Appartiene ad una delle ipotesi forti di questa tesi approfondire la dimensione del “fantastico” e dell’”immaginario”, scoprire quale ruolo giochi o possa giocare nella costruzione della propria identità, verificarne le potenzialità per tentare di formulare significative ed efficaci proposte di metodo. Utilizzeremo il significato dei termini “fantastico”, “immaginario”, “magia” e “sacro” non come sinonimi, ma come appartenenti tutti a quella dimensione psichica, che Winnicott definisce lo “spazio potenziale” tra individuo e ambiente.
“Quando si considerano le vite degli esseri umani ci sono quelli a cui piace di pensare superficialmente in termini di comportamento ed in termini di riflessi condizionati e di condizionamento; ciò porta a quella che viene chiamata terapia del comportamento. Ma la maggior parte di noi si stanca di limitarsi al comportamento o alla osservabile vita estrovertita delle persone che, piaccia loro o no, sono motivate dall'inconscio. Per contrasto, vi sono quelli che pongono
l'accento sulla vita ‘interiore’, che pensano che gli effetti dell'economia ed anche della stessa indigenza hanno ben poca importanza in confronto con l'esperienza mistica. L'infinito per quelli della seconda categoria è al centro del sé, mentre per i behavioristi che pensano in termini di realtà esterna, infinito è il raggiungere al di là della luna le stelle ed il principio e la fine del tempo, tempo che non ha né una fine né un principio. Io sto cercando di muovermi in mezzo a questi due estremi. Se noi guardiamo alle nostre vite probabilmente scopriamo che noi passiamo la maggior parte del nostro tempo né nell'agire né in contemplazione, ma in qualche altro posto. Io chiedo: dove? E cerco di suggerire una risposta.”114
Winnicott localizza questa importante area dell’esperienza, appunto, nello spazio potenziale, che all’inizio unisce e separa al contempo il bambino e la madre, allorché l’amore materno offre al bambino un senso di fiducia verso l’ambiente esterno. Infatti, il bambino che ha potuto fare sufficiente esperienza dell’attendibilità delle cure materne riempirà lo spazio fra sé e la mamma attraverso un insieme di fenomeni transizionali, che gli apriranno la via al simbolico e alla cultura. Perché questo spazio potenziale si crei è necessario che il bambino subisca un processo di disillusione sulla propria onnipotenza, cioè un progressivo riconoscimento della realtà esterna nella sua oggettività. Ciò è reso possibile, secondo Winnicott, dall’aver in precedenza sperimentato l’illusione dell’esistenza di una realtà esterna corrispondente alla propria capacità di creare.
“Io ho introdotto i termini ‘oggetti transizionali’ e ‘fenomeni transizionali’ per designare l’area intermedia di esperienza, tra il dito e l’orsacchiotto, tra l’erotismo orale e il vero rapporto
oggettuale [...] tra l’incapacità e la crescente capacità del bambino di riconoscere e di accettare la realtà”115
“Quest’area intermedia di esperienza, di cui non ci si deve chiedere se appartenga alla realtà interna o esterna (condivisa), costituisce la maggior parte dell’esperienza del bambino, e per tutta la vita viene mantenuta nella intensa esperienza che appartiene alle arti, alla religione, al vivere immaginativo e al lavoro creativo scientifico”.116
Quindi, con il termine “fantastico” possiamo intendere proprio quei fenomeni che, con il loro carattere di ambiguità, si collocano al confine tra il piano storico della realtà oggettiva e il piano astorico e temporale della realtà interna. È necessario che tra questi due piani si instauri una comunicazione dinamica, altrimenti l’annullamento della realtà esterna condurrebbe la persona all’autismo, mentre la riduzione della realtà psichica interna comporterebbe una completa oggettivazione dell’uomo. Un esempio rappresentativo di questo rapporto è offerto ancora una volta dalla narrativa. Nel romanzo La “Storia infinita” di Ende,117 l’incapacità di
venire a contatto con il mondo interno degli archetipi, rappresentato dal mondo dei nomi di Fantàsia, dove ciò che è pronunciato è da sempre, è causa di un impoverimento di senso per la vita dell’uomo privato delle sue facoltà fantastiche. La morte della madre di Bastian, il protagonista della storia, corrisponde alla malattia dell’Infanta imperatrice e al conseguente rischio di distruzione del suo regno da parte del Nulla. Dall’altra parte, il perdere contatto con la realtà conduce inevitabilmente all’autismo, rappresentato dalla città degli imperatori, dove gli uomini si perdono per sempre in una condizione senza storia e senza memoria. Bastian, offrendo alla principessa il nome della madre scomparsa riuscirà alla fine a ricongiungere il mondo della fantasia con quello reale, accettando, così, di
115 Ivi, p. 24 – 26. 116Ivi,p. 43.
affrontare la sua nuova esistenza ad un diverso livello di integrazione con la realtà.
Secondo Bettelheim,118 l’uso del fantastico gioca un ruolo importante a
livello educativo, in quanto permette al bambino di rielaborare il proprio mondo interno e di rassicurarsi sulla propria consistenza, e favorisce lo sviluppo di un’intelligenza flessibile. In ogni età della vita dovremmo essere capaci di cercare e trovare una pur modica quantità di significato adeguata al modo in cui il nostro intelletto si è già sviluppato, perché il significato della propria vita non viene raggiunto ad una particolare età, nemmeno con la maturità. Al contrario, è l’acquisizione di una sicura comprensione di ciò in cui potrebbe consistere tale significato a costituire il raggiungimento della maturità psicologica. Per questo sono necessarie molte esperienze di crescita.
Tra le esperienze più adatte a promuovere la capacità di trovare un significato nella propria vita, Bettelheim annovera le fiabe. Queste, per lo psicanalista austriaco, trasmettendo nello stesso tempo significati palesi e velati, riescono a parlare simultaneamente a tutti i livelli della personalità umana, comunicando in modo tale da raggiungere sia la mente ineducata del bambino sia quella del sofisticato adulto. Le loro trame rivelano le pressioni dell’Es, e suggeriscono indirettamente dei modi per soddisfare quelle che sono in accordo con le richieste dell’Io e del Super-io.
“Per poter risolvere i problemi psicologici del processo di crescita – superando delusioni narcisistiche, dilemmi edipici, rivalità fraterne, riuscendo ad abbandonare dipendenze infantili, conseguendo il senso della propria individualità e del proprio valore e quello di dovere morale – un b. deve comprendere quanto avviene nella sua individualità cosciente in modo da poter affrontare anche quanto accade nel suo inconscio. Egli può giungere a questa conoscenza, e con essa alla capacità di
affrontare se stesso, non attraverso una comprensione razionale della natura e del contenuto del suo inconscio, ma familiarizzandosi con esso, intessendo sogni ad occhi aperti: meditando, rielaborando e fantasticando intorno ad adeguati elementi narrativi in risposta a pressioni inconsce. Così facendo, il b. adegua un contenuto inconscio a fantasie consce, che poi gli permettono di prendere in considerazione tale contenuto. Le fiabe offrono nuove dimensioni all’immaginazione del b., dimensioni che egli sarebbe nell’impossibilità di scoprire se fosse lasciato completamente a se stesso. La forma e la struttura delle fiabe suggeriscono al b. immagini per mezzo delle quali egli può strutturare i propri sogni ad occhi aperti e con essi dare una migliore direzione alla propria vita.”119
Tale processo vale, ad altri livelli, anche per l’adulto. Lo stesso Bettelheim descrive come nella medicina indù tradizionale si assegna ad una persona psichicamente disorientata una fiaba che interpreta il suo particolare problema. Meditando su di essa il paziente riesce a visualizzare la natura delle sue difficoltà e la possibilità di superarle. Il contenuto della fiaba non riguarda direttamente la vita del paziente, che, in tal caso, sarebbe indotto a seguire un tipo di comportamento imposto. Proprio la natura non realistica di questi racconti è l’espediente che permette di chiarire i processi interiori della persona, in modo che il paziente, meditando sulle implicazioni della storia nei suoi riguardi, trova da solo le proprie soluzioni. Il fantastico, quindi, come ci suggeriscono Fonzi e Negro Sancipriano,120
può essere interpretato come uno strumento di “riassorbimento del negativo”, che permette di rassicurarsi sulla propria consistenza per tornare alla realtà con una maggior fiducia nelle proprie capacità di poterla affrontare. Le autrici rilevano due leggi fondamentali del pensiero magico:
119Ivi, p. 12 – 13.
120 Cfr. Fonzi A., Negro Sancipriano E., Il mondo magico nel bambino, Einaudi, Torino
- la “commutabilità dei termini” dell’operazione magica, per cui tra i medesimi non esiste un rapporto “significante-significato”. L’efficacia magica consiste, appunto, nel commutare i due piani, cosicché operare sull’uno implica operare sull’altro.
- la “giustapposizione dei termini”, per la quale non esiste alcuna relazione obiettiva o causale tra due fenomeni presi in considerazione. Il loro accostamento, determina delle nuove unità, che sono regolate all’interno, non da rapporti spazio-temporali, bensì “partecipazionistici”. È un criterio di concettualizzazione del reale che non si esaurisce con il superamento dell’infanzia, ma costituisce una modalità di interazione con il mondo propria anche dell’adulto.
Nell’ambito etnologico, Ernesto De Martino121 ha interpreto la permanenza del magico nel mondo adulto come un elemento che permette di “destorificare” la realtà, consentendo il passaggio dal “così” al “così come”, dal piano storico, al piano metastorico, che riattualizza quella che lo studioso definisce la “presenza al mondo”, in particolare per coloro che si trovano sempre al di fuori della storia.
Per Gilbert Durand,122 allievo di Bachelard, l'immaginario è instauratore
della vita psichica nel suo insieme, partecipa dunque della conoscenza e del sapere, siano formali o meno. Riprendendo la definizione di “mitema”, coniata da Lévi Strauss, Durand propone una vasta e ambiziosa cartografia dei fondamentali simboli che caratterizzano le culture dell’umanità. Secondo questo studioso, i mitemi sono alla base non solo delle creazioni artistiche e dell’elaborazione dei diversi stili, ma anche della produzione di oggetti di uso corrente. I miti, infatti, grazie al loro metalinguaggio, integrano e rendono presenti nella vita di tutti i giorni gli elementi fondanti, eterni, sacri, gli archetipi dell’esistenza. Durand ha ordinato i simboli fondamentali dell’umanità secondo due categorie:
121 Cfr. De Martino E., Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Bollati
Boringhieri, Torino 2007.
122 Cfr. Durand G., Le strutture antropologiche dell’immaginario, Edizioni Dedalo, Bari
- la “distinzione” che riguarda il “regime diurno”, che ha come schema le antitesi e i cui archetipi sono puro/impuro, chiaro/scuro;
- l’”unione” o la “confusione” che riguardano il “regime notturno” fondato sullo schema della discesa e della penetrazione, i cui archetipi sono profondità e intimità.
La “fantastica trascendentale” di Durand appare come una rifondazione del metodo delle scienze sulla base del repertorio archetipo che ha da sempre presieduto alla costruzione di ogni sapere, anche di quello scientifico.
Nel corso degli anni Durand ha sviluppato una vera e propria “epistemologia dell’immaginario”,123 secondo la quale, l’immaginario non è
un’oscura dimora di credenze illogiche o folli, ma una vera e propria matrice delle rappresentazioni di una società. Alla luce della sua analisi, i miti prometeici e faustiani di lotta contro le tenebre, di conquista e di progresso della storia, che hanno caratterizzato il XX secolo, sono tramontati. La nostra società postmoderna, dell’incertezza e del disincanto è contraddistinta da un suo regime dell’immaginario, più “notturno”, legato alla soggettività, all’intimità che, però, non deve per forza spingerci a rifugiarsi in sé stessi. Un rapporto più dinamico tra gli aspetti esperienziali e soggettivi con quelli più razionali e istituiti può consentirci, altresì, di affrontare la pluralità e la molteplicità dell’esistente come nuove opportunità, e ispirare la ricerca di equilibri diversi, tenendo in considerazione gli impensati della coscienza, le dinamiche dell’inconsapevolezza e del tacito.
Non ci deve, quindi, scoraggiare la sensazione di precarietà, né il timore della mancanza di approdi sicuri. Può aiutarci a meglio comprendere l’attuale condizione, e a rilanciare le nostre prospettive future, la metafora che Bateson trae dalla ballata del Vecchio Marinaio di Coleridge, attraverso
la quale lo studioso illustra e chiarisce le sue ultime tesi riferite in particolare all’idea di “sacro”.124
“Il poemetto narra di un vecchio Marinaio che intrattiene un invitato ad una festa di nozze per raccontargli una sua avventura. Il marinaio racconta di come la nave sulla quale viaggiava, dopo aver attraversato l’Equatore, fu spinta da una tempesta verso i ghiacci del Polo Sud. All’improvviso apparve un albatro, accolto dall’equipaggio come presagio di buona fortuna. Tuttavia, il marinaio uccide l’uccello senza motivo. Da quel momento un maleficio viene gettato sulla nave che dopo esser stata spinta da un vento favorevole verso l’Equatore, di colpo si arresta in una calma mortale. I marinai a bordo stanno morendo di sete, quando appare una nave fantasma con a bordo la Morte e la Vita-nella Morte. I due si giocano ai dadi la vita dell’equipaggio, la Morte vince i compagni del Marinaio, che muoiono uno dopo l’altro. Lui sopravvive ma ossessionato dalla visione dei marinai morti, si ritrova naufrago con l’albatro appeso al collo. Ad un tratto scorge dei serpenti marini dai colori splendenti che si agitano in mare. Mosso da un improvviso sentimento d'amore, benedice le creature marine, che sono segno di vita. Dio, impietosito dal gesto del marinaio, stacca dal suo collo l’uccello che si inabissa, le stelle ricominciano a muoversi e il vento a spirare. Durante la notte un gruppo di spiriti angelici penetra nei corpi morti dei marinai, che tornano a svolgere le proprie mansioni sulla nave. Mentre questa procede sulla rotta, lo ‘spirito del polo sud’ improvvisamente cambia rotta facendo cadere il marinaio, che perde i sensi, per ritrovarsi nel suo paese natale. L'uomo è soccorso da un battello, in cui si trova un eremita, verso il quale
124 Cfr. Bateson G., Bateson M.C., Dove gli angeli esitano. Verso un’epistemologia del
il marinaio prova un forte desiderio di raccontare la sua avventura. Una volta rivelato il suo vissuto, l'uomo si sente sollevato dall'angoscia cui le vicende l'avevano condotto. Di tanto in tanto però viene colto dallo sgomento e deve andare a raccontare ad altri la sua storia, affinché tutti imparino, grazie al suo esempio, ad amare e a rispettare ogni creatura di Dio”.
Bateson fa notare come la “salvezza”, di cui tratta il poemetto, nasce dal fatto che la benedizione del marinaio agli esseri viventi sia sorta improvvisamente, senza alcuna finalità; “senza sapere”, dice, infatti, il marinaio.
“Oltre l'ombra della nave Io spiavo i serpenti marini [...]
Felici cose viventi! Lingua non c'è Che possa dichiararne la bellezza! Un'acqua d'amore mi fiottò nel cuore E senza sapere le benedissi:
Certo il mio santo ebbe pietà di me, Ed io le benedissi, senza sapere”125
È così che Bateson tenta di definire la sua idea di sacro, rapportandola all’esperienza conoscitiva dell’uomo. Egli ritiene, infatti, che la “fede” sia una precondizione del conoscere.126
“Se guardo attraverso i miei occhi corporei e vedo un’immagine del sole che sorge, la validità delle proposizioni ‘guardo’ e ‘vedo’ è di genere diverso di quella di qualunque conclusione sul
125 Coleridge S. T., La ballata del vecchio marinaio, Editore Clinamen, Firenze 2010. 126 La fede che intende Bateson non ha nulla a che fare con la fede religiosa. Si tratta,
piuttosto, di una fede nel nostro processo mentale, e proprio per questo deve essere difesa. Tale fede in una mente sana, è involontaria e inconsapevole.
mondo esterno alla mia pelle. ‘Vedo un sole che sorge’ è una proposizione che in effetti, come sottolinea Cartesio, non può essere messa in dubbio, ma l’estrapolazione da qui al mondo esterno (‘C’è un sole’) non è mai certa e deve essere sostenuta dalla fede”.127
Bateson ascrive il sacro a quell’aspetto metaforico che lo caratterizza e connette con la danza delle parti interagenti. Il sacro acquista, così, un significato ecologico, in quanto non cerca di consegnarci alcuna verità, al contrario, amplia le possibilità della ricerca, fornendo una struttura e un metodo alle domande.
“Si tratta di una ‘religione ecologica’, coerente con i principi della cibernetica, della teoria dei sistemi, dell’ecologia e della storia naturale”.128
Questa forma di religione richiede, due condizioni: non mettere limiti alla propria hybris nel porre le domande e l’accettare con umiltà le risposte. Al contrario, gran parte delle religioni dimostrano scarsa umiltà nell'accettare le risposte, ma grande timore nel porre le domande. Accanto al “sacro ecologico”, ci ricorda Manghi, 129 Bateson rivendica l'esistenza di
un'”ecologia del sacro”, che riguarda l'essere-in-relazione, in quanto il punto di vista soggettivo non coinciderà mai con la totalità e mai riuscirà a cogliere la Verità del Tutto.
Con la ballata del Vecchio Marinaio Bateson ci avverte che il processo di guarigione, lo scampato naufragio, rischia di essere intralciato da ogni conoscenza certa e previsione sicura dei possibili effetti. D'altronde, afferma Bateson, se avessimo coscienza di tutti i nostri processi percettivi, saremmo incapaci di reagire alle nostre stesse sensazioni. Nella nostra
127 Bateson G., Bateson M. C., Dove gli angeli esitano. Verso un’epistemologia del sacro,,
op. cit., p. 148.
128Ivi, p. 203
129 Cfr. Manghi S., Il gatto con le ali. Tre saggi per un'ecologia delle pratiche sociali,
ricerca di significati è, allora, auspicabile mantenersi flessibili e aperti anche agli effetti imprevedibili, perché limitare le nostre conoscenze e abilità a ciò che abbiamo previsto non ci difende dagli imprevisti dell’esistenza.