oppure non c'è nemmeno il problema davanti e bisogna costruirlo.

Inoltre, il filosofo mette in luce l’aspetto politico delle scelte, che non possono essere legittimate dalla razionalità tecnica. Occorre, altresì, riconoscere che, sebbene la soluzione del problema sia tecnica, la sua impostazione non è della tecnica ma di altra natura, al di fuori dal modello della razionalità tecnica. È mistificante, infatti, invocare motivazioni tecniche per decisioni che sono di natura politica. In questo senso, il professionista non dovrebbe restare ai margini delle scelte sociali, né essere costretto a usare il proprio sapere per sostenere determinate scelte politiche, che spesso si rivelano incongruenti con la realtà dei fatti. Al contrario, la partecipazione al confronto politico in termini di co- progettazione può favorire l’assunzione delle proprie responsabilità, consentendo ai professionisti di agire come attori autonomi nel contesto sociale. Si pensi alla necessità di tali prerogative da parte di chi opera nelle aree educative e sociali, in cui le decisioni che vengono prese nelle situazioni problematiche incidono profondamente sulla vita di vasti gruppi di persone. Ad esempio, negli interventi rivolti a prevenire la dispersione scolastica, nell’accoglienza degli stranieri, nel sostegno famigliare nei casi di grave disagio, nelle politiche sull’affido, etc.. Tutte quelle situazioni, insomma, nelle quali le modalità di partecipazione al confronto sono assai diverse nei casi in cui prevalga il modello della razionalità tecnica, oppure

la riflessione nell’azione.

“Nel primo modello il mondo comportamentale - quello dell'interazione interpersonale sperimentata - tende ad essere tale che o si vince o si perde. I partecipanti agiscono in modo difensivo [...] Le attribuzioni ad altri tendono ad essere verificate in privato [...] le attribuzioni tendono a divenire impenetrabili - l'individuo non può disporre dei dati che le confuterebbero e gli individui tendono ad adottare strategie basate sul mistero e la maestria, cercando di dominare la situazione mantenendo misteriosi i propri pensieri e sentimenti. Nel secondo modello le parti [...] sono assai poco difensive e [sono] aperte all'apprendimento. [...] Le discussioni tendono allora a essere aperte all'esplorazione reciproca di idee che comportano dei rischi, ed è probabile che le assunzioni siano sottoposte a controllo pubblico. [...] Tendono a essere messi in moto dei cicli di apprendimento, non solo con riferimento ai mezzi necessari per raggiungere gli obiettivi ma anche con riferimento alla desiderabilità degli obiettivi.”97

La “conversazione riflessiva” con la situazione, la “metafora generativa” e la “partecipazione al confronto” si possono annoverare come tecniche all’interno di un metodo riflessivo – narrativo, la cui efficacia nell’ambito dell’autoformazione risiede, anche e soprattutto, in un rigore che risulta al tempo stesso simile e differente al rigore della ricerca accademica.

I valori di controllo e obiettività centrali nel modello della razionalità tecnica assumono nuovi significati all'interno del modello della riflessione durante l'azione: la conoscenza è rigorosa nel senso che può scoprire di essere smentita perché non ha realizzato cambiamenti soddisfacenti. In questa prospettiva il professionista mira a trasformare la situazione, ma non deve ignorare la resistenza al cambiamento che oppone la situazione                                                                                                                

stessa, altrimenti tutto si riduce ad essere l'autorealizzazione di una profezia. Egli sperimenta in modo rigoroso quando si sforza di rendere la situazione conforme alla propria visione di essa, allo stesso tempo rimanendo aperto alla dimostrazione del fallimento del proprio tentativo. L'abilità di costruire mondi virtuali è componente cruciale per sperimentare in modo rigoroso, perché qui il professionista può gestire alcuni dei vincoli relativi all'esperimento di verifica delle ipotesi, dando, però la priorità all'interesse per la trasformazione, quindi all'affermazione dell'ipotesi, piuttosto che alla sua negazione.

La modalità di costruire e decostruire la situazione, di leggerla attingendo anche dal proprio repertorio di casi simili, di usare un rigore metodologico pur nella fluidità della riflessione nell’azione, richiama quanto afferma Bruner riguardo il racconto giudiziario e ci riporta inevitabilmente nell’ambito della narrazione.98

Come le situazioni problematiche che il professionista riflessivo di Schön affronta, anche i racconti giudiziari comportano un confronto fra ciò che ci si attende di norma e quanto è effettivamente accaduto. La difformità fra i due elementi viene poi giudicata tramite criteri che si riferiscono agli statuti e ai precedenti casi. Nel proporre un’interpretazione, chi narra un racconto giudiziario si richiama principalmente alla somiglianza fra la sua interpretazione dei fatti nel caso presente e le interpretazioni in casi del passato che secondo lui si assomigliano. Attinge, quindi, dal proprio repertorio di conoscenze.

Il rapporto col sapere in termini di problematica interrogativa implica, quindi, la capacità di incrementare il proprio repertorio di esperienze professionali anche attraverso la narrazione. Perché, per rievocare i casi di cui ci siamo occupati nel passato occorre che in qualche modo siano stati raccontati i fatti rilevanti che ne hanno determinato la loro unicità, e rielaborati per coglierne le affinità con le situazioni presenti. Come già affermato nel primo capitolo dedicato alla lezione di Bruner, nel momento stesso in cui la raccontiamo, noi interpretiamo la realtà e la organizziamo                                                                                                                

per dare senso e significato al rapporto col mondo attraverso la costruzione di continue “metafore generatrici”. La stessa “partecipazione al confronto” può dar luogo a un processo di scambio di significati, che ci consente di aderire ad una comunità attraverso l’esplorazione reciproca di idee e di innescare “cicli di apprendimento” virtuosi per mezzo della co- progettazione.