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Principio di classificazione e principio di trasformazione

Lo studio di Moretti si basa sulle “differenze di intreccio”, e più esattamente sul modo in cui l’intreccio perviene all’istituzione del senso nei diversi tipi di romanzo di formazione. Seguendo la distinzione classica di Lotman tra “principio di classificazione” e “principio di trasformazione”,30 lo

studioso rivela come, pur essendo entrambi presenti nelle opere del genere, il prevalere dell’uno o dell’altro comporta opzioni di valore molto diverse, che si traducono in differenti strategie narrative e indicano atteggiamenti opposti nei confronti della modernità.

Quando prevale il principio di classificazione l’intreccio narrativo si risolve in un finale particolarmente marcato, in cui il significato degli eventi, come nel pensiero hegeliano, conduce ad un unico scopo; la storia acquista senso quanto più riesce a sopprimersi come racconto. Esempi di questo tipo sono il classico Wilhelm Meister di Goethe, e il “romanzo familiare” della tradizione inglese, come Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen.31

Quando, invece, a predominare è il principio di trasformazione, a conferire senso al racconto è la sua “narratività”, che si declina in un processo aperto, instabile e mai definitivo; come nel pensiero di Darwin, prevale una logica narrativa, secondo la quale il senso della storia consiste proprio nell’impossibilità di poterlo fissare. Romanzi di questo tipo sono il Rosso e Nero di Stendhal e l’Onegin di Puškin.32

I due modelli del romanzo di formazione rappresentano visioni opposte della gioventù e di conseguenza, identificando quest’ultima con l’avvento della nuova epoca, incarnano idee contrapposte nei confronti della modernità.

                                                                                                               

30 Cfr. Lotman J., La struttura del testo poetico, Mursia, Milano 1990. 31 Cfr. Austen J., Orgoglio e pregiudizio, Einaudi, Torino 2010.

32 Cfr. Stendhal, Il Rosso e il Nero, Einaudi, Torino 2005 e Puškin A. S., Eugenio Onegin,

Il contrasto rivela un vero e proprio sdoppiamento dell’immagine della gioventù. Sotto il segno del principio di classificazione la gioventù, vista come fase della vita che deve inevitabilmente finire, è subordinata all’idea di “maturità”. Come il racconto ha un senso perché si conclude con un finale determinato, così la gioventù acquista il suo significato come tirocinio verso la vita adulta, verso un’identità stabile ed integrata.

Al contrario, all’insegna del principio di trasformazione la gioventù appare in tutta la sua irrequietezza e inquietudine; è una gioventù incapace di tradursi in maturità, perché vede tale conclusione come un tradimento, che la priverebbe di senso.

Proseguendo nell’analisi, c’è da rilevare come fu proprio il carattere contraddittorio del romanzo di formazione a decretarne il successo e, potremmo dire, ad affermare la sua influenza sull’idea di creazione del sé.

“Giacché la contraddizione tra opposte valutazioni della modernità e della gioventù, o tra opposti valori e rapporti simbolici, non è un difetto – o magari è anche un difetto – ma è soprattutto il paradossale principio di funzionamento di larga parte della cultura moderna.” 33

In questo genere di narrativa i contrasti tra libertà e felicità, tra identità e cambiamento, tra sicurezza e metamorfosi, tipici della mentalità occidentale moderna, pur sviluppandosi in una dialettica conflittuale nella relazione con se stessi e con l’altro, tendono a risolversi in una logica di “compromesso”. Da questo punto di vista, il romanzo di formazione non produce alcuna formalizzazione concettuale, come nel caso del Faust goethiano, il cui ideale di sintesi si riflette nella filosofia di Hegel.34 È più

affine, invece, alla sfera del quotidiano, agli eventi ordinari della nostra                                                                                                                

33 Moretti F., Il romanzo di formazione, op. cit. p. 10

34 Attraverso la figura simbolo del Faust goethiano, Hegel afferma che l’unione con

l’universale è l’aspirazione massima della coscienza. Tale unione è possibile se e quando l’individuo scopre che la sua felicità è concepibile unicamente nella vita Etica, all’interno di un tessuto sociale, dove poter realizzare la propria essenza e le proprie autentiche finalità. Non è possibile quindi rimanere allo stato di pura individualità perché lo Spirito è universalità concreta.

esistenza, nella quale, attraverso diverse forme di compromesso, proviamo a convivere con le contraddizioni che ci abitano.

Non solo la filosofia, ma nemmeno la psicanalisi, al contrario delle interpretazioni in cui s’è spinta nei confronti del mito, della tragedia, della fiaba e della commedia, ha tentato simili analisi riguardo al romanzo di formazione. Il motivo di questa mancata riflessione è da individuare, secondo Moretti, nel diverso approccio di psicanalisi e romanzo nei confronti dell’individuo. La prima tende a scomporre la psiche tra le sue opposte forze, guardando sempre e dovunque oltre l’Io; il romanzo si pone invece il compito di amalgamare e far coesistere gli aspetti contraddittori della personalità, per costruire l’Io, ponendolo al centro della propria struttura. Abbiamo visto come il “plot narrativo” del romanzo di formazione sviluppi sempre, attraverso la molteplicità degli intrecci e delle trame, il tema della socializzazione

“… che consiste, in larga misura, nel ‘buon funzionamento’ dell’Io grazie a quel compromesso particolarmente ben riuscito che è per Freud il ‘principio di realtà’”.35

Questa continua tensione verso l’integrazione sociale del protagonista, sia nelle circostanze in cui si realizza, sia nei casi di rifiuto o di impossibilità ad attuarla, ci porta a interrogarci su un’idea terribilmente imbarazzante per la nostra cultura, come quella di “normalità”. È una normalità letta dall’interno, anti – eroica e prosaica, che rende i personaggi più unici che tipici, e al tempo stesso familiari al nostro senso della vita, alle narrazioni che accompagnano la costruzione del sé nell’esperienza quotidiana.

Proprio l’affinità delle caratteristiche dei romanzi di formazione con quelle intrinseche ai modi delle nostre esistenze quotidiane, ci invita a indagare nei primi quei fattori utili per comprendere ed elaborare i secondi. Non si tratta di ricercare modelli, ai quali ispirare le proprie vite, ma di analizzare quegli elementi narrativi “sporgenti”, la cui scelta da parte degli scrittori                                                                                                                

del genere ha contribuito a rendere esemplari le loro storie. Tale analisi ci aiuta a riflettere sulle strategie che mettiamo in atto nella costruzione delle nostre identità, e può contribuire a un’elaborazione più consapevole di quei dispositivi narrativi che applichiamo in modo spesso irriflesso e inconscio quando ci affidiamo alle esperienze passate per affrontare situazioni nuove: previste e impreviste, prevedibili e imprevedibili.

L’opera di Franco Moretti si rivela una preziosa “banca dati”, da cui ricavare quella tipologia di elementi sopra indicati. La sua indagine del romanzo di formazione, che spazia dalla letteratura alla filosofia, dalla psicanalisi alla sociologia, dall’antropologia alla storia, offre anche utili indicatori di metodo per l’analisi di altre opere del genere.

Per Moretti, il Bildungroman, nella sua originaria e originale composizione presenta la più equilibrata soluzione a uno dei dilemmi della nascente civiltà borghese moderna: il conflitto tra l’ideale dell’”autodeterminazione” dell’individuo e le esigenze, altrettanto imperiose, della sua “socializzazione”. La tensione verso l’”individualità” e il desiderio di “normalità” si presentano nelle diverse opere non come coestensive e isomorfe ma complementari e governate da meccanismi narrativi diversi. I valori e le esperienze che soddisfano il senso dell’individualità, ostentati e continuamente in primo piano, formano l’”intreccio”, l’aspetto più affascinante e prevalente delle opere; sullo sfondo, l’anelito all’integrazione, l’accettazione o il rifiuto delle convenzioni sociali, rappresenta la “fabula”, come ristretta logica compiuta in se stessa degli eventi narrati. Si afferma così la visione dominante del pensiero borghese, quella dello “scambio”: la realizzazione dei propri valori passa inevitabilmente per l’accettazione di quelli sociali.