La seconda proposta operativa si riferisce specificamente ai seminari condotti dal prof. Paolo Puppa nell’ambito del “Master in Comunicazione e Linguaggi Non Verbali: Psicomotricità, Musicoterapia e Performance”, presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Siamo nel contesto della “performance”, che Puppa pratica come regista, drammaturgo e performer, appunto, ma anche come autore di testi destinati alla scena, e come studioso, in quanto docente di Storia del Teatro. La partecipazione ai suoi seminari, in qualità di tutor dei gruppi di allievi del Master, mi consente di descrivere la metodologia di Puppa, e di presentarla nella tesi, in quanto connessa ad un interessante modello di narrazione formativa, nel quale la lettura è stimolo iniziale, sfondo tematico ed espressione corporea attraverso la voce.
Prima di descrivere il quadro delle tecniche utilizzate nel seminario, è necessario delineare la cornice entro la quale si realizza l’attività. Si tratta di un laboratorio di performance, che si presenta come luogo dell’extra ordinario, dove si ha a che fare con l’interiorità, l’energia, le potenzialità, la creatività e l’immaginario.
Nel laboratorio, si lavora su ciò che accade qui ed ora a contatto con uno spazio e un tempo al tempo stesso personali e condivisi nella relazione. È composto da un gruppo di persone variabili, nel caso in questione si tratta di allievi ed allieve che frequentano un Master post-lauream. Non importa che si abbia a che fare con attori o con non professionisti, ciò che si richiede è la disponibilità a “mettersi in gioco” per sperimentare
l’espressività corporea attraverso il movimento creativo, il gesto, la voce. È, quindi, un luogo di condivisione con l’altro e per l’altro, di ricerca che va oltre il vivere quotidiano, di apertura all’immaginazione e al simbolico, di riconoscimento del valore della propria esistenza, e dei propri atti. Da questo punto di vista, è un’occasione per liberare il corpo dalle sue abitudini quotidiane e acquisire una più mirata efficacia espressiva, per sviluppare l’intelligenza emotiva, la conoscenza e il controllo delle proprie emozioni, il riconoscimento di quelle altrui, per sperimentare nuove dinamiche relazionali e conseguire una consapevolezza del vissuto che nel corpo s’incarna.
Si realizza, così, un percorso che inizia con la conoscenza, l’accettazione di sé e l’incontro con gli altri, per sviluppare attraverso l’improvvisazione un processo trasformativo, condurre una rielaborazione creativa di quel processo per giungere ad una sua restituzione sotto forma artistica, la “performance”, appunto. L’improvvisazione si declina su una ricerca di naturalezza e di autenticità attraverso un training intenso, che guida l’allievo a scegliere dal proprio repertorio personale ed affinarlo per costruire una composizione che ne rilevi i momenti e i passaggi più significativi. Nella costruzione della performance ogni allievo è orientato a diventare autore, regista, attore e primo spettatore di ciò che fa; ma ciò che fa non è la semplice esecuzione di una volontà, bensì un’improvvisazione in “condizioni preparate”, che mobilita tutta la persona e la cui partitura, dunque, non ha nulla a che vedere con l’immagine che se ne può fissare a posteriori. È piuttosto un percorso di dislocazione degli stimoli, anche tematici e di continua decisione circa i ritmi con cui rispondere.
Puppa tende a privilegiare da una parte la dimensione performativa della narrazione, dall’altra la funzione narrativa della performance. In base a ciò il suo performer è anche, come lui stesso si definisce, “dramaturg”. Infatti, molti dei suoi testi teatrali sono dei “copioni”, frutto di rielaborazioni di una “scrittura orale” che non attende di essere recitata ma rivissuta e ogni volta reinterpretata.
"[...] la scrittura oralizzante e la resa performativa svincolata dal modello recitativo accademico sono talmente connaturati che l’assolo di narrazione si colloca sia nell’emancipazione estrema dell’attore, rispetto ai freni di una drammaturgia vincolante e di una regia costrittiva, tipica della scena istituzionale, sia nella polemica e gioiosa deprofessionalizzazione dell’interprete”.166
Una delle sue più recenti performance, ad esempio, tratta dalla sua raccolta di monologhi,167 presenta casi clinici che rimandano a miti antichi, calati nel Nord Est di oggi, tra disagio, disperazione e paura di vivere. Personaggi appartenenti a mondi classici lontani, tra Omero e la tragedia greca o la Bibbia, rivivono, così, in una veste laicizzata e prosaica.
Per il “dramaturg” Puppa, legato com’è al “qui e ora” della performance narrativa, diventa più complicato introdurre personaggi in un testo contemporaneo, perché occorre trovare un sistema per raccontare il loro passato, la loro situazione. Al contrario prendere dei personaggi celebri, evita tutto un lavoro di “flashback”, in quanto c’è una condivisione di conoscenza con lo spettatore. Ciò valeva anche per il teatro antico, dove la tragedia rappresentava sempre dei personaggi che erano già conosciuti. Inoltre, l’autore segue l’intuizione junghiana, secondo cui i miti muoiono nel moderno per rinascere sotto forma di patologie: nevrosi, depressione, solitudine etc.
In questa prospettiva, Puppa inizia il suo seminario invitando ogni allievo alla lettura personale di uno dei suoi testi, per lo più monologhi, appunto, o “scritture dialogiche”, nelle quali ogni personaggio racconta dal suo punto di vista la trama degli eventi, come in una singolare autobiografia letteraria.
166 Cfr. Puppa P., La voce solitaria, Bulzoni Editore, Roma, 2010. 167 Cfr. Puppa P., Cronache venete, Titivillus, Pisa, 2012.
Ogni seminario è legato ad un tema, ad una particolare visione della condizione umana. Ad esempio, nell’affrontare il tema del carcere e del disagio Puppa ha proposto la lettura del suo monologo “Minotauro”.168
Per indagare il tema del viaggio e dell’esilio è stata proposta al gruppo la lettura del “Centauro”, 169 un monologo ispirato dal secondo Canto
dell’Eneide, rivisitando alcuni motivi dell’epos classico: la fuga di Enea da Troia in fiamme, l’incontro con la madre Venere, l’odio di Giunone, fino al celebre episodio del racconto sulla fine della città fatto a Didone. Gli eventi sono interpretati come vissuti da tre diversi personaggi: un adolescente, un mafioso siciliano, un esule palestinese.
Mentre “Parole di Giuda”170 è un copione teatrale che traduce sulla scena
le nuove verità emerse intorno ad una creatura tanto vilipesa ed è incentrato sul tema del tradimento.
La lettura personale e intima dell’opera scelta è una “precondizione” del seminario, utile a creare un background comune, una “predisposizione” al training laboratoriale, il cui inizio vero e proprio consiste in una lettura collettiva, nella quale gli allievi si alternano al leggio per recitare ad alta voce l’intero copione.
La lettura individuale del testo stimola una dimensione di concentrazione e di silenzio individuale, un pensiero interno che assorbe e colloquia incessantemente con i contenuti del testo. Essa stimola soprattutto la vista, crea un atteggiamento di valutazione soggettiva, implica un processo di identificazione nei personaggi e di proiezione in essi delle proprie emozioni e dei propri sentimenti, facilitato dal carattere monologante della scrittura di Puppa. Tale valenza autoformativa della lettura s’arricchisce e si trasforma nel contempo attraverso la lettura ad alta voce che, rievocando quella collettiva dell’antichità, stimola soprattutto l’udito e crea un forte senso di gruppo e di affidamento alle suggestioni di colui che legge. Puppa orienta ogni allievo verso la
168 Cfr. Puppa P., Il Minotauro, in Famiglie di notte, Sellerio, Palermo 2000. 169 Cfr. Puppa P., Il Centauro. Dal canto II dell’Eneide, in Culture Teatrali. Studi, interventi e scritture sullo spettacolo, n. 9, 2003.
drammaticità del testo, tramite la ricerca di un uso attento e sofisticato della voce: le pause, i silenzi, le interruzioni del flusso verbale, la sillabazione frantumata, l’alterazione dei toni, etc.. Parafrasando la metafora biblica, possiamo dire che la lettura ad alta voce trasforma il verbo in carne, la parola in corpo, consentendo a ciascuno di esplorare quel “comportamento ritrovato”, che agisce all'interno di frammentazioni comportamentali, e di entrare non soltanto in un'altra personalità, ma di agire a metà tra le due identità: quella del sé e quella del personaggio.171
Tale rito collettivo introduce l’intervento di codici diversi, che annunciano l’apporto di tradizioni e traduzioni in un incessante gioco di fedeltà e tradimenti del testo tra campi semantici e linguaggi espressivi.
Infatti, la seconda fase del laboratorio prevede una reinterpretazione scenica della vicenda attraverso improvvisazioni verbali e fisico-ritmiche adeguate alle capacità e alle motivazioni degli allievi, alle loro storie personali e professionali. Costoro, da soli, a coppie o in piccoli gruppi, sono chiamati a costruire “performance” sulle “topiche” del copione. Questa ricerca-azione corporea, psichica ed espressiva richiede un training rigoroso che Puppa conduce come mediatore della relazione intra e interpersonale, come “Teacher of Performer” in senso grotowskiano,172
che “impedisce d’impedire”, per favorire lo sviluppo di emozioni e la presa in carico di responsabilità del sé e della scelta dei propri atti, e come regista assumendosi il compito di connettere i diversi prodotti delle improvvisazioni in un “ensamble di gruppo”. Per realizzare quest’ultima fase del laboratorio, quella che Puppa definisce la “performance collettiva”, occorre una continua messa a punto e ripetizione di atti, gesti, suoni e voci, non per memorizzarli in vista della ripresa scenica, ma per apprenderli e interiorizzarli automaticamente come sequenze di un rito. L’aspetto rituale, infatti, riveste una straordinaria importanza nel percorso del training formativo.
171 Cfr. Schechner R., La teoria della performance: 1970-1983, Bulzoni, Roma 1984. 172 Cfr. Richards T., Al lavoro con Grotowski sulle azioni fisiche, Ubulibri, Milano, 1993.
Il rito in questo caso, come per Turner,173 ha una funzione di
riconferma e di cambiamento, serve a codificare e celebrare. Nel rituale il gruppo può individuare e sentire un rinnovato senso di appartenenza. Assume, così, un valore contenitivo molto forte e una notevole pregnanza emotiva. Non è una sovrastruttura di forme rigide, ma un insieme connesso di strutture in co-evoluzione per mantenere quei legami che permettono al flusso narrativo di essere riconoscibile all’interno e comprensibile all’esterno, pur nei suoi diversi significati e differenti interpretazioni.
Come si può ben comprendere, si tratta di un’intrapresa complessa che parte dal testo, non tanto come “pre-testo” da tradurre o reinterpretare, quanto piuttosto come “con-testo”, in cui esperire la problematicità dell’esistenza umana nei suoi aspetti tragici e drammatici, ma anche ironici e caricaturali. Ci troviamo, così, nuovamente in presenza di uno sfondo narrativo che, più che raccontare, evoca vissuti fantasmatici, nel tentativo di esorcizzare i piccoli mostri che s’annidano nei nostri mondi interiori, e di riconciliare la molteplicità dell’individuo attraverso i personaggi creati, tra l’umano di volti e corpi e il “superumano” delle maschere interpretate. Forse sono attribuzioni eccessive, o forse no, se si considera come questa metodologia d’intervento recupera una dimensione autoformativa, che si gioca in una dinamica di de-costruzione dell’identità e assume una valenza che va oltre l’educativo verso la terapia, intesa come come “cura sui”.