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Autoformazione e identità sociale

L’aspetto che qui più ci interessa, è proprio la pratica della “cura di sé”, come metodo formativo che implica un ruolo fondamentale per coloro che per professione devono “prendersi cura” di altri soggetti. A educatori, insegnanti, assistenti sociali, animatori, formatori e alle altre figure professionali, che esercitano l’aiuto alla persona, per stare in quella cura degli altri, intesa a promuovere emancipazione e autonomia, è richiesto di liberarsi il più possibile da pregiudizi, condizionamenti e false credenze che nelle proprie esperienze operano spesso come “impensati”. Anche e soprattutto per loro è necessario confrontarsi con quei nuovi processi di formazione adulta legati alla riflessività interiore, all’orientamento e all’auto-direzione di sé.

In una società fluida, dove il sistema sociale non è più stabile e determinato nelle sue articolazioni, ma in continua trasformazione, la realtà che viviamo è sempre quella del momento, è la relazione di senso che occorre ricercare in ogni istante; è una realtà implicativa, nella quale osservatore ed osservato si compenetrano; è una realtà interna ed esterna, per la quale il soggetto creando legami con gli altri si fa coscienza del mondo; è una realtà dinamica e costruttiva, dove l’azione della persona è perturbazione per l’altro che, per mantenere l’equilibrio, sarà costretto a mutare.

Maturana e Varela87 ci aiutano a chiarire questa prospettiva, proponendo

come modello in grado di render conto dello sviluppo delle singole identità quello di un “accoppiamento strutturale” fra realtà che si sviluppano mantenendo la propria organizzazione. La costruzione di sé va intesa, per                                                                                                                

86 Cfr. Cambi F., L’autobiografia come metodo formativo, Laterza, Bari 2002. 87 Cfr. Maturana H, Varela F., L’albero della conoscenza, Garzanti, Milano, 1990.

questi autori, come una complessa e dinamica forma di adattamento, come una “deriva di cambiamenti strutturali”, che permettono alla persona e all’ambiente di coevolvere, mantenendo, ciascuna, la propria autonoma organizzazione. In questo senso le due realtà, soggetto e contesto, costruiscono un mondo condiviso, cioè una storia.

L’identità personale, quindi, come una coevoluzione di elementi diversi, un equilibrio originale di diversità: diverse linee di crescita che si intrecciano e si sovrappongono.

È quanto già risalta dalla lettura dei romanzi di formazione che abbiamo analizzato nel capitolo precedente. Un ulteriore e calzante riferimento letterario può aiutarci a comprendere come la diversità degli elementi concorra alla definizione della propria identità. È il caso di “Narciso e Boccadoro” di Hesse.88

Questa storia di amicizia, di amori, di passioni e di arte, è anch’essa una lunga metafora formativa.

“Boccadoro, all’inizio del racconto è un ragazzo, dai riccioli biondi e dal sorriso ingenuo, che giunge in un convento per ricevere un’istruzione. Qui incontra Narciso, un giovane maestro, di poco più grande di lui, col quale l’affinità è immediata. Boccadoro ammira le doti intellettuali e spirituali del maestro, e desidera ardentemente conquistarsene la simpatia. Narciso, a sua volta, è affascinato dall’indole inquieta del ragazzo, dalla sua curiosità, dal suo bisogno di sperimentare. È un’inquietudine che gli deriva dall’amore per una madre il cui ricordo gli è stato offuscato dal padre. Questi ha sempre descritto a Boccadoro la madre come una donna selvaggia e vagabonda, che lo aveva abbandonato quando era ancora molto piccolo. Proprio per espiare le colpe materne, il padre lo convince a dedicare la sua vita a Dio.

                                                                                                               

Narciso, da gran conoscitore della psiche umana, comprende come le ansie del giovane sono legate alla scomparsa della madre, da cui Boccadoro ha ereditato lo spirito inquieto e gitano. Decide, allora, di aprirgli gli occhi, e per aiutarlo a trovare la sua strada, lo avverte:

‘Io ti prendo sul serio quando sei Boccadoro. Ma tu non sei sempre Boccadoro. Io non mi auguro altro se non che tu divenga Boccadoro in tutto e per tutto. Tu non sei un erudito, tu non sei un monaco … per far un erudito ed un monaco basta una stoffa meno preziosa della tua’.

L’invito di Narciso, che non risparmia all’amico parole di fuoco, è un’esortazione affinché Boccadoro possa realizzare se stesso nel modo giusto, non in quello impostogli dal padre.

Il ragazzo decide, così, di intraprendere un viaggio, un vagabondaggio senza mèta, passando da un’avventura all’altra, alla ricerca della figura materna, del senso pieno della vita. Boccadoro attraverserà la propria esistenza, combatterà le sue paure, conoscerà la bestialità dell’uomo, l’effimera durata del dolore come del piacere. Infine, approderà sulla sponda sicura dell’arte con la quale s’illuderà di poter sconfiggere la stessa morte. Intagliando sculture nel legno presso un anziano scultore, crede di rivedere nel volto della Madonna quello di sua madre; si svelerà, altresì, l’immagine di una Madre Primigenia, che riunisce in sé i visi di tutte le donne che ha amato e da cui è stato amato. È la coscienza del mondo che si coniuga con l’esperienza di sé.

Solo al termine di una vita errabonda, Boccadoro ritorna al convento, dove ritrova Narciso, il suo grande amico. In fondo a ciascuno dei due è rimasta la convinzione di essere complementari, due anime opposte che si completano, in cui ciascuna si arricchisce dell’altra. Narciso è una parte di sé che non può essere eliminata, pena una riduzione delle proprie

potenzialità; questo è il senso delle ultime parole di Boccadoro prima di morire: ‘Anch’io ti ho sempre voluto bene, Narciso: la metà della mia vita è stata uno sforzo continuo per guadagnarmi l’animo tuo.’”

L’esito della ricerca sarà proprio la scoperta della complessità dell’essere umano. La stessa complessità si ripropone a livello cognitivo, perché l’intelligenza non funziona secondo un’unica modalità. Wallon89 ha per

primo posto in risalto la complementarietà fra due diversi tipi di intelligenza. Da una parte l’intelligenza spaziale (o consecutiva), di tipo pratico, che si organizza a partire dall’azione e dai suoi effetti. Dall’altra l’intelligenza concettuale, che si organizza intorno alle operazioni mentali. Entrambe coevolvono; ciò che varia è la calibrazione delle reciproche relazioni e influenze.

In questo modo, fin da bambini, costruiamo il “reale”, appropriandocene in modo originale; produciamo ipotesi e teorie e attraverso queste diamo senso al mondo e alle nostre esperienze. È un procedere per continue organizzazioni, disorganizzazioni e riorganizzazioni di quadri mentali. Se la molla di questo processo è, in termini piagetiani, lo “squilibrio”, non si tratta però unicamente di uno squilibrio cognitivo: non mutiamo le nostre teorie solo perché i fatti le smentiscono, ma perché quelle stese teorie, che contribuiamo a costruire, non sono più in grado di mantenere quell’accoppiamento strutturale all’ambiente che garantisce il permanere della propria identità.90