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Bildungroman e identità professionale

Da questa prospettiva, l’idea di famiglia acquista specifiche connotazioni sociali, come accade anche per l’idea di lavoro. Pur essendo l’attività economica collocata ostentatamente al di fuori del processo di formazione e di socializzazione, ciò non significa che i personaggi del Meister siano degli oziosi. Come ci fa notare Moretti, l’elogio del commercio pronunciato da Werner, l’alter ego di Wilhelm, più che celebrare i meriti economici del “mercato”, ne afferma la funzione di connettere in una trama di senso le più disparate attività umane, rendendo visibili i rapporti sociali e indicando all’individuo quale posizione occuparvi.

Per la sua dinamicità, per l’inquietudine connessa allo sforzo continuo di accumulare ricchezze, per la costante conflittualità dovuta alla concorrenza cui è soggetto, il viaggio del mercante non potrà, comunque, mai concludersi in un luogo ideale come la tenuta della Torre, dove tutto è benessere, trasparenza e finitezza. A un’idea di lavoro finalizzato all’”avere”, se ne contrappone ed esalta un’altra finalizzata all’”essere”. Al lavoro che produce merci, oggetti che acquistano valore solo nello scambio, che li allontana dal loro produttore, si oppone un lavoro - più simile all’arte che all’attività economica - capace di realizzare “cose armoniose”:

“oggetti che ‘tornino’ a chi li ha creati permettendogli di riappropriarsi interamente della propria attività”.47

Il lavoro del Meister non aderisce a una logica propriamente economica, ma acquista una forte impronta pedagogica, e in alcuni casi addirittura terapeutica: riesce, infatti, almeno provvisoriamente, a sanare la follia dell’Arpista. L’aspetto soggettivo, associato al sentimento di sé,                                                                                                                

all’inventiva personale, all’opportunità che offre di coltivare le proprie facoltà intellettuali, prevale sull’aspetto oggettivo, strumentale e, in quanto tale, alienante del lavoro. In questo senso, il Bildungroman esplicita in forma narrativa la concezione estetica schilleriana.

Per Schiller,48 l’uomo moderno ha acquisito progressi enormi nel campo

del sapere e dell’intelletto, ma questo suo incessante maturare e crescere intellettualmente, l’ha allontanato da un rapporto armonico con la natura e con il tutto, caratteristico dell’uomo greco. Mentre questi ha ricevuto la sua forma dalla natura, “che tutto unifica”, l’uomo moderno l’ha ricevuta dall’intelletto “che tutto distingue”. L’unilateralità nell’esercizio delle facoltà umane si rivela vantaggiosa per la specie, ma crea alienazione nell’individuo. La maggiore specializzazione da una parte, il “meccanismo più complesso degli stati”, dall’altra, ha quindi compromesso l’intima armonia dell’anima umana.

È interessante notare come Schiller, descrivendo la relazione tra umanità e progresso, segue sempre un duplice piano: quello istituzionale e quello dell’interiorità dell’uomo: ciò che ha il potere di cambiare la società è l’uomo nella sua interiorità, ma contemporaneamente questo stesso uomo viene trasformato dal contesto sociale in cui si forma.

L’uomo, allora, deve potersi sviluppare partendo da una relazione rinnovata e armoniosa tra sensibilità e intelletto. Ciò può avvenire solo in un contesto di libertà, dove siano rispettate le particolarità e le caratteristiche uniche degli individui. L’ideale di Schiller, risposta agli echi che giungevano dalla rivoluzione francese, è quello di una “società socievole”, spontaneamente coesa, priva di lacerazioni e conflitti. Una società in grado di attenuare e rielaborare l’alienazione che deriva dal lavoro capitalistico finalizzato all’utile, attraverso un’educazione estetica fondata sulla “bellezza” e l’”arte”, più in sintonia con l’anelito dell’uomo all’armonia e alla felicità.

                                                                                                               

48 Cfr. Schiller F., Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, La Nuova Italia, Firenze

L’idea di lavoro che emerge dalla lettura del Bildungroman e che riecheggia nella cultura tedesca del tempo di Goethe, di cui l’autore si fa interprete e narratore, assume un particolare rilievo se letta alla luce dell’attualità. La cultura occidentale è sempre stata pervasa da una dialettica tra opposte analisi sulla visione del lavoro, che ha inoltre generato ideologie contrastanti nel tempo. Senza volersi addentrare in approfondite analisi politiche e sociologiche, possiamo affermare che “modelli narrativi del lavoro” hanno influenzato e influenzano la nostra formazione personale e la costruzione della propria identità. L’opposizione si presenta ancor oggi, in un’epoca di tardo capitalismo e di globalizzazione, e corre tra la visione di un lavoro che degrada l’umanità, perché non serve l’uomo, bensì il dio dell’utile, come diranno Schiller e l’abate del Meister, e quella di un lavoro che, altresì, nobiliti la persona impegnandola a perfezionarsi, a raffinare il suo carattere coltivando le proprie facoltà intellettuali in un rapporto di reciproca cooperazione con gli altri, in vista del raggiungimento di fini comuni.

Dagli albori della modernità, fondata sulla promessa messianica di un progresso costante e inalterabile, alla sua fine, venuta meno la speranza di poter articolare le conoscenze acquisite con la necessità di migliorare il mondo, l’utilitarismo pare ancora costituire l’ideologia dominante. Per l’utilitarismo il valore dell’individuo si basa su criteri meramente quantitativi, determinati dalla sua funzione produttiva nel contesto dell’economia di mercato.

Come ci ricordano Benasayag e Schmit,49 l’affermazione del neoliberismo

ha imposto al mondo l’economicismo come una sua seconda natura e, potremmo aggiungere, declina le narrazioni della nostra formazione personale e professionale in senso individualistico e in modo unidimensionale, eludendo sia le aspirazioni soggettive della persona, sia la possibilità che queste si accordino con l’aspetto pubblico dell’esistenza.

                                                                                                               

“Egli deve rendersi utile, sviluppare alcune attitudini, ed è inteso che nel suo essere non ci sia né possa esserci armonia; poiché per rendersi utile in un modo, deve trascurare tutto il rimanente”. (Wilhelm Meister, V, 3)”50

La reazione a tale rinuncia sta nell’idea di un lavoro più prossimo all’arte e alla socievolezza estetica. Un lavoro che, anziché scindere una oggettivazione alienata e un’interiorità incapace di esprimersi, crei una continuità tra interno ed esterno, tra la formazione personale dell’individuo e la sua socializzazione.

Tale visione del lavoro appare in tutta la sua attualità e ci induce ancor oggi a riflettere e a rielaborare la costruzione della nostra identità in rapporto con la propria formazione professionale.