Analizzati i benefici per l’impresa che adotta piani di partecipazione finanziaria dei lavoratori, in particolare sotto il profilo della produttività e della capacità innovativa, non può perdersi di vista l’altro soggetto del rapporto di agenzia qui esaminato: il lavoratore.
La letteratura economica in materia si è soffermata su differenti aspetti di particolare rilevanza per il lavoratore sui quali lo shared capitalism presenta un evidente impatto. In proposito, Brown e Sessions hanno dimostrato che in presenza di compensi legati alla
performance, i lavoratori hanno una migliore opinione delle relazioni tra management e
lavoratori (173); altri studi hanno invece rinvenuto più alti livelli di formazione dei dipendenti (174) ed un minor numero di incidenti sui luoghi di lavoro ove siano adottati schemi partecipativi (175).
Ampiamente documentata, poi, è l’associazione tra partecipazione finanziaria e livelli più elevati di salario e benefits: vari studi (176) hanno, invero, sostenuto che,
173 S. BROWN – J. G. SESSIONS, Attitudes, expectations, and sharing, in Labour, 2003, vol. 17, n. 4, p. 543
ss.
174
O. AZFAR – S. DANNINGER, Profit–sharing, employment stability, and wage growth, in Industrial &
Labor Relations Review, 2003, vol. 54, n. 3, 619 – 630; A. ROBINSON – H. ZHANG, Employee share
ownership: safeguarding investments in human capital, in British Journal of Industrial Relations, 2005,
vol. 43, n. 3, p. 469 ss.
175
S. R. RHODES – R. M. STEERS, Conventional vs. worker–owned organizations, in Human Relations, 1981, vol. 24, p. 1013 ss.
176
J. BLASI – M. CONTE – D. KRUSE, Employee ownership and corporate performance among public
corporations, in Industrial and Labor Relations Review, 1996, vol. 50, n. 1, p. 60 ss.;P. KARDAS – A. SCHARF – J. KEOGH, Wealth and income consequences of ESOPs and employee ownership: a comparative
study from Washington State, in Journal of Employee Ownership Law and Finance, 1998, vol. 10, n. 4, p.
3 ss.; D. KRUSE, Profit sharing: Does it make a difference?, W.E. Upjohn Institute for Employment Research, 1993; M. HANDEL – M. GITTLEMAN, Is there a wage payoff to innovative practices?, in
67
incoraggiando la cooperazione tra i lavoratori, lo shared capitalism incrementi i risultati dell’impresa, una parte dei quali viene destinata ai lavoratori sotto forma di partecipazione ai risultati ovvero di più elevato salario di base, con conseguente premio per entrambe le parti del rapporto di agenzia qui considerato (177).
Ancora, in varie occasioni è stato dimostrato che le imprese che adottano piani di partecipazione azionaria dei lavoratori tendono ad avere tassi di impiego più stabili delle altre (178) oltre ad una maggior probabilità di sopravvivenza sul mercato nel lungo periodo (179).
Il tema è stato, poi, affrontato da Kruse, Freeman e Blasi (180), che, utilizzando i dati del General Social Survey e del National Bureau of Economic Research, hanno analizzato le relazioni tra shared capitalism ed una serie di variabili, quali il coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni dell’impresa, il monitoraggio operato dal datore di lavoro sui dipendenti, la qualità delle relazioni sul posto di lavoro, la sicurezza del posto di lavoro, la soddisfazione per il proprio impiego, e, soprattutto, il salario dei dipendenti.
Ebbene tale studio riscontra, innanzitutto, una positiva e significativa correlazione tra partecipazione finanziaria e partecipazione alle decisioni, specialmente in presenza di piani di partecipazione agli utili, nonché tra partecipazione finanziaria e percezione da parte dei lavoratori del trattamento loro riservato dall’impresa.
In presenza di compensi legati alla performance d’impresa, inoltre, si registrano migliori relazioni tra lavoratori e management, maggior libertà dei primi dalla supervisione, superiori possibilità di formazione per i lavoratori, maggiore sicurezza del posto di lavoro e soddisfazione del lavoratore, oltre ad un salario complessivamente più alto, senza che i meccanismi partecipativi sostituiscano la parte fissa della retribuzione. Nel complesso, può dunque affermarsi che i piani di partecipazione finanziaria
Industrial Relations, 2004, vol. 43, n. 1, p. 67 ss.
177
M . HANDEL – D. LEVINE, Editors' introduction: the effects of New Work practices on workers, in
Industrial Relations, 2004, vol. 43, n. 1, p. 1 ss.
178
B. CRAIG - J. PENCAVEL, The behavior of worker cooperatives: The plywood companies of the Pacific
Northwest, in American Economic Review, 1992, n. 82, p. 1083 ss.; M. BLAIR – D. KRUSE – J. BLASI, Is employee ownership an unstable form? Or a stabilizing force?, in T. KOCHAN – M. BLAIR, The new
relationship: human capital in the American corporation, Washington, D.C., The Brookings Institution,
2000.
179 M. BLAIR – D. KRUSE – J. BLASI, op. cit., passim. 180 D. L. KRUSE – R. B. FREEMAN – J. R. BLASI
, Do workers gain by sharing? Employee outcomes under employee ownership, profit sharing and broad–based stock options, in D. L. KRUSE – R. B. FREEMAN – J.
R. BLASI, Shared capitalism at work. Employee ownership, profit and gain sharing, and broad – based
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producano una pluralità di effetti positivi a vantaggio del lavoratore che ne benefici.
8.I rimedi allo shirking
Fermi i comprovati effetti della partecipazione finanziaria dei lavoratori su questi ultimi oltre che sull’impresa nella quale prestano la propria opera, non ci si può esimere dall’affrontare uno dei problemi più frequentemente sollevati nel dibattito sulla partecipazione finanziaria dei lavoratori, rappresentato dal rischio di opportunismo in forma di shirking.
Quando parte del compenso del lavoratore deriva infatti da una qualche forma di incentivo di gruppo, sotto forma di partecipazione agli utili o azionaria o tramite stock
options, il lavoratore che non compie la propria parte, in altri termini, lo shirker, sottrae
infatti sostanzialmente parte del guadagno agli altri lavoratori. In queste circostanze, in cui sarebbe necessario un intervento da pare dei membri del gruppo, nessuno sembrerebbe incentivato a intervenire, dal momento che il costo dell’intervento ricade su un soggetto che riceve solamente una parte del vantaggio complessivo (1/N). Il lavoratore razionale, dunque, non dovrebbe essere spinto ad agire nei confronti dello
shirker.
I fatti, tuttavia, dimostrano il contrario per quanto attiene alle relazioni di lavoro: i modelli di produzione in team e i piani di incentivi di gruppo, che hanno successo solamente se superano i problemi del free riding e dello shirking, sono infatti diffusi nelle economie moderne e riescono nei loro intenti anche grazie alla cultura che spesso si sviluppa nei luoghi di lavoro, ove i lavoratori scoraggiano i colleghi dallo shirking. Gli studi di Fehr and Gachter (181), per esempio, hanno dimostrato che gli individui puniscono gli shirker in esperimenti di laboratorio, anche quando non è nel loro interesse individuale farlo, a causa di norme di reciprocità che risultano particolarmente sentite da molti soggetti (182).
Fondamentale diviene, quindi, comprendere in quali occasioni il lavoratore risulti propenso a reagire allo shirking dei colleghi, interrogativo al quale la letteratura economica ha risposto indicando come più probabile un intervento del lavoratore in
181
E. FEHR – S. GACHTER, Cooperation and punishment in public goods experiments, in American
Economic Review, 2000, vol. 90, n. 4, p. 980 ss.
182
J. E. STIGLITZ, Peer monitoring and credit markets, in World Bank Economic Review, 1990, vol. 4, n. 3, p. 351 ss.
69
presenza di un elevato ammontare dell’incentivo di gruppo, di una maggiore possibilità che il proprio intervento determini un aumento nella performance dei colleghi, di un più basso costo dell’intervento e di un ridotto numero di membri del team (183). Punire gli “scansafatiche” sul posto di lavoro potrebbe addirittura favorire colui che interviene nel lungo periodo, se gli altri membri del gruppo apprezzassero tale forma di intervento, ricambiandolo con stima e riconoscimento di influenza all’interno del team.
Quanto alle modalità di attuazione di tale intervento, i lavoratori potrebbero scoraggiare lo shirking tramite forme di pressione tra pari o sanzioni non pecuniarie, come il senso di colpa o di vergogna, ciò che dovrebbe avvenire più facilmente in imprese più piccole, ove il problema 1/N è evidentemente ridotto.
Il management, poi, potrebbe cercare di sviluppare una cultura aziendale che enfatizza lo spirito d’impresa, promuove la cooperazione di gruppo, incoraggia meccanismi sociali che conducano al rispetto delle norme. Questi meccanismi possono basarsi sulla durata della relazione (184), sulla reciprocità (185) o sulla fiducia (186).
I lavoratori, in ogni caso, dovrebbero essere più inclini a contrastare il free riding in presenza di una qualche forma di interesse economico nella performance dell’impresa, di regolare possibilità di partecipazione nelle decisioni di quest’ultima, di buone relazioni con il management, in grado di garantire un riconoscimento in caso di intervento di contrasto al free riding.
Partendo da queste considerazioni, uno studio di Freeman, Kruse e Blasi (187) ha esaminato le reazioni dei lavoratori allo shirking sulla base di un questionario inserito nel General Social Survey (GSS) del 2002 e del 2006 e sui sondaggi condotti su quattordici società adottanti forme di incentivi di gruppo condotto tramite il National
Bureau of Economic Research.
In particolare, gli autori hanno chiesto ai lavoratori quanto per loro fosse semplice
183
R. DRAGO – G.T. GARVEY, Incentives for helping on the job. Theory and evidence, in Journal of
Labour Economics, 1998, vol. 16, n. 1, p. 1 ss.
184
D. FUDENBERG – E. MASKIN, The Folk theorem in repeated games with discounting or with incomplete
information, in Econometrica, 1986, vol. 54, n. 3, p. 533 ss.
185
M. R. AXELROD, The Evolution of Cooperation, New York, Basic Books, 1984.
186
T. B. KLOS – B. NOOTEBOOM, Agent–based computational transaction cost economics, in Journal of Economic Dynamic and Control, 2001, vol. 25, n. 3–4, p. 503 ss.
187 R. B. FREEMAN – D.L. KRUSE – J. R. BLASI, Worker responses to shirking under shared capitalism, in
D. L. KRUSE – R.B. FREEMAN – J. R. BLASI, Shared capitalism at work. Employee ownership, profit and gain sharing, and broad – based stock – options, National Bureau of Economic Research, The University
70
osservare la performance dei colleghi e la probabilità di un loro intervento nei confronti degli altri lavoratori in caso di riscontrata scarsa performance lavorativa.
Dai risultati dello studio è emerso come la maggior parte dei lavoratori sia convinta di poter facilmente e rapidamente intercettare lo shirking dei colleghi e che i lavoratori risultino molto propensi a intervenire nei confronti degli shirker in posti di lavoro che adottano qualche forma di shared capitalism e di partecipazione alle decisioni dell’impresa.
Le reazioni allo shirking sono risultate, poi, più frequenti ove tra i lavoratori ed il
management vi siano buone relazioni, quando l’impresa adotti high performance policies e bassi livelli di supervisione dei lavoratori e nei casi in cui questi ultimi
ricevono un salario fisso di livello pari o più alto di quello di mercato.
Coerentemente con quanto previsto dalle teorie sul free riding, il comportamento anti–
shirking si è, inoltre, rivelato più frequente nelle imprese di minori dimensioni che
adottano compensi legati alla performance.
Infine, i lavoratori di imprese nelle quali è più sviluppato un comportamento anti–
shirking hanno riferito di un maggior impegno prestato dai colleghi nel lavoro, di un
incoraggiamento reciproco tra dipendenti a lavorare più duramente e di una maggior produttività della propria impresa, ossia di una capacità dei meccanismi di monitoraggio tra pari di incentivare miglioramenti nella performance.
9.Il rischio per il lavoratore
L’aspetto di più difficile comprensione e maggior ambiguità dell’istituto qui affrontato, tuttavia, non è rappresentato tanto da shirking e free–riding, quanto, piuttosto, dal rischio per il lavoratore derivante dalla mancata diversificazione dei propri investimenti, contrariamente a quanto previsto da una regola fondamentale dell’economia: quella della diversificazione del portafoglio (188).
In presenza di un piano di partecipazione dei lavoratori agli utili o al capitale d’impresa, infatti, il lavoratore, al contempo, versa le proprie risorse lavorative ed economiche
188
Ex multis, H. M. MARKOWITZ, Portfolio selection, in The Journal of Finance, 1952, vol. 7, n. 1, p. 77 ss.; H. M. MARKOWITZ, Foundations of portfolio theory, in The Journal of Finance, 1991, vol. 46, p. 469 ss.; W. N. GOETZMANN – A. KUMAR, Equity portfolio diversification, in Review of Finance, 2008, vol. 12, n. 3, p. 433 ss.
71
nella medesima impresa (189), con evidente rischio di perdere entrambe in caso di insuccesso di quest’ultima.
Il problema è stato affrontato da Blasi, Kruse e Markovitz (190) sulla base di una serie di dati raccolti tra il 2001 ed il 2007 dal National Bureau of Economic Research, che considerano vari tipi di partecipazione finanziaria dei lavoratori, il reddito, l’opinione e le preferenze dei medesimi nei confronti dello shared capitalism, nonché le risposte comportamentali all’attuazione di piani partecipativi in termini di lealtà, turnover e volontà di lavorare più duramente per l’impresa. Tali dati costituiscono le variabili dipendenti dello studio.
Gli autori hanno considerato, poi, come variabile indipendente un “economic insecurity
score”, composto dalla retribuzione fissa annua di ciascun dipendente, dal numero di
multipli della retribuzione fissa annua del lavoratore dei quali è composto il suo patrimonio, dalla percezione che ciascun lavoratore ha della competitività del proprio salario rispetto ai parametri di mercato. Complessivamente, tale indice esprime il cuscinetto fornito dal patrimonio del lavoratore, tenendo conto del fatto che quest’ultimo si senta o meno compensato a livelli di mercato. Nel caso, infatti, in cui il lavoratore ritenga di essere sottopagato, la partecipazione finanziaria, secondo gli autori, potrebbe essere percepita come sostitutiva della retribuzione.
Blasi, Kruse e Markovitz, dunque, in primo luogo hanno analizzato il rischio sotto un profilo soggettivo, concentrandosi sulla reazione dei lavoratori alle variazioni nella loro insicurezza economica in presenza di piani di partecipazione finanziaria, ipotizzando che all’aumentare dell’economic insecurity score aumenti l’avversione del lavoratore allo shared capitalism.
I dati analizzati hanno, invero, confermato che i lavoratori siano tendenzialmente avversi al rischio e che all’aumentare dell’indice di insicurezza economica l’attitudine dei lavoratori nei confronti dello shared capitalism sia fortemente negativa, con significativa contrarietà ad accettare forme di compenso legate alla performance d’impresa, frequente ricerca di un altro lavoro, minor lealtà e maggiore assenteismo.
189
S. BENARTZI, Excessive extrapolation and the allocation of company stock to retirement accounts, in
Journal of Finance, 2001, vol. 56, n. 5, p. 1747 ss.
190
J. R. BLASI – D.L. KRUSE – H. M. MARKOVITZ, Risk and lack of diversification under employee
ownership, in D. L. KRUSE – R. B. FREEMAN – J. R. BLASI, Shared capitalism at work. Employee
ownership, profit and gain sharing, and broad–based stock – options, National Bureau of Economic
72
Gli autori hanno sostenuto, però, che relazioni aziendali di scarsa qualità e l’impossibilità per i lavoratori di influenzare le decisioni dell’impresa aiutino a giustificare la relazione negativa tra l’indice di insicurezza economica e l’attitudine dei lavoratori nei confronti delle forme partecipative, così suggerendo che gli effetti negativi derivanti dall’incertezza possano essere controbilanciati da politiche che migliorano le relazioni aziendali.
Ciò posto, gli autori hanno considerato il rischio sotto un profilo oggettivo, quello dell’effettiva mancata diversificazione del portafoglio del lavoratore/investitore, indipendentemente dalla sua percezione e dalle sue attitudini, cioè dal rischio soggettivo, interrogandosi, in particolare, sulla opportuna misura dell’investimento di quest’ultimo nel capitale della società ove presta la propria opera.
Tramite una dimostrazione matematica, sono giunti, dunque, ad affermare che la porzione ottimale del proprio portafoglio che il lavoratore può investire nel capitale dell’impresa in cui lavora si attesti intorno all’8.33%, mentre livelli più alti, compresi tra il 10 ed il 15%, potrebbero determinare effetti, pur ridotti, sulla volatilità del portafoglio del dipendente.
Lo studio, quindi, cambia la prospettiva adottata comunemente dai critici della partecipazione dei lavoratori, sostenendo che, da un lato, la teoria della diversificazione del portafoglio non imponga di evitare ogni forma di rischio, e, dall’altro, non sia necessario un alto livello di vulnerabilità del dipendente affinché un piano di partecipazione finanziaria presenti risultati migliori.
Così corretta la prospettiva, si può allora affermare che la teoria della diversificazione del portafoglio sia compatibile con lo shared capitalism, a condizione che la struttura dei piani di azionariato e di partecipazione agli utili dei lavoratori sia adatta al loro livello di sicurezza economica.
10.Alcune osservazioni
Nel presente capitolo si è cercato di fornire la ratio economica della partecipazione finanziaria dei dipendenti, di quella azionaria in particolare, e di analizzarne gli effetti sull’impresa e sui lavoratori sulla base della letteratura scientifica esistente.
73
culturale e legislativo – in materia, e della conseguente difficoltà di comparare i risultati di studi effettuati solamente su scala nazionale. Peraltro, si sottolinea sin da ora come nessuno degli studi riportati analizzi specificamente le imprese italiane.
Ciò premesso, è tuttavia possibile effettuare alcune considerazioni di ordine generale sulla base di quanto sin qui riportato e di trarne alcune indicazioni di fondo, che conducono a ritenere utile un’incentivazione dell’istituto approfondito.
In primo luogo, pur a fronte delle ambiguità che emergono dall’applicazione del modello principale – agente alla partecipazione finanziaria dei lavoratori, numerosi studi confermano un positivo impatto dei piani in esame su redditività e produttività d’impresa. Il modello partecipativo contribuirebbe infatti a ridurre i problemi di agenzia, allineando gli interessi dei lavoratori a quelli dei datori di lavoro, incrementando la lealtà nei confronti di questi ultimi e la volontà dei primi di lavorare più duramente per la propria impresa.
I lavoratori risulterebbero, poi, più propensi a condividere le informazioni da loro possedute e a riportare e risolvere le problematiche riscontrate, ciò che consente di affermare l’esistenza di una positiva relazione tra partecipazione ed innovazione d’impresa.
Perché i piani di azionariato dei dipendenti possano avere effetti sui risultati imprenditoriali sembra però necessario prevederne una durata relativamente lunga, affinché i costi iniziali del piano possano essere scontati, la partecipazione diventi una prassi assimilata dall’impresa e dai suoi dipendenti e sia superata la fase di diffidenza iniziale che caratterizza l’implementazione del piano.
Particolare attenzione dovrebbe poi essere prestata alle motivazioni addotte dagli amministratori per introdurre piani di azionariato dei dipendenti: come si è visto, l’insuccesso dei piani può in realtà essere dettato dal fatto che gli stessi non siano stati promossi per migliorare la performance di impresa, ma per tutelare le posizioni del
management, ovvero dalla proposizione di detti piani in periodi di difficoltà per
l’impresa.
Quanto, poi, ai profili di maggiore criticità nell’attuazione dei modelli di partecipazione finanziaria dei lavoratori, si è visto che il rischio rappresentato per questi ultimi dall’investimento nell’impresa ove prestano la loro opera può mantenersi ben al di sotto delle soglie di pericolosità per il portafoglio dei dipendenti e che il problema dello
74
shirking può trovare una soluzione nel monitoraggio reciproco tra lavoratori.
Non rimane, dunque, che concentrarsi sulle esperienze e sull’ordinamento normativo interno, per comprendere le potenzialità applicative dell’istituto esaminato.
75
CAPITOLO III
L’ORDINAMENTOINTERNO
SEZIONE I
IL QUADRO STORICO
SOMMARIO: 1. Dalle azioni industriali al codice civile – 2. L’esperienza dei Consigli di Gestione – 3. L’art. 46 della Costituzione – 4. L’art. 47 della Costituzione – 5. Il ruolo delle Parti Sociali – 6. L’azionariato dei dipendenti nelle privatizzazioni.