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I campi di intervento della nuova politica industriale e regionale

La politica industriale, secondo una strategia moderna di sviluppo eco- nomico, non consiste nella politica tradizionale di mera regolazione della concorrenza o, all’opposto, di aiuto pubblico alle imprese; né consiste solo nel finanziamento della ricerca e delle formazione superiore, ma deve essere una politica di promozione dell’innovazione e degli investimenti mirata ad aumentare la produttività aggregata dell’economia.

Il “mercato libero” non funziona in modo perfetto neanche in un contesto di efficienza statica e certamente il fallimento del mercato è di tipo dinamico. Infatti, di norma il mercato da solo non è in grado di assicurare l’innovazione, la quale richiede un coordinamento delle relazioni “non di prezzo” o le sinergie tra i diversi attori del sistema di innovazione nazionale. Ciò è indispensabile per assicurare la creazione di conoscenza tacita e codificata, l’innovazione e la crescita della produttività nel lungo termine, senza la quale non vi può esssere crescita dell’economia.

In una moderna strategia industriale, il governo nazionale svolge un ruolo cruciale, dato che esso deve regolare le fusioni e acquisizioni tra le grandi imprese nazionali e multinazionali, in modo da promuovere investimenti di dimensio- ni maggiori e la presenza e lo sviluppo di produzioni moderne sul territorio nazionale. In secondo luogo, spetta al governo regolare il coordinamento tra le politiche monetarie e del bilancio pubblico, da un lato, e la politica industriale e regionale, dall’altro lato, con particolare riferimento al ruolo delle banche nel finanziamento delle imprese e al rapporto tra investimenti delle imprese, fisco e spesa pubblica, anche se questa funzione incontra attualmente molti vincoli nell’area Euro. In terzo luogo, spetta al governo nazionale prendere l’iniziativa di grandi progetti nazionali di investimento in nuovi mercati, nuove filiere produttive e nelle diverse aree del territorio nazionale. In quarto luogo, spetta al governo nazionale il coordinamento nel processo di multi-level governance tra le diverse istituzioni: comuni, regioni, organismi nazionali e UE.

Tuttavia, una moderna strategia industriale non può avere solo una pro- spettiva settoriale anche se estesa ai settori non manifatturieri, ma deve avere anche una prospettiva territoriale o regionale. Infatti, un grande programma di investimenti nazionale ed europeo per il rilancio della crescita economica a partire dalle centinaia di città e regioni europee e capace di avere un rilevante impatto sia sul Pil europeo che sulla qualità della vita dei cittadini europei, richiede una moderna governance multilivello.

Le città rappresentano le piattaforme dei processi d’innovazione e inter- nazionalizzazione per la loro dotazione di competenze molto qualificate e la capacità di mobilitare la collaborazione tra soggetti diversi e complementari. In generale, l’esistenza di reti di produzione e innovazione ben strutturate, di infrastrutture materiali e immateriali e l’esistenza di un sistema istituzionale ben sviluppato e stabile riducono i costi di transazione e di aggiustamento, permettono una maggiore flessibilità o velocità del processo di cambiamento e permettono di accelerare il processo di decisione politica e di diminuire i tempi di attuazione degli interventi.

In anni recenti si è diffuso in tutta Europa l’approccio della Smart Spe- cialization Strategy, che è un approccio ancora export led, ma che è utile per sottolineare la necessità di valorizzare le eccellenze nelle risorse locali, stimolare la diversificazione tecnologica (evitando fenomeni di “trappola delle competenze” o di lock- in), le complementarietà tra settori contigui dal punto di vista tecnologico e produttivo. Inoltre, questo approccio sottolinea le economie di scopo a scala regionale-nazionale, la creatività che richiede integrazione di conoscenze diverse e interazione tra soggetti con competenze complementari e quindi la stretta integrazione tra fenomeni di specializzazione produttiva, di diversificazione in settori nuovi e anche di integrazione tra i diversi settori a livello urbano e regionale. Peraltro, la strategia della Smart Specialization, che è alla base della politica regionale di coesione dell’UE, e il concetto collegato di entrepreneurial discovery non considerano adegua- tamente il ruolo della domanda e dei consumatori o degli utilizzatori finali e della domanda interna.

Un’altra proposta innovativa di politiche di sviluppo è quella delle Smart Cities, che sottolinea non solo l’adozione di tecnologie moderne nei diversi servizi pubblici urbani, dato che la smart city (città intelligente) è in termini più ampi e precisi una città nella quale si genera la nuova conoscenza e che promuove la creatività (smart specialization), la creazione di reti di innovazione nell’economia e nella comunità locale e la creazione di nuove attività produt- tive innovative. In particolare, la smart city è una città che crea innovazione, combinando in modo intelligente tra loro sia le competenze e le conoscenze diverse e complementari all’interno del sistema locale delle imprese, sia i biso- gni e le domande di prodotti e servizi innovativi all’interno delle comunità dei cittadini e degli utilizzatori.

In particolare, è necessario riorientare gli investimenti dai settori esportatori ai settori moderni che producono per il mercato interno, come quelle produzioni chiave che mirano a rispondere ai bisogni nuovi dei cittadini, la cui importanza economica è molto rilevante in termini di occupazione e di fatturato, quali i bisogni di a) abitazione, b) mobilità e logistica, c) cultura e tempo libero e media, d) salute, benessere e formazione, e) ambiente e risparmio energetico. Queste nuove produzioni o questi nuovi “mercati-guida” non rappresentano solo infrastrutture e servizi di interesse collettivo, ma trainano anche lo sviluppo di nuove filiere produttive manifatturiere a livello sia urbano che nazionale, e questo può essere considerato un sesto ambito di intervento prioritario.

Il rilancio degli investimenti nei sei settori suindicati collegati al miglio- ramento della qualità della vita nelle aree urbane in Europa e in Italia appare conveniente per diversi motivi, dato che possono:

• essere agevolmente sostenuti da istituzioni finanziarie moderne specializ- zate nel project financing, dato il livello molto basso dei tassi di interesse; • essere lo stimolo per sviluppare nuove attività nelle grandi imprese di

pubblic utility che hanno un forte radicamento nel territorio e operano in settori strettamente connessi;

• creare una rilevante occupazione non solo nella fase della costruzione delle strutture ma anche in quella della gestione dei servizi;

• comportare rilevanti entrate nella vendita di servizi nuovi e anche un aumen- to elevato dei valori immobiliari nelle aree urbane ove vengono realizzati; • valorizzare le capacità di ingegneria e manageriali esistenti in Italia e in

Europa;

• consentire l’uso di moderne tecnologie oltre che il rilancio del settore delle costruzioni e tante diverse produzioni tradizionali;

• comportare grandi investimenti, che avrebbero un effetto importante sulla crescita della domanda aggregata;

• producono beni pubblici essenziali che possono essere utilizzati anche da persone con reddito minore e che non hanno le risorse per accedere a servizi privati alternativi troppo costosi;

• rispondono a bisogni superiori che sono sempre più richiesti da un’ampia fascia di consumatori che hanno un reddito adeguato, una formazione elevata e anche sempre maggiore tempo libero;

• permettono non solo un aumento del Pil ma anche un miglioramento della qualità della vita dei cittadini;

• consentono l’occupazione di molta forza di lavoro qualificata e in particolare di giovani laureati e diplomati;

• promuovono le relazioni sociali e culturali tra i cittadini e il senso di inte- grazione sociale;

• promuovono la crescita della conoscenza e l’innovazione come nel caso degli investimenti nelle università e nella ricerca;

• sostituiscono in parte consumi individuali e materiali non indispensabili e e riducono l’importazione di tali beni, che sono spesso prodotti all’estero; • possono in futuro essere esportati e diversificare la base di esportazione

dell’economia verso produzioni innovative.

In conclusione, un programma di aumento degli investimenti nelle città europee richiede di mobilitare la creatività delle imprese e delle istituzioni e le capacità di progettazione di investimenti in nuove produzioni e in particolare di servizi di interesse collettivo nuovi.

Sono cruciali iniziative bottom-up a livello urbano, dato che è necessario mobilitare la domanda da parte dei cittadini e l’uso individuale, familiare e di gruppo nelle specifiche comunità sociali dei nuovi servizi ed è necessario anche mobilitare la creatività o le capacità di progettazione di servizi nuovi “superiori” a quelli attualmente esistenti. Questo richiede che nelle medie e grandi città vengano create delle “piattaforme immateriali” capaci di mettere in rete i diversi attori locali ed in particolare gli utenti dei nuovi servizi, le università e i centri di ricerca, le grandi imprese di public utilities e i diversi partner privati e pubblici, in modo da sviluppare processi di apprendimento collettivo e di creazione di nuove conoscenze, che rappresentano l’obiettivo principale di una smart city.

É necessaria una governance dal basso (bottom-up) inquadrata in una strategia a scala nazionale e regionale, dato che occorre integrare i singoli progetti urbani a livello territoriale e sfruttare a scala regionale e interregio- nale le economie di scala sia sul lato della domanda sia dell’offerta, integrare le singole capacità imprenditoriali e progettuali secondo la logica delle reti di cooperazione e di sinergia, assistere le singole città nel disegnare piani e progetti strategici e nel loro finanziamento.

Questa strategia di intervento è compatibile con il piano Juncker, anche se esso ha un importo troppo limitato rispetto al crollo degli investimenti nell’area Euro ed è troppo lento nell’agire rispetto alle necessità immediate di rilancio dell’economia. Più in generale, il piano Juncker non è integrato con le politiche macro-economiche europee necessarie per un rilancio della domanda aggre- gata e, inoltre, appare inspiegabilmente scollegato sia dalla politica regionale di coesione sia anche dalla politica di bilancio dell’UE. Pertanto, esso è privo di un riferimento a precisi operatori istituzionali con solida esperienza, come quelli che nelle singole regioni e Paesi da molti anni organizzano la politica di coesione comunitaria. Manca nel Piano Juncker il riferimento alle istituzioni a livello regionale e locale, che potrebbero coordinare progetti operativi di dimensioni minori e di più facile realizzazione rispetto all’avvio di grandi programmi nazionali ed transeuropei, la cui realizzazione è rallentata anche dall’indebolirsi del consenso politico esistente nel Consiglio dell’UE.

8. Il rapporto tra le politiche macroeconomiche e la nuova politica

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