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Partecipazione finanziaria e partecipazione alla gestione: due profili distinti ma collegat

Nel corso del primo capitolo, si è chiarito come la partecipazione finanziaria si distingua nettamente dalla cd. “partecipazione alla gestione”, intesa come insieme di strumenti che consentono ai lavoratori di “prendere parte” al processo decisionale dell’impresa, ciò, anche alla luce del fatto che il più noto modello di partecipazione alla gestione, quello della Mitbestimmung tedesca, riconosce tale diritto al lavoratore in quanto tale e non in quanto azionista della società.

Dal quadro normativo qui descritto emerge, tuttavia, come tale dato non determini, l’impossibilità di realizzare forme di collegamento tra le due modalità partecipative: le caratteristiche delle azioni e degli strumenti finanziari distribuiti o acquistati dai dipendenti ed i diritti ad essi collegati, possono, infatti rappresentare per il lavoratore lo strumento per conseguire la capacità di influire sulle decisioni dell’impresa (434).

Tale affermazione pare, peraltro, suffragata dall’introduzione, ad opera della riforma del 2003, della categoria degli strumenti finanziari partecipativi, dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e con eventuale riserva del diritto di nominare un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco (435).

Allo stesso tempo, occorre riconoscere che la medesima riforma, pur consentendo l’adozione di un sistema dualistico di amministrazione e controllo, la cui matrice

434

G. BAGLIONI - M. CASTRO - M. FIGURATI - M. NAPOLI - D. PAPARDELLA, Oltre la soglia dello scambio.

La partecipazione dei lavoratori nell’impresa. Idee e proposte, CESOS, 2000, p. 13.

435

E. GHERA, Azionariato dei dipendenti e democrazia economica, in Riv. it. dir. lav., 2003, p. 431: “pur

non adottando norme direttamente promozionali, il d. lgs. 6/2003 ha predisposto una cornice normativa utile, ancorché elementare, per lo sviluppo di forme e procedure per l’organizzazione del voto dei piccoli azionisti: dirà l’esperienza se queste norme potranno favorire lo sviluppo dell’azionariato diffuso non solo popolare, ma altresì dell’azionariato dei lavoratori”. Lo stesso autore aggiunge anche che “Tutto questo, mentre conferma la difficoltà di instaurare una relazione costruttiva tra l’azionariato dei dipendenti - che l’attuale diritto societario configura come individuale – e la democrazia economica partecipativa, sottolinea come sia necessario un intervento del legislatore qualora si voglia imboccare la via dell’azionariato collettivo; e conferma altresì l’eterogeneità tra i due modelli – collettivo e individuale - di partecipazione dei lavoratori al capitale di rischio” (p. 440).

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tedesca vede quale elemento portante la cogestione, non abbia accolto tale istanza partecipativa (436). Anzi, l’art. 2409-duodecies, che disciplina il consiglio di sorveglianza del modello dualistico, stabilisce proprio che non possano essere eletti alla relativa carica coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita che ne compromettano l’indipendenza.

E, pur non essendo chiaro in base al dettato della disposizione citata se il lavoratore azionista debba ritenersi escluso tout court dalla possibilità di assumere tale carica ovvero se l’ineleggibilità sia riservata ai casi di compromissione della sua indipendenza, occorre dar conto della prevalenza in dottrina della prima interpretazione (437) e, in ogni caso, della forte cautela nella nomina di un lavoratore quale consigliere di sorveglianza anche ove si accogliesse la tesi contraria.

In sostanza, parrebbe di potersi affermare che la riforma del 2003, nella direzione di una sempre maggior autonomia statutaria anche su questi temi, abbia consentito il riconoscimento di un diritto di influire sulla gestione al lavoratore in quanto azionista e non in quanto mero stakeholder dell’impresa, lasciando agli organi societari, da un lato, e alla contrattazione aziendale e collettiva, dall’altro, ogni scelta sul come perseguire tale obiettivo.

Se tanto è vero, non può che guardarsi con interesse al fenomeno dell’azionariato collettivo dei lavoratori, ossia delle modalità di organizzazione dei medesimi al fine di un coordinato esercizio dei loro diritti di azionisti, che consentirebbe loro di acquisire una maggiore voice nelle decisioni d’impresa.

A tal proposito si è da più parti sottolineato che, in una prospettiva de iure condendo, il

436

R. WEIGMANN, Luci e ombre del nuovo diritto azionario, in Soc., 2003, p. 270 ss.; U. TOMBARI,

Partecipazione dei lavoratori all’impresa azionaria: quali strumenti oggi?, 26 novembre 2010, in

www.nelmerito.it.

437

Conf. J. P. JAEGER, F. DENOZZA, A. TOFFOLETTO, Appunti di diritto commerciale. Impresa e società, Giuffrè, 2010, p. 406; è dunque minoritaria la dottrina che ritiene che l’esistenza di un rapporto di lavoro continuativo non sia condizione in sé di ineleggibilità, dipendendo questa dalla compromissione dell’indipendenza, cfr. A. POMELLI, Sull’indipendenza dei consiglieri di sorveglianza nei gruppi di

società, in Giur. Comm., 2008, I, p. 970. A queste posizioni si aggiunge quella di chi si interroga sulla

possibile riferibilità della verifica dell’indipendenza solo alle collaborazioni e alle consulenze o anche ai rapporti di lavoro subordinato, cfr. A. CAPRARA, Le funzioni dei sindaci tra principi generali e disciplina, Cedam, 2008: “occorre vedere se la clausola generale contenuta nell’ultima parte della disposizione sia

da riferire a tutti i rapporti ivi indicati o solo ai rapporti d’opera e di consulenza, con riflessi non solo sul piano dell’indipendenza, ma anche su quella della possibilità, in taluni casi, di nomina anche di dipendenti del consiglio di sorveglianza” (p. 267, nt. 272).

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vero nodo politico decisivo da affrontare sia quello della alternativa tra azionariato individuale e azionariato collettivo (438), ossia della considerazione o meno dell’azionariato dei lavoratori quale modalità di rilancio della “democrazia economica” (439).

E l’alternativa, come ben chiarito da un Autore, “non è soltanto di politica del diritto

(cioè di riforma del modello legislativo-codicistico imperniato sull'azionariato individuale), ma è di natura ideologica, quindi puramente politica: la questione è se l'azionariato debba essere espressione dei valori solidaristici della democrazia economica o, al contrario, essere strumento selettivo per l'investimento privilegiato del risparmio dei lavoratori e fungere da incentivo alla fedeltà aziendale (dunque, in definitiva, essere espressione dei valori impliciti della libertà individuale dei lavoratori e della libertà economica delle imprese)” (440).

Ebbene, allo stato, occorre riconoscere che il nostro ordinamento non preveda disposizioni specificamente finalizzate ad “aggregare” la partecipazione dei dipendenti azionisti e, anzi, il codice civile, all’art. 2349 c.c. continui a riferirsi ad azioni da assegnare “individualmente” ai prestatori di lavoro.

Diverse sono invece le istanze che emergono dalla legislazione di sostegno, quella fiscale in particolare, che riconoscono legittimità e favore per forme di azionariato collettivo.

438

E. GHERA, L’azionariato dei lavoratori dipendenti, in ADL, 1997, 6, p. 18 ss.; M. BIAGI, La

partecipazione azionaria dei dipendenti tra intervento legislativo e autonomia collettiva, in Riv. it. dir. lav., 1999, n. 3, p. 283ss.

439

T. TREU, La partecipazione dei lavoratori all'economia delle imprese, in Giur. Comm., 1988, I, p. 786 ss.

440

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SEZIONE III

LA DISCIPLINA DEGLI INCENTIVI

SOMMARIO: 16. Gli incentivi di carattere fiscale ai piani di partecipazione azionaria dei lavoratori

all’impresa – 17. Il Fondo per incentivare la partecipazione dei lavoratori al capitale e agli utili delle imprese e per la diffusione dei piani di azionariato – 18. Il frammentato quadro normativo italiano.

16. Gli incentivi di carattere fiscale alla diffusione di piani di partecipazione

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