Con il gioco di parole che dà il titolo al capitolo, si intende rilevare come ricorrere alla pratica della narrazione consente un doppio livello educativo: la conoscenza del soggetto e l’educabilità, anzi, per meglio dire, la sua auto-educabilità.
Ogni individuo, ogni evento, ma anche ogni fenomeno sociale, è portatore di una propria storia, i cui elementi sono connessi tra loro in base ad un criterio di pertinenza e di relazione.
Secondo Bateson, 144 anche una conchiglia è né più né meno che una
raccolta di storie diverse, il prodotto di milioni di passi, di un numero sconosciuto di modulazioni successive. La conchiglia è e al tempo stesso ha una storia, perché la sua formazione è un’evoluzione attraverso una serie di passi, di riformulazioni nel tempo.
Possiamo affermare, come ci indica l’autore, che tutti gli organismi e i fenomeni sono soggettività, e in quanto tali “menti”, cioè sistemi formati da parti interagenti, che partecipano all’organizzazione del mondo, a cui portano il proprio contributo attraverso la trama delle proprie storie.
È, allora, auspicabile progettare dei dispositivi, tramite i quali riuscire a prestare ascolto, all'interno dei più diversi contesti, ai milioni di passi e di connessioni che caratterizzano le esperienze degli individui; soprattutto, in una società come quella attuale, che molto spesso tende a soffocare le voci che cercano di farsi largo all’interno della storia di ogni persona, di
144 Cfr. Bateson G., Bateson M.C., Dove gli angeli esitano. Verso un’epistemologia del
sacro,op. cit..
ogni soggettività, di ogni mente.
Perché la formazione riguarda, tra l’altro, proprio la possibilità di leggere le forme della mente dei soggetti. Abbiamo già in precedenza rilevato come il contesto, in quanto “ambiente” vivente, esistenziale, in cui si situano i processi reali e personali delle relazioni, sia un elemento dinamico che muove, smuove, svela spazi e tempi, relazioni, vissuti, immaginari, competenze, interpretazioni di situazioni e di fenomeni.
Se l’azione pedagogica si assume il compito di concepire nell’ambiente la struttura nella quale si situa l’agire degli individui, “pensare in termini di storie” significa riconoscere nelle azioni le relazioni tra le forme interne e le forme esterne dei soggetti.
La comprensione delle forme interne è resa possibile dall’osservazione dell’agire, del verbale e del non verbale attraverso le azioni e i progetti personali dei soggetti. La cognizione delle forme esterne avviene prevalentemente nel rapporto con l’azione organizzata e razionale dell’azione educativa e formativa.
Le storie generative di percorsi, trame, incontri e complessità, perturbazione e conflitti sono un fondamentale strumento formativo ed educativo capace di dare consapevolezza al processo mentale, in quanto partecipe e “creatore di contesti”, secondo quel modello costruttivista e relazionale, che più volte abbiamo intercettato nel corso di questo lavoro. Le conoscenze, le teorie esplicite e implicite, le prassi di ciascun soggetto, inteso come contesto unico e irripetibile, sono abitate da una forte soggettività individuale e collettiva. Esse rappresentano le forme dell’esistenza esperite attraverso il discorso, l’espressione corporea, l’azione e il comportamento.
Il più delle volte si rivelano e vengono rilevate nelle situazioni emotive e affettive. Per questo motivo è importante non sottovalutare, bensì tenere in considerazione tutte quelle relazioni dalle quali è possibile ricavare elementi del disegno mentale dei soggetti: l’agire quotidiano, l’agire progettuale, l’agire a specchio. In particolare, riguardo quest’ultimo recenti studi hanno confermato l’incidenza dei fattori socio-relazionali
dell’apprendimento, superando la storica dicotomia tra pensiero e azione, secondo la quale le funzioni sensoriali, percettive e motorie sarebbero prerogativa di aree cerebrali distinte e separate tra loro. La scoperta dei “neuroni specchio”, infatti, ha rivoluzionato il modo di intendere il cervello e i rapporti sociali. Si tratta di una particolare tipologia di neuroni con la funzione di attivare nel cervello di un soggetto, che osserva una determinata azione compiuta da un altro, una serie di reazioni speculari a quelle che si attivano nel cervello del soggetto che sta compiendo l'azione stessa.
Ciò comporta che a neuroni definiti motori sono attribuite proprietà connesse a dimensioni cognitive, come la previsione o l'anticipazione di un intento, considerate da sempre superiori rispetto a quelle motorie. Si è così cominciata a consolidare l'idea che il sistema motorio possieda molteplici funzioni, non meramente esecutive e strettamente connesse in modo non gerarchico ma simultaneo con i sistemi sensoriali. Come affermano il neuroscienziato Giacomo Rizzolatti e il filosofo Corrado Sinigaglia,145 “il cervello che agisce è innanzitutto un cervello che
comprende”. Infatti, probabilmente noi comprendiamo un'azione ed il suo fine, proprio perché nel nostro cervello si attivano gli stessi neuroni che si attiverebbero se stessimo compiendo noi stessi quell'azione. Non c'è nessuna partecipazione cosciente del soggetto in questo meccanismo, è qualcosa che ci precede e ci permette di comprendere e di conoscere immediatamente, in una dimensione prelinguistica, le intenzioni degli altri individui, rendendo così possibile una previsione del loro comportamento futuro. Uno degli aspetti più affascinanti di tale scoperta è la conferma della strettissima relazione tra azione e linguaggio: la famosa “Area di Broca”, da sempre definita sede anatomica del linguaggio, sarebbe in realtà un’area composta in prevalenza da cellule motorie. Inoltre, i neuroni specchio, in particolare quelli della corteccia pre-motoria, entrano in gioco nella comprensione delle emozioni degli altri.
145 Cfr. Rizzolati G., Sinigaglia C., So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni
Un’altra conferma, quindi, del fatto che l’empatia è lo sfondo della nostra intelligenza, perché l’imitazione degli stati d’animo altrui ci consente di dedurre l’ordine delle relazioni affettive e sociali, i complessi di valori che le organizzano, gli schemi di comportamento individuali e collettivi, l’agio e il disagio delle persone che incontriamo, le possibili alternative al mondo in cui viviamo, così come i simboli che mediano il nostro rapporto con le culture di appartenenza. D’altra parte, però, l’empatia è anche la base delle nostre nevrosi, perché l’imitazione implica l’interiorizzazione, il portare, cioè, dentro di sé identità, valori e schemi che possono essere disfunzionali, produrre sentimenti di delusione e rabbia, fino a condurci contro sé stessi, proprio a causa di quei sistemi di valori che fin dall’infanzia abbiamo dedotto per identificazione. Un motivo in più, quindi, per affidare alla narrazione la possibilità di modificare gli eventi delle nostre storie personali. È quanto, implicitamente, ci suggerisce Peter Brook, noto regista teatrale, citato nella premessa al testo dei due autori. “con la scoperta dei neuroni specchio le neuroscienze avevano cominciato a capire quello che il teatro sapeva da sempre. [...] Il lavoro dell'attore sarebbe vano se egli non potesse condividere, [...] i suoni e i movimenti del proprio corpo con gli spettatori, rendendoli parte di un evento che loro stessi debbono contribuire a creare”.146
Possiamo, quindi, affermare che proprio l’attivazione dei neuroni specchio ci consente di creare un mondo possibile e di possibilità, evocando su di noi il richiamo della condizione umana nel linguaggio della rappresentazione metaforizzata, come nel teatro di Peter Brook. Si realizza così un doppio sentire, un “doppio pàtos”: quello del personaggio sulla scena, o in altro luogo, in un'altra storia e quello del proprio vissuto. Il personaggio nel quale ci identifichiamo, sul quale proiettiamo emozioni e sentimenti, può anche coincidere con il sé, o meglio, con la molteplicità dei nostri sé, come nel caso dell’autobiografia.
In tal senso, la formazione si declina come una cura del sé, che favorisce da una parte una lettura dell’identità soggettiva e intersoggettiva, dall’altra e parallelamente il recupero delle dimensioni di tipo processuale caratteristiche dei percorsi di evoluzione e crescita, di interpretazione e cambiamento. L’esplorazione di metodologie, tecniche e strumenti utili alla realizzazione di tali processi, è lo scopo di quest’ultimo capitolo di tesi.