La seconda tecnica di vita che Cambi individua per la cura sui è la scrittura, 174 il cui mondo, a detta dell’autore, si è specializzato e
frantumato, sottoponendosi a un processo di disseminazione. In particolare, il macro-ambito delle “scritture-di-sé” presenta una molteplicità di forme espressivo-comunicative che vanno dall’epistola al blog, e un pluralismo delle regole sintattiche e semantiche nel passaggio
173 Cfr. Turner V., Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna 1986.
dalla scrittura tradizionale alla multimedialità.
Con riferimento alle scritture dell’io più tradizionali, nel solco di quella cultura greco-ellenistica da cui proveniamo, possiamo considerare scrittura di sé la “poesia lirica”, in quanto espressione del sentire del soggetto, della sua sensibilità e creatività personale, del suo linguaggio. Anche il “romanzo”, come abbiamo analizzato nel primo capitolo di questa tesi, è scrittura di sé, in quanto per molti aspetti, gli altri io che vi compaiono sono una proiezione dell’autore. Inoltre, sono scritture di sé, in modo più diretto, tutte quelle forme espressive che vanno dal diario alle memorie e, in modo particolare, l’autobiografia.
“Alle scritture-di-sé il soggetto affida il ruolo di farsi eco, vettore e forcipe del proprio vissuto, sia come esperienze fatte sia come stile di far- esperienza, come modo di disporsi rispetto agli eventi del vissuto, e privato e pubblico, e intimo e storico a un tempo. Tali scritture sono sempre, ‘specchio’ e ‘amplificazione’ dell’io-vissuto/vivente, momenti di ‘filtro’, di ‘deposito’, di ‘analisi’ e di ‘decifrazione’ più pacata, più riflessiva, ormai fatta ‘ex post’”.175
L’autobiografia è, secondo Cambi, un “cammino per” un’identità, un “gioco di interpretazione”, una “conquista di senso”, ma anche di non-senso, in quanto predispone ad un conflitto in se stessi e con se stessi in vista di un rimodellamento dell’io nel sé e un ricollocamento del sé nell’io. È in questa prospettiva che la scrittura è “prendersi in cura” e “prendersi cura”, per proteggersi dalla frammentarietà dell’esperienza, salvarsi dalla dispersione e dalla perdita del vissuto.
L’autore individua nella Recherche di Marcel Proust176 l’esempio più alto e
complesso di scrittura autobiografica. Proprio attraversando quella sua “cattedrale gotica” possiamo ritrovare i nuclei fondanti della scrittura di sé: la “ricerca” come ricerca del passato e via d’accesso ai ricordi (la
175Ivi, pp. 69 – 70.
madeleine); il “percorso di eventi”, segni da interpretare per dare senso e ordine alla propria identità (gli affetti famigliari, la vita di società, l’amore, la stessa omosessualità dello scrittore); il “conflitto con se stessi” che si gioca nella problematicità dei molti “io” presenti nel romanzo (Proust insieme narratore, attore del vissuto e protagonista della Recherche). Il modello proustiano ci presenta la scrittura autobiografica come la realizzazione di un processo mentale articolato, complesso e asimmetrico, rivolto al tempo stesso a riprodurre l’idea del sé e a tratteggiare un ulteriore e possibile destino. In questa prospettiva, l’autobiografia è un paradigma esemplare della cura di sé, in quanto attiva un percorso di cambiamento del soggetto. Ciò che cambia tramite l’autobiografia non è solo l’identità, che disvelandosi con la riflessione si dispone in un nuovo ordine di senso; ma lo stesso prendersi cura di sé, in uno spazio interiore dilatato e privilegiato, nel quale è possibile assumere un diverso atteggiamento di comprensione e di tutela.
“Essa dà all’io identità e interiorità e riflessività a un tempo. E in questo triangolo c’è il senso e il cammino del processo formativo”.177
La scrittura autobiografica, connettendo l’atto complesso di ideazione di sé e del proprio mondo a quello costruttivo della composizione di un testo, traccia “confini” e “strutture” del “progetto di sé”. Confini di tempo e di luogo, come anche di età e di esperienze, fissando il processo stesso che ha prodotto quell’io che oggi è la persona. Ripensare e comprendere i propri confini è prender cura di sé, nel senso di farsi carico. È Il gioco complesso dei confini a far emergere le strutture storiche e sociali, psicologiche e ideologiche che consentono al soggetto di assumere identità e senso, quel suo “habitus”, che una volta acquisito non può essere dismesso, che permane come una risorsa e una potenzialità, fino ad un ulteriore svolta della propria esistenza.
Questa è l’autobiografia contemporanea, che ha abbandonato l’intento
celebrativo e giustificatorio, per assumerne uno problematico di ripensamento dell’io e di ricerca di sé. Un esempio a noi vicino di tale mutazione è “La coscienza di Zeno” di Svevo,178 che, nonostante l’uso
della terza persona, che tende a separare soggetto e scrittura, è la proiezione dell’autore stesso, il riconoscimento della sua stessa indecisione di vivere, della sua problematicità, che viene assunta alla fine come destino. In questo senso, l’acquisire consapevolezza di sé attraverso la scrittura produce identità, e al tempo stesso ci trasforma e ci induce ad impegnarsi nel mondo.
La scrittura di sé implica un’attenzione al testo e alle sue tecniche di costruzione. A questo proposito Cambi si chiede cosa accade alla scrittura nel tempo della comunicazione informatica. C’è il timore che venga sottratta a quell’atto privato che sta dentro l’esperienza di coscienza interiorizzata per affermarsi come tecnica di tecniche per un uso immediato e totale. Per dirla con Benjamin,179 c’è il rischio che la scrittura perda l’”aura”, si desublimi per farsi mezzo, e come tale merce. “Blog” e “forum”, insieme alle altre forme di multimedialità, pur con le loro evidenti potenzialità creative e articolazioni comunicative, si consumano nell’immediatezza della loro funzionalità, mettendo a repentaglio il ruolo cognitivo-espressivo, problematico e interpretativo, che sta alla base della testualità complessa della nostra cultura occidentale. Quella di Cambi può sembrare una preoccupazione eccessiva, soprattutto per le prime generazioni di “nativi digitali”, ormai giovani adulti; ma possiamo dire che tutti, liberando la mano dall'impegno del segno grafico, abbiamo potenziato e reso più dinamico e immediato il rapporto tra elaborazione mentale e testo scritto. In questo senso la scrittura digitale è un prolungamento dei nostri pensieri, che possono scorrere direttamente sullo schermo senza bisogno di essere pre-costruiti col loro pieno senso. Anzi, lo schermo del computer fungendo da specchio della nostra mente in modo più rapido e diretto rispetto al foglio di carta, ci invita a pensare e
178 Cfr. Svevo I., La coscienza di Zeno, Garzanti, Milano 2007.
179 Cfr. Benjamin W., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi,
ripensare continuamente i propri pensieri, senza dover per forza rispettare una sequenzialità lineare. Di contro, la possibilità che ci viene offerta di poter stare contemporaneamente nell’intimità dei nostri pensieri e nella rete pubblica dei pensieri e delle informazioni che arrivano dall’esterno, e di poter ottenere rapidamente un riscontro delle nostre scritture private con quelle degli altri, rischia di compromettere e frammentare quel delicato processo di riflessività, interpretazione ed espressività che caratterizza il testo scritto.
S’impone, allora, una riflessione critica sulla comunicazione informatica nel tempo della “post-scrittura”, che non demonizzi le nuove tecnologie, ma le collochi nel solco di un rinnovato impegno a riconoscere la complessità strutturale del testo e il suo prezioso valore semantico e comunicativo. Cambi a riguardo, riattualizzando le tesi di Barthes,180 pone in risalto il
“piacere della scrittura”, da coltivare proprio nella sua qualità di testo, come esperimento sempre “in fieri”, interpretazione di significato e di senso, dialogo con la corrente libidica del proprio inconscio, ed espressione di forme estetiche.
La scrittura di sé va, quindi coltivata, sia per la sua funzione di piacere, sia per quella di resistenza rispetto a quelle forme immediate, che riducono il testo a comunicazione/informazione, eludendone la costruzione e le sue complesse articolazioni.
In questa prospettiva, l’autobiografia si presenta come uno degli “esercizi spirituali” privilegiati per la costruzione della propria identità, per la cura di sé. Il riferimento al mondo classico-ellenistico, in cui la scrittura di sé rivestiva un ruolo fondamentale, è utile a Cambi per sottolineare che autocontrollo e umanità, come afferma la Nussbaum,181 e un’educazione
alla libertà del soggetto orientano una nuova educazione liberale, che rinvia al tempo stesso all’antica lezione di Seneca, da cui discendono le prime opere del genere, come il “Manuale” di Epitteto, i “Ricordi” di Marco Aurelio, etc.. Ciò significa, quindi, che esiste una tradizione con cui
180 Cfr. Barthes R., Variazioni sulla scrittura seguite da Il piacere del testo, Einaudi,
Torino, 1999.
confrontarsi e a cui ispirarsi. Nella Modernità, il modello è senz’altro sant’Agostino, con il quale l’autobiografia diventa un dialogo tra se stessi, la coscienza e Dio, un iter pedagogico che attraverso l’esercizio della memoria, condurrà alla Redenzione. Anche Rousseau, sulle orme di Agostino, si sdoppia, ma in forma laica, tra l’io e la coscienza; il terzo non è più Dio, ma la società, che non salva, ma al contrario fa degenerare. È proprio contro di essa che Rousseau scrive le Confessiones, per andare alla ricerca del vero sé. Per entrambi, come del resto anche per Proust, seppur in modo più complesso, la memoria seleziona i segni delle esperienze, e l’interpretazione orienta nella ricerca di sé e nella costruzione del senso dell’esistenza.
Secondo Cambi, quindi, è lungo la traiettoria di tale tradizione di cultura che possiamo articolare un metodo autobiografico come via di cura, intesa come diagnosi, terapia e farmaco. L’autobiografia è infatti, per lo studioso tutte e tre le cose insieme. È “diagnosi”, in quanto disseziona il vissuto del soggetto, osservandolo dal punto di vista della coscienza. È “terapia”, perché attraverso la produzione di senso salva la persona restituendogli un’identità nuova. Ed è un “farmaco” che dalla malattia dell’io produce i suoi stessi anticorpi e antidoti.
Inoltre, l’autobiografia racchiude in sé anche un significato più pedagogico di cura che sta nel “prendersi-in-cura”. Qui sta la sua attualità, ed il motivo della proposta formativa che si cerca di articolare in questa tesi. Nella nostra società del disincanto l’individuo necessita di strumenti e modi per rivelarsi a se stesso, collocarsi nei suoi molteplici ruoli e decidere di sé riunificando ragione e sentimento. Per tali scopi il paradigma del “prendersi-in-cura” va assunto all’interno delle istituzioni formative e delle agenzie educative, così come dei servizi sociali per formare la coscienza professionale di coloro che vi operano, e applicarlo alle esperienze educative e alle relazioni di aiuto.
“L’autobiografia come pratica formativa anche professionale ha questa precisa valenza: di abituare il soggetto ad ascoltare se stesso (e da lì
l’altro), di delineare attraverso gli eventi un senso, di gestire quel senso in modo consapevole, critico, aperto e responsabile, di dare al processo formativo un traguardo personale e vissuto intenzionale. Ma, pertanto, sempre problematico e aperto (= libero)”.182
L’autobiografia in ambito educativo e sociale è stata utilizzata da diversi autori e da loro descritta in modelli, che hanno assunto in tempi recenti e contemporanei una particolare efficacia e valenza autoformativa. Nell’ambito di questa tesi ne presentiamo alcuni ritenuti più pertinenti con quanto finora esposto, e tra i più significativi per le indicazioni di metodo che se ne possono ricavare nelle prassi professionali e nei relativi dispositivi d’intervento.