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Gli incentivi alla detenzione prolungata delle azion

7. Orizzonte di lungo periodo e investimento di lungo corso

7.1 Gli incentivi alla detenzione prolungata delle azion

L’allineamento dell’orizzonte di lungo periodo con la detenzione delle azioni per un periodo prolungato può, dunque, essere perseguita mediante l’utilizzo di incentivi. Nella direzione delineata si muove, per esempio, l’art. 51 TUIR, che richiede il possesso continuato per almeno tre anni dalla percezione delle azioni per poter accedere all’esenzione fiscale e contributiva prevista dalla norma.

Nella prassi, poi, il medesimo obiettivo ha condotto all’attribuzione di ulteriori azioni gratuite a chi detiene il possesso delle azioni acquistate a titolo oneroso per un determinato periodo di tempo, come avvenuto nel processo di privatizzazione delle imprese pubbliche (566) o come recentemente accaduto presso il gruppo Unicredit, nell’ambito del “Piano Let’s Share” per il 2017, che ha previsto per i dipendenti

commerciale, 2015, n. 1, p. 12: “non è infatti detto che i soci che conservano a lungo la proprietà delle azioni di una certa società siano sempre, necessariamente, interessati ai piani di lungo periodo della società stessa. Anche per loro può arrivare, in qualsiasi momento, l’ora in cui è più opportuno arraffare qualcosa e vendere, piuttosto che continuare ad aspettare”.

565

Cfr. cap. II.

566

Si pensi alle privatizzazioni di Credito Italiano, Banca Commerciale Italiana, Istituto Mobiliare Italiano e Istituto Nazionale per le Assicurazioni (INA), che hanno riservato tranche di azioni ai dipendenti e agli ex dipendenti di tali imprese, prevedendo l’attribuzione gratuita di un’azione ogni dieci per chi avesse conservato la titolarità delle azioni possedute per tre anni. I lavoratori, in quanto categoria sociale omogenea, rappresentavano infatti “una solida e conosciuta base azionaria” in grado di contribuire al contenimento dei rischi derivanti da un azionariato eccessivamente fluttuante e l’assegnazione di bonus

shares era finalizzata a contrastare l’immediato realizzo dei titoli per realizzare capital gain di breve

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partecipanti uno sconto immediato del 25% sul prezzo di acquisto delle azioni ordinarie sotto forma di azioni gratuite soggette a divieto di alienazione per un anno (567).

L’introduzione degli art. 127 quater e quinquies T.u.f., che consente allo statuto delle società quotate di prevedere la maggiorazione del diritto di voto o del dividendo per l’azionista che detenga le azioni per il termine stabilito, offre, ora, tali ulteriori modalità di incentivazione all’investimento di lungo corso anche per il dipendente – azionista, facendo leva sulla possibilità di accrescere la propria influenza sulle decisioni per il tramite della maggiorazione del voto ovvero su interessi di natura prettamente economica del destinatario, per quanto riguarda la maggiorazione del dividendo.

In proposito, deve però chiedersi se sia consentito allo statuto prevedere clausole di maggiorazione del dividendo o del voto riservate ai soli dipendenti – azionisti (che, ovviamente, rispettino i requisiti temporali di detenzione delle azioni stabiliti agli artt. 127 quater e quinquies T.u.f.).

La questione solleva una serie di problematiche, che ineriscono al rapporto tra disciplina della maggiorazione del dividendo o del voto e principio di parità di trattamento ex art. 92 T.u.f. (568), norma che stabilisce che “Gli emittenti quotati e gli emittenti quotati

aventi l'Italia come Stato membro d'origine assicurano il medesimo trattamento a tutti i portatori degli strumenti finanziari quotati che si trovino in identiche condizioni”.

Ebbene, in primo luogo, diviene fondamentale comprendere quale significato attribuire al concetto di “identiche condizioni”, espressione dalla quale si desume che l’art. 92 T.u.f. “pone un principio non di uguaglianza assoluta fra i soci (principio che sarebbe

incompatibile con le regole fondamentali dell'organizzazione societaria), ma di uguale trattamento per chi si trova in identiche situazioni fattuali, così legittimando, l'applicazione di condizioni differenziate in presenza di circostanze eterogenee” (569) .

567

Il piano stabilisce che durante il periodo di vincolo, ai partecipanti sia concesso di alienare in qualsiasi momento le azioni acquistate, perdendo però le free shares relative alla quota di azioni vendute, cfr. www.unicreditgroup.eu.

568

Sull'interpretazione di questa norma cfr., G. MONTEDORO, sub art. 92, in G. ALPA - F. CAPRIGLIONE (a

cura di) Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, II, Cedam, Padova, 1998, p. 853 ss.; S. PROVIDENTI, Disposizioni generali sugli emittenti, in L. LACAITA - V. NAPOLEONI (a cura di), Il testo unico dei mercati finanziari. Società quotate - Intermediari - Mercati -

Opa - Insider trading. Commento al d.lgs. n. 58 del 1998, Milano, 1998, p. 32 ss.; P. MASI, sub Art. 92, in G.F. CAMPOBASSO (a cura di), Testo unico della Finanza, II, Torino, Utet, 2001, p. 750 ss.; M. MONTANARI, Il principio di parità di trattamento fra disciplina del mercato mobiliare e diritto delle

società, in Giur. Comm., 1996, I, p. 899 ss.; F. M. MUCCIARELLI, Sulla parità di trattamento nelle società

quotate, in Riv. soc., 2004, p. 180 ss.

569

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Sul punto, deve darsi conto di come non si sia raggiunta in dottrina unanimità di vedute, essendosi distinta una concezione di “parità debole” (570), secondo la quale l’espressione “identiche condizioni” determinerebbe un dovere di garantire la parità di trattamento ai titolari di strumenti finanziari appartenenti ad una medesima categoria e che si trovino, fra loro, in identiche condizioni, attribuendosi rilievo anche alle “qualità” del portatore, da una di “parità forte”, che considera come unico criterio per individuare i soggetti a favore dei quali opera la parità di trattamento quello della titolarità di strumenti finanziari con le stesse caratteristiche, senza alcun riferimento ad altre qualità degli investitori (571).

Altri hanno invece adottato una interpretazione più flessibile, ritenendo operante il principio di parità di trattamento a favore di tutti i portatori degli strumenti finanziari di una determinata tipologia, indipendentemente da ogni altra caratteristica, ma anche a tutela di chi, pur possedendo strumenti finanziari diversi, possa, in determinate situazioni, trovarsi in “identiche condizioni” (572).

Quanto alla compatibilità della maggiorazione del voto o del dividendo con il principio di parità di trattamento (573), la dottrina pare sostanzialmente concorde nel sostenere che il possesso delle azioni per un determinato periodo di tempo, costituendo una circostanza che può essere soddisfatta da tutti i soci, escluda di per sé una violazione del principio di parità di trattamento (574), ma ha mostrato opinioni contrastanti in merito alla possibilità di riservare la maggiorazione del dividendo o del voto ad una o più categorie di azioni.

Vi è, invero, chi ha rilevato come l’attribuzione del diritto alla maggiorazione ad

normativo” per l’investitore di medio-lungo termine?, in Banca Borsa Tit. Cred., 2016, n. 3, p. 303 ss.

570

S. FABRIZIO, sub art. 92, in C. RABITTI BEDOGNI (a cura di), Il Testo unico dell'intermediazione

finanziaria. Commentario al D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Giuffrè, Milano, 1998, p. 547 ss.

571 V. R. DRAGANI –

V. SEMINARA, Gold-plating e semplificazione regolamentare: le novità introdotte

dalla Delibera Consob n. 18214 del 9 maggio 2012, in Riv. Soc., 2013, n. 6, p. 1281 ss.

572

M. VENTORUZZO, sub art. 92, in P. MARCHETTI – L. A. BIANCHI (a cura di), La disciplina delle società

quotate nel testo unico della finanza d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58. Commentario, Giuffrè, Milano, 1999.

573

N. DE LUCA, Maggiorazione del dividendo o parità di trattamento: quale regola è più gradita ai

mercati finanziari?, in www.orizzontideldirittocommerciale.it; E. MARCHISIO, La “maggiorazione del

voto” (art. 127 quinquies t.u.f.): récompense al socio “stabile” o trucage del socio di controllo?, in Banca Borsa Tit. Cred., 2015, n. 1, p. 78 ss.; A. SACCO GINEVRI, L'attribuzione di diritti particolari agli

azionisti di lungo termine in una prospettiva comparata, in Riv. dir. soc., 2012, p. 231 ss.; U. TOMBARI,

“Maggiorazione del dividendo” e “maggiorazione del voto”: verso uno “statuto normativo” per l’investitore di medio-lungo termine?, in Banca Borsa Tit. Cred., 2016, n. 3, p. 303 ss.

574

N. DE LUCA, op. cit.; E. MARCHISIO, op. cit.; M. SAGLIOCCA, Il definitivo tramonto del principio

“un’azione un voto”: tra azioni a voto plurimo e maggiorazione del voto, in Riv. Not., 2014, n. 5, p. 921

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azionisti selettivamente individuati risulti incompatibile sia con il principio di parità di trattamento ex art. 92 T.u.f., sia con il dettato dell'art. 127-sexies, 3° comma, T.u.f., che impedisce alle società quotate che conservino azioni a voto plurimo emesse ante quotazione di prevedere ulteriori maggiorazioni del diritto di voto a favore di singole categorie di azioni o maggiorazioni ex art. 127-quinquies T.u.f., sia con la volontà del legislatore di considerare la maggiorazione del voto “un beneficio accessibile

indistintamente a tutti gli azionisti, e legato al ricorrere di circostanze che possono essere soddisfatte da tutti i soci” (575).

La lettura esposta, tuttavia, non convince.

Innanzitutto, in quanto il principio di cui all’art. 92 T.u.f. non vieta la previsione di diversi diritti per strumenti finanziari di differente tipologia: se così fosse non sarebbe nemmeno possibile creare speciali categorie di azioni.

La lettura dell’art. 127-sexies, 3° comma, T.u.f. riportata è, poi, una evidente forzatura del dato letterale di una disposizione che si riferisce ad un’ipotesi del tutto peculiare. Infine, dalla volontà del legislatore di consentire l’introduzione di un beneficio accessibile a tutti gli azionisti non pare possa desumersi un vincolo di tal fatta all’autonomia statutaria: ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.

Se è vero, come è vero, che la scelta di prevedere la maggiorazione del dividendo o del diritto di voto è rimessa alla citata autonomia statutaria e che in nessun comma dei, pur dettagliati, artt. 127-quater e quinquies T.u.f. si nega la possibilità di riconoscere tale diritto solo a determinate categorie di azioni, non si vede allora per quale ragione tale facoltà dovrebbe essere sottratta alla decisione assembleare.

575

U. TOMBARI, “Maggiorazione del dividendo” e “maggiorazione del voto”: verso uno “statuto

normativo” per l’investitore di medio-lungo termine?, in Banca Borsa Tit. Cred., 2016, n. 3, p. 303 ss. Contra E. MARCHISIO, op. cit.: “È da ritenere legittima la clausola che riservi la maggiorazione sul voto ex art. 127-quinquies t.u.f. ad una o più specifiche categorie di azioni, come pure quella che attribuisca a classi diverse differenti percentuali di maggiorazione del voto. Stante la normale operatività dell'art. 2351, comma 2º, c.c. per le azioni quotate e la possibilità di emissione di azioni prive del diritto di voto ex art. 145, comma 1º, t.u.f. (anzi: stante addirittura la possibilità di “conservare” le azioni a voto plurimo emesse prima della quotazione ex art. 127-sexies, comma 2°, t.u.f.), non si vede perché, accertata la liceità dell'esclusione del diritto di voto o della sua “moltiplicazione”, dovrebbe invece considerarsi illecita la (diversa) maggiorazione del diritto di voto già esistente. La stessa regola di tendenziale libertà nella determinazione del contenuto delle azioni fa ritenere possibile, almeno così ci sembra, anche la creazione di categorie di azioni il cui elemento di specialità sia rappresentato proprio (e solo) dalla possibilità di maggiorazione del voto prevista dall'art. 127-quinquies t.u.f., quando, ovviamente, in concreto ne ricorrano i presupposti (primo fra tutti, di possesso ininterrotto per il periodo previsto). Al contrario, va da sé che l'emissione di categorie di azioni differenziate sulla base della (mera) diversa spettanza dei diritti di voto non determina, in sé e per sé, l'applicazione della disciplina dettata dall'art. 127-quinquies t.u.f.”.

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Ciò che, invece, parrebbe effettivamente vietato dal dettato normativo, è la creazione di categorie speciali di azioni caratterizzate dalla sola previsione del beneficio della maggiorazione del dividendo o del voto, poiché gli articoli 127-quater, 4° comma e 127-quinquies, 5° comma, T.u.f. affermano chiaramente: “Le azioni cui si applica il

beneficio previsto dal comma 1 non costituiscono una categoria speciale di azioni ai sensi dell'articolo 2348 del codice civile”.

Posto che l’attribuzione di azioni ai lavoratori in esecuzione di un piano di azionariato dei dipendenti, pur creando un gruppo di portatori di interessi specifici, in condizioni non identiche a quelle degli altri azionisti, non configura di per sé una categoria speciale di azioni ai sensi dell’art. 2348 c.c. (576), si ritiene allora che l’attribuzione dei benefici di cui agli art. 127-quater e quinquies T.u.f. ai soli dipendenti – azionisti, ove le azioni di questi non costituiscano categoria speciale, possa trovare un ostacolo non tanto (o non solo) nel principio di parità di trattamento, quanto, piuttosto, nel citato divieto di creare speciali categorie di azioni caratterizzate dalla sola maggiorazione del dividendo o del voto.

L’attribuzione ai soli dipendenti – azionisti del beneficio della maggiorazione del dividendo o del voto, quando le azioni ad essi attribuite non costituiscano categoria speciale, parrebbe infatti comportare un’elusione del divieto di creare categorie di azioni che si distinguano per la mera previsione della maggiorazione del dividendo o del voto, espressamente previsto dagli articoli 127-quater, 4° comma e 127-quinquies, 5° comma, T.u.f.

Quanto sin qui considerato non toglie, tuttavia, rilievo alla possibilità per gli azionisti – dipendenti di società con azioni quotate di beneficiare delle previsioni della maggiorazione del dividendo e del voto.

Quest’ultima, in particolare, potrebbe risultare particolarmente attraente per i lavoratori, specie se abbinata a politiche di azionariato collettivo, in quanto idonea ad attribuire maggiore voice a tale categoria di stakeholders.

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