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Esemplificazioni su leve e normative di supporto a relazioni università – sistemi di PM

Marco Bellandi

3. Esemplificazioni su leve e normative di supporto a relazioni università – sistemi di PM

Le politiche industriali e dell’innovazione possono intercettare il tema dei rapporti fra università, industria, territori, nell’ottica della rinascita di leadership internazionali di sistemi produttivi a larga base di innovazione, cultura e lavoro di qualità in Italia. A questo fine ripartiamo dalle difficoltà nelle relazioni fra piccole imprese e università.

3.1. Leve di terza missione

L’avvio di relazione fra una piccola impresa alla ricerca di una soluzione tecnologica e un ricercatore (prof. o meno) universitario con competenze scientifiche vicine al dominio tecnologico richiesto spesso fallisce perché l’imprenditore non sa chi contattare. Se poi l’imprenditore trova più o meno casualmente un ricercatore disposto al confronto, a parte i problemi della buro- crazia universitaria e delle normative sopra-ordinate, ci si può fermare presto perché il ricercatore trovato non è quello adatto, o andare avanti male perché: a) il ricercatore non è abituato a esprimersi in termini pratici; b) i tempi del ricercatore sono lunghi; c) le risorse nette che la piccola impresa può mettere a disposizione per finanziare la ricerca, direttamente o tramite complicate agevolazioni pubbliche, sono di entità piccola o incerta, e possono giustificare solo un impegno limitato del ricercatore nella definizione di soluzioni adatte; d) il ricercatore (e il gruppo di ricerca) con la sua specializzazione non rie- sce ad aiutare l’imprenditore nell’adattamento pur necessario del modello di business alla soluzione tecnologica, occorrendo lavorare anche sui fronti delle professionalità interne, dell’organizzazione digitale, delle reti di imprese, del finanziamento e dell’accesso alle catene internazionali del valore.

Strategie e strumenti di terza missione di sistema sono attivabili per gestire questi problemi, ad esempio: 1) gli uffici di terza missione sono conosciuti dalle imprese grazie anche ai rapporti fra università e associazioni imprenditoriali; 2) gli uffici controllano archivi di competenze dell’università, classificate per domini tecnologici, e li usano con metodologie di matching con le idee inno- vative nelle imprese; 3) nei casi di matching tecnologico ma di incongruenza

eccessiva di risorse finanziarie, tempi, e modello di business, gli uffici cer- cano di ridefinire il problema per renderlo gestibile singolarmente; oppure 4) riconoscono che il problema è la manifestazione di un fenomeno più ampio, e attivano strumenti di rete sia interni all’università (trasversalità disciplinari nella ricerca e nella formazione) sia esterni (es. gruppi di lavoro con associazioni imprenditoriali, accordi con altre università italiane per competenze scientifiche non presenti localmente, accordi con università estere per accesso a imprese innovative straniere, ecc.).

Si può immaginare che in Italia, in tante situazioni, strumenti gestionali e strategie del tipo richiamato sopra siano disponibili solo imperfettamente. Le piccole e soprattutto le medie imprese che vogliono muoversi sulla via di innovazione, internazionalizzazione, e ricerca esterna, continueranno a farlo, ma in media con costi alti rispetto a molti concorrenti esteri, con lentezze, e con non pochi fallimenti soprattutto fra le piccole imprese. Ne consegue un quadro evolutivo frammentato e incerto nel breve periodo, non coerente alla prospettiva di un rapido e diffuso recupero di capacità industriali del paese. Occorre tuttavia considerare, a parziale correzione, che possono intervenire a supporto anche strumenti e veicoli di cambiamento che rientrano nelle normali possibilità della terza missione, quando inquadrati anche in politiche pubbliche regionali e nazionali di innovazione, e che gli stessi potrebbero essere giocati più strategicamente: sia per facilitare risultati positivi nel breve periodo, sia per rafforzare la spinta verso situazioni di ecosistemi territoriali dell’innovazione e della cultura (vedi nota 3). Consideriamo le imprese spin-off universitarie.

Gli spin-off sono riconosciuti tali sulla base di regolamenti delle università e di normative nazionali. In Italia il corpo normativo e regolamentare ha preso forma e ha cominciato a diffondersi dall’inizio del decennio scorso. Gli spin-off nascono intorno a progetti di prodotti o servizi innovativi collegati a ricerca, e/o a brevetti (spesso detenuti dall’università), e/o a competenze scientifiche di singoli o più spesso di gruppi di docenti e ricercatori dell’università, con giovani in uscita dai processi formativi e coinvolti in varie forme. Le univer- sità possono offrire servizi di accompagnamento più o meno estesi. In Italia a fine 2015 vi erano più di 1.200 spin-off universitari, con una crescita costante anche negli anni della Grande Crisi. Gran parte di queste imprese stentano ad assumere dimensioni rilevanti; ma anche quando piccole possono essere veicolo importante di cultura imprenditoriale entro le università e di contatto fra l’università e il mondo delle imprese: “Il successo di queste imprese non può e non dovrebbe essere collegato solo ad un criterio dimensionale di cre- scita del fatturato o del numero di occupati, ma anche alla loro capacità di sviluppare ‘pezzi di conoscenza’ che possano essere integrati in piattaforme tecnologiche più ampie, in collaborazione con altre imprese. Gli spin-off acca- demici possono sicuramente agire come ‘generatori di nuova conoscenza’ da sviluppare attraverso una più stretta collaborazione con soggetti industriali

già consolidati in grado di agire come ‘sviluppatori di innovazione’ o ‘driver di innovazione’” (Ramaciotti, Daniele, 2016, p. 130). È questa una leva che dovrebbe essere messa a sistema con molta energia entro politiche regionali e nazionali dell’innovazione. Le politiche regionali su questi fronti sono molto varie (Caloffi et al., 2014). Nelle politiche nazionali, a parte alcune misure specifiche ma limitate, gli interventi di maggiore respiro si collegano a quelli su start-up innovative e reti di innovatori.

3.2. Normative nazionali di favore per PMI innovative e reti di impresa È stata sviluppata in Italia, recentemente, una normativa per il riconosci- mento e l’agevolazione specifica di imprese start-up innovative (DL 179/2012 art. 25), a cui si è aggiunto più recentemente ancora il riconoscimento di PMI innovative (DL 3/2015, art. 4). Il registro delle prime conta attualmente più di 6.628 imprese (novembre 2016). Fra queste vi sono anche spin-off universitari di recente costituzione. Si veda startup.registroimprese.it e www.smartstart. invitalia.it. Aspetto qualificante di tali imprese è la presenza di almeno due dei seguenti tre caratteri: una certa quota di fatturato dedicato a ricerca e sviluppo, una certa quota di dipendenti con titoli universitari oltre il primo livello ed eventualmente esperienza di ricerca, il possesso di brevetti o software registrato. È evidente la vicinanza allo humus dell’università. Anche fuori dai casi di spin-off universitari, le start-up e le PMI innovative sono condotte da team imprenditoriali attenti all’immissione di input di carattere scientifico-tec- nologico-organizzativo. Entrano con facilità in contatto con l’università, sia direttamente sia attraverso partnership con spin-off. Potrebbero essere agenti di cambiamento della cultura imprenditoriale di contesti di PMI, non solo se hanno successo ma anche se sono portate a fare squadra per progetti di PMI con reti di imprese più tradizionali e artigiane, oltre che con le università.

In questa direzione vanno altri recenti provvedimenti del governo (www. sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/incentivi/impresa), come i crediti di imposta per la R&S che comprendono la ricerca esterna e con questa anche i rapporti con le start-up innovative, il patent box, le reti di impresa per l’artigia- nato digitale. In questi provvedimenti sono compresi rimandi che esplicitano una positiva intenzione di organicità, che si estende anche ad altri provvedimenti quali quelli concernenti i Contratti di rete (contrattidirete.registroimprese.it/ reti/). Sono attivi circa 3.200 contratti di rete, con quasi 16.000 imprese coinvolte (novembre 2016). A queste realtà in parte si sovrappone il “quarto capitalismo” italiano centrato su circa 3.500 imprese di media (e medio-grande) dimensione rilevate da Medio Banca – Unioncamere nazionale, con molti casi di elevata produttività, capacità organizzativa interna e di apripista in numerose nicchie di qualità su mercati internazionali, spesso in relazione con distretti industriali (Coltorti, Venanzi, 2014).

Basta tutto questo? Forse. Tuttavia i presupposti ora richiamati acquistano il senso di una prospettiva robusta solo se effettivamente sono elementi di un quadro organico. Purtroppo ci sono ragioni per dubitare che questa sia la situazione attuale. Discutendo i risultati di un’indagine svolta dal MISE nel 2015 su un campione di 1.000 PMI “eccellenti”, Carnazza (2016, p.6) rileva che solo l’11% del campione ricorre ad agevolazioni pubbliche: le ragioni principali per chi non ricorre sono le difficoltà burocratiche e le difficoltà di acquisire informazioni adeguate; ma anche si rileva che solo il 20% coopera con altri soggetti su progetti di innovazione, la diffidenza sulla protezione della cono- scenza essendo il principale motivo di isolamento. E si tratta di PMI “eccellenti”!

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