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L’ambiguità mostrata dalle Parti Sociali, la complessità ed interdisciplinarietà del fenomeno, la scarsa chiarezza sugli obiettivi prefissati per i piani in esame, la frammentarietà dell’articolato normativo nazionale ed una scarsa cultura della partecipazione hanno sino ad ora frenato un effettivo sviluppo dell’azionariato dei dipendenti nel nostro Paese.

Ciò, nonostante il fenomeno sia sempre più diffuso negli altri Stati europei (577) e la dottrina economica abbia dimostrato l’utilità sotto vari profili di un’incentivazione del modello partecipativo, al fine, tra l’altro, di ridurre i problemi di agenzia ed accrescere la competitività delle imprese (578).

La crescente attenzione mostrata dalle istituzioni europee per la partecipazione finanziaria dei lavoratori all’impresa, anche nell’ambito di politiche per il miglioramento della governance societaria, rendono, però, ora inevitabile un nuovo approfondimento di tali tematiche a livello interno.

La discussione non potrà, quindi, che svilupparsi sulla base dei principi stilati a livello comunitario, come già ha dimostrato di fare il legislatore italiano, che negli ultimi interventi in materia ha dato voce ai criteri di volontarietà della partecipazione, non discriminazione nell’attuazione dei piani, corretta informazione del lavoratore ed

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M. MATHIEU, Annual Economic Survey of Employee Share Ownership in European Countries, European Federation of Employee Share Ownership, 2016, in www.efesonline.org: “The stake held by

employees in large European companies continued its rise. It had never been so high before, with 3.20% in 2016 (…) and 325 billion Euro. Even through the European crisis, employee ownership demonstrates again and again its status as a formidable engine of participation and development. Assets per person have doubled since 2009, with 42.000 € per person (and 23.000 € if executive directors are excluded) (...)The development of employee share ownership has continued in large European companies in 2016. Still more and more of European companies organized employee share plans. In 2016, 94% of all large European companies had employee share ownership, on which 86% had employee share plans of all kinds, while 53% had "broad-based" plans for all employees, and 63% had stock option plans. Finally, 28% of all large European companies launched new employee share plans in 2016, not very different from previous years (…)However, the imbalance has continued to widen between European countries. Some European countries have chosen for stronger incentive policies, promoting employee share ownership and long term savings as an investment for the future. The UK, Austria and Norway chose to double the fiscal incentives for employee share ownership, considering taht it is a key element of recovery, while Spain, Denmark, Romania and Poland have also to be mentioned in this way Instead of that, some other countries have chosen to reduce public spending and to support household consumption, while incentives for long term savings and for employee share ownership were sacrificed (France, Greece, The Netherlands). Meanwhile, Germany maintained its reluctance to promote employee share ownership. The following graph shows the growing divorce between continental Europe and the UK. While 28% of employees held shares of their company last year in the UK, a sharp drop below 20% was observed on the continent (…)”.

578

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adeguata diversificazione degli investimenti di quest’ultimo.

Tante sono, però, le questioni sollevate in sede europea e che, ancora, rimangono irrisolte nel nostro ordinamento, prime fra tutte, la ricerca di modelli per una gestione collettiva delle azioni attribuite ai dipendenti, i diritti di rappresentanza negli organi sociali ad essi ricollegati, la visione della partecipazione finanziaria dei lavoratori quale risorsa previdenziale integrativa a livello individuale, il ruolo del lavoratore – azionista nel miglioramento del governo societario.

Affrontare tali problematiche richiede, tra l’altro, un notevole sforzo di dialogo con le organizzazioni sindacali, che potrebbe essere facilitato assicurando un ruolo centrale alla contrattazione collettiva nella realizzazione dei piani, rimarcando il principio di non sostitutività della partecipazione finanziaria alla retribuzione fissa dei dipendenti e prendendo le distanze da modelli che propongono lo scambio tra azioni dell’impresa e diritti fondamentali dei lavoratori, come avvenuto in Inghilterra con l’introduzione dell’Employee - Shareholder Status nel 2013 (579).

Fermi questi criteri, l’azionariato dei dipendenti può prestarsi ad una lettura nell’ottica di un nuovo modello di impresa, orientata al lungo periodo e più attenta alle istanze degli stakeholders che con essa si relazionano (580).

579

Section 205a ERA, introdotto dalla Clause 31 del 2013 Growth and Infrastructure Bill, in vigore a partire dal 1 settembre 2013, commentata da J. PRASSL, Employee Shareholder “Status”: Dismantling the

Contract of Employment, in ILJ, 2013, n. 4, p. 313 ss.; R. JEARY, Employee owner status - Business

democracy or Beecroft by the back door?, in www.ier.org.uk, 24.10.2012; N. COUNTOURIS - M. FREEDLAND - J. PRASSL, Turning Employees into “owners”? The falsest promise yet, in www.ier.org.uk, 12.10.2012; S. SONNATI, Lo stallo del salario variabile: le reti di impresa ed il recupero dell’autonomia

individuale in forma assistita come tecniche di implementazione della retribuzione di risultato, in Riv. It. Dir. Lav., 2015, n. 4, p. 617 ss.; M. BIASI, On the Uses and Misuses of Worker Participation: Different

Forms for Different Aims of Employee Involvement, in The International Journal of Comparative Labour Law and Industrial Relations, 2014, n. 4, p. 459 ss. Come correttamente rilevato dall’ultimo degli autori

citati: “Whereas German example demonstrates that employee involvement does not imply any loss of

workers’ rights nor a trade-off between their ‘voice’ rights and other rights in the workplace, the Employee Shareholder scheme embodies the idea of a trade-off between employees’ basic individual rights and their ownership of a small portion of the firm’s capital. If individual share ownership on the part of employees is associated with an individual loss of rights, the scheme does not provide either voice nor exit chances as response mechanisms on the part of employees. On the contrary, the ‘exit strategies’ tends to favour employers rather than the employees. In conclusion, limited employee share ownership with an extensive loss if rights turns to be a mere ‘risk shift, away form the […] trade-off between dependence and protection’, rather than an instrument of emancipation of the workforce or, in other words, a new sign of subordination of labour to capital, paradoxically close to the traditional idea of ‘status’” (p. 480 – 481).

580

A questo proposito, occorre specificare che l’adozione dell’impostazione ricordata non implica necessariamente una collocazione nell’alveo delle teorie istituzionaliste dell’impresa, cfr. F. DENOZZA,

Quattro variazioni sul tema: “Contratto, impresa e società nel pensiero di Carlo Angelici”, in Giur. Comm., 2013, n. 3, p. 500: “In sostanza, o si ha il coraggio di affermare che la società per azioni è un organismo con un proprio interesse (cui la logica contrattuale non può essere evidentemente applicata:

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Perché tale modello trovi piena attuazione risulta, tuttavia, necessario un intervento legislativo condiviso con le Parti Sociali, che, pur lasciando alla partecipazione dei dipendenti il necessario carattere di facoltatività, garantisca un quadro chiaro ed omogeneo di norme di semplice implementazione e, sulla scorta di quanto statuito a livello europeo, diffonda la cultura della partecipazione ancora carente nel nostro Paese (581).

non si fanno contratti tra lo stomaco e il cervello) oppure si riconosce che non esistono interessi diversi da quelli delle varie parti coinvolte (soci, lavoratori, creditori, clienti, ecc.) e allora la logica del contratto si fa prepotentemente avanti. La mia conclusione, perciò, è che, essendo la società per azioni una istituzione, nel senso chiarito pocanzi di insieme di regole, e non un organismo, l’impostazione contrattualista ci dice una cosa più che ragionevole. Ci dice, cioè, che queste regole devono essere concepite in modo da contemperare gli interessi di tutti i soggetti coinvolti e che quindi dovrebbero avere possibilmente gli stessi contenuti che questi stessi soggetti avrebbero dato loro, se avessero potuto formularle una per una, dopo averle tutti insieme contrattate. Ed ecco che il nexus of contract fa nuovamente capolino”; M. LIBERTINI, Ancora in tema di contratto, impresa e società. Un commento a

Francesco Denozza, in difesa dello “istituzionalismo debole”, in Giur. Comm., 2014, n. 4, p. 669 ss.: “A prescindere dalla rilevanza giuridica che si voglia attribuire o negare agli interessi degli stakeholder, l’impresa può essere ugualmente concepita e governata come un’istituzione, così come può essere concepita e governata come un contratto di collaborazione fra i soci fondatori (e i loro aventi causa) o, ancora, come un nexus of contracts (…) se si muove dall’idea che la società sia nexus of contracts, è logicamente possibile allargare l’area degli interessi rilevanti, fino a includere fra questi gli interessi di diverse categorie di stakeholder. Se una proposta istituzionalistica può essere preferita, sul piano sistematico, è solo perché essa consente, a mio avviso, di giungere ad una migliore ricostruzione complessiva delle norme sul sindacato degli atti di esercizio dei poteri interni (…)”.

581

G. BIANCHI – M. BIANCHI, L’azionariato dei dipendenti come strumento di democrazia economica:

una sfida per le parti sociali, in www.nelmerito.it, 5.11.2010: “Il rapporto tra il ruolo della legge e quello della contrattazione collettiva in materia rimane un nodo irrisolto. Una legge “leggera” può creare alcune condizioni di sostegno soprattutto in materia di partecipazione finanziaria, ma non può certo condizionare la libera iniziativa contrattuale che deve adattarsi alle singole storie aziendali. Un ruolo invasivo della legga solleverebbe, poi, problemi di non facile soluzione in materia di una individuazione dei soggetti preposti al controllo degli adempimenti di legge e dei beneficiatari delle agevolazioni previste. Sul modello delle esperienze straniere la legge può prevedere nuovi strumenti legali (quali specifiche forme di trust o di fondi comuni) per favorire la partecipazione collettiva dei lavoratori azionisti e per incentivarne l’adesione, ma rimane aperto il problema della intensità degli stimoli fiscali e dei rischi connessi ad un eccesso di coinvolgimento dei lavoratori nei rischi di impresa”.

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