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L’innovazione nelle politiche economiche e la nuova politica industriale

Riccardo Cappellin

3. L’innovazione nelle politiche economiche e la nuova politica industriale

Nel periodo 2007-2015 gli investimenti fissi lordi sono diminuiti in Italia di 109 miliardi di euro (pari al 29,8%, fonte Eurostat) e nella area Euro di 269 miliardi (pari al 12,3%). Un indicatore della crisi economica in Italia è il valore maggiore che in tutti gli altri paesi europei dei crediti problematici (NPL), secondo la definizione EBA, che è pari a circa 350 miliardi e al 20%

del Pil (Fonte: Pwc, November 2015, e Giovanni Sabatini nel Financial Times, February 4, 2016) e delle “sofferenze bancarie” in senso stretto che sono pari a circa 200 miliardi (Fonte: Camera dei Deputati, audizione Cerved, 17 Gennaio 2015) mentre nell’area Euro i NPL sono circa 900 miliardi (Fonte: European Economic Forecast, Spring 2016).

I prestiti problematici delle banche non solo importanti solo perché impe- discono alle stesse di concedere maggiori prestiti alle imprese e di finanziare gli investimenti delle stesse. Anche se le banche italiane cercano di diminuire il valore assoluto dei NPL indicando l’esistenza di accantonamenti di bilancio e di garanzie immobiliari, non è possibile smentire il fatto che queste soffe- renze e crediti problematici indicano altrettante perdite di bilancio determinate dall’aver concesso credito negli anni passati a molte imprese inefficienti e poco innovative e spesso a molti imprenditori fraudolenti. In pratica negli ultimi anni i NPL sono aumentati di circa 30 miliardi all’anno (Fonte: Cerved) e dato che nel 2015 il valore degli investimenti fissi lordi era di 258,9 miliardi, il valore dei prestiti erogati a società non finanziarie entrati in sofferenza (non performing loans) è stato pari a circa circa l’11,5% degli investimenti fissi lor- di di contabilità nazionale. Pertanto, l’aumento delle perdite in conto capitale

delle banche compensa parzialmente la realizzazione di nuovi investimenti è ha determinato un processo di “disinvestimento”, o si sono bruciati ogni anno circa 30 miliardi di euro altrimenti destinabili ad investimenti innovativi ed efficienti: un fattore cruciale nello spiegare il basso tasso di crescita attuale dell’economia italiana.

Le banche potrebbero diminuire il valore dei NPL nei loro bilanci in modi diversi. L’accelerazione delle procedure fallimentari delle imprese insolventi per acquisire la proprietà delle garanzie immobiliari porta alla chiusura delle imprese, a riduzioni di produzione e occupazione e ad un’offerta talmente elevata di immobili da fare sprofondare i valori degli stessi, dato che non è certamente assorbile dal mercato immobiliare. Non è neanche conveniente vendere i NPL ad un prezzo del 20% a fondi speculativi, dato che questo aumentarebbe le perdite delle banche. Inoltre, cercare di compensare le perdite con aumenti di capitale diminuirebbe il valore delle azioni e penalizzerebbe gli attuali azionisti. Invece, il metodo più efficace e alla fine più rapido è quello di aumentare le capacità delle imprese non finanziarie in crisi di servire il loro debito. Questo richiede alle banche di seguire un approccio di tipo industriale (Baravelli, Cappellin, 2016) e non meramente finanziario e di sviluppare l’offerta di servizi di consu- lenza strategica (advisory) per un possibile turnaround delle imprese debitrici. Pertanto, il problema delle politiche industriali, che mirano a sviluppare gli investimenti, è strettamente legato alla scelta da parte delle banche di come ridurre il valore dei prestiti in sofferenza. La politica industriale dovrebbe mirare a ridurre i fallimenti delle imprese e la conseguente riduzione delle capacità produttive del sistema economico, e dovrebbe spingere le banche ristrutturare il debito delle imprese insolventi (workouts) e a promuovere la riconversione industriale in nuove produzioni innovative e la ricapitalizzazione delle impre- se non finanziarie, tramite i M&A con imprese sane in produzioni collegate nello stesso cluster territoriale e nella filiera industriale. Inoltre, l’abbondante liquidità esistente sui mercati finanziari internazionali sarebbe più facilmente attratta da investimenti industriali nuovi e validi, che dalla ricapitalizzazione di banche che si sono dimostrate poco efficienti.

È pertanto necessario introdurre anche nel settore creditizio e finanzia- rio delle innovazioni e le banche e gli intermediari finanziari non bancari dovrebbero riorganizzarsi per fornire anche servizi di consulenza strategica alle imprese e non solo capitale di rischio o credito. Esse dovrebbero svolgere il ruolo di intermediari esperti e affidabili nella creazione di fusioni e alleanze strategiche tra i molti attori privati e pubblici. Nuove imprese di progetto e nuovi strumenti finanziari diversi e separati per legge da quelli esistenti sono necessari nel project financing ed anche nella gestione finanziaria e industriale dei NPL: Esempi di questi nuovi interemdiari finanziari non bancari per una nuova politica industriale sono la Banca Europea degli Investimenti, il Fondo Strategico Europeo di Investimento, il Fondo di Coesione Europeo, le banche

nazionali di sviluppo, i private equity, i fondi regionali specializzati nell’inve- stimento, task forces e think-tank interdisciplinari, i “centri di competenza” e le regional development corporations. Inoltre, sarebbero utili nuovi strumenti finanziari o nuove asset class, come le obbligazioni convertibili in azioni, i

project bonds, in minibonds o gli ABS basati sulla cartolarizzazione dei prestiti

alle PMI innovative o delle imprese in crisi e parzialmente insolventi.

L’obiettivo della politica industriale e regionale è quello di aiutare le aziende e le istituzioni ad adattarsi e ad approfittare del cambiamento sia nella tecnologia che nei bisogni dei consumatori e dei cittadini e quindi deve avere l’obiettivo di facilitare rapporti di partnership e processi di apprendimento interattivi e di innovazione.

La nuova politica industriale si deve focalizzare sui nuovi bisogni dei consumatori/cittadini e quindi mirare alla creazione di nuove produzioni e di nuovi mercati (“mercati guida” o lead-markets). È necessario individuare i nuovi mercati delle nuove produzioni e non solo le nuove tecnologie e le nuove competenze lavorative necessarie. I nuovi mercati non sono tanto quelli esteri in Paesi distanti, ma i mercati nuovi ed emergenti di prodotti e servizi più sofisticati, per soddisfare i nuovi bisogni da parte dei cittadini e delle stesse imprese sul territorio italiano.

E necessaria una strategia di investimento orientata alla filiera ed al terri- torio, da un lato, valorizzando le competenze produttive esistenti nelle imprese stesse e nel territorio circostante e, dall’altro, diversificando le produzioni del sistema produttivo italiano, per rispondere ad una domanda che sta mutando sul piano dei bisogni e degli stili di vita più sofisticati dei cittadini e delle stesse imprese in particolare nelle aree urbane.

Una nuova politica industriale e regionale deve promuovere l’innovazione e l’investimento. Ma l’innovazione non può essere fatta dalla singola impresa in isolamento e richiede, oltre ad investimenti in R&S e nell’acquisizione di risorse umane qualificate, anche lo sviluppo della collaborazione con altre imprese nei cluster territoriali e nelle filiere industriali, della collaborazione con le università e centri di ricerca e della collaborazione con le comunità dei cittadini nel territorio circostante e con le istituzioni pubbliche locali e nazionali.

La strategia industriale deve tenere conto della prossimità (relatedness) delle nuove produzioni da sviluppare rispetto ai settori prevalenti, posti a monte e a valle, e alle capacità lavorative locali ed anche rispetto ai bisogni dei cittadini e dei consumatori nel territorio considerato. Sono di importanza strategica le “economie esterne” (spillover) e di integrazione produttiva tra le imprese, che riguardano la complementarietà dei rispettivi mercati di vendita, delle tecnologie produttive, delle competenze di tipo manageriale-organizzativo e la possibilità di un apporto di capitale da altre imprese investitrici. Infatti, la valorizzazione delle economie esterne e delle possibilità di integrazione dell’impresa con altre imprese della stessa filiera e del sistema produttivo locale

determina un miglioramento della redditività delle nuove imprese, anche nelle imprese in crisi, e quindi determina un aumento notevole del valore di mercato delle stesse imprese.

In particolare, la politica industriale dovrebbe promuovere la creazione nei diversi territori e città di nuove “piattaforme di progettazione” di grandi progetti di investimento dotate di rilevanti fondi e che permettano la creazione di quei “legami mancanti” nelle reti di innovazione che raccordino tra loro le capacità complementari di attori diversi nella progettazione tecnica, economico-finan- ziaria e legale-organizzativa di grandi progetti di investimento.

In particolare, dal lato della “offerta” di conoscenza, spetta al mondo della ricerca, della università e delle think-tanks o associazioni culturali-scientifiche, come il Gruppo di Discussione “Crescita, Investimenti e Territorio” (Cappellin et al., 2014) sia ai singoli tecnici e lavoratori qualificati e/o ai loro rappresentanti sindacali indicare alle imprese le potenzialità esistenti nelle nuove tecnologie e le elevate e non adeguatamente utilizzate capacità tecniche-professionali, soprattutto di tanti giovani molto qualificati, esistenti in Italia. In questa pro- spettiva lo sviluppo di rapporti di collaborazione con l’ampia comunità degli economisti industriali e regionali italiani e europei, che operano in prestigiose Società Scientifiche e centri di ricerca italiani e internazionali può essere di grande aiuto alle imprese nel valutare in anticipo gli scenari di business futuro e nello sforzo di progettazione tecnologica, economico-finanziaria e normativa di progetti di investimento innovativi. Infatti, la domanda di investimenti delle imprese e delle istituzioni è debole dato che manca un investimento iniziale (upfront capital) rilevante in progettazione e sono assenti forme di finanzia- mento della progettazione da parte di fondi finanziari specializzati e del settore pubblico locale e nazionale.

Pertanto, questo diverso approccio di politica industriale focalizzato sugli investimenti e il territorio, richede la collaborazione delle imprese. Le imprese non devono mirare solo all’efficienza o alla riduzione dei costi a produzioni date e l’obiettivo dell’aumento della redditività e della competitività non può essere l’unico fattore da privilegiare, perché è importante anche la sostenibilità sociale e ambientale (Plimmer, Pickard, 2016). Secondo la logica dell’ impact investment, i criteri di selezione degli investimenti devono riguardare l’impatto su una serie di obiettivi in larga misura complementari, come la crescita di Pil, l’occupazione, le esportazioni, ma al tempo stesso anche la qualità della vita e ambientale, il risparmio energetico e la sicurezza.

Infatti, il problema non è la contrapposizione tra Stato e mercato ma la combinazione tra la partecipazione democratica dei cittadini e la crescita delle imprese sui mercati. Anche il mondo della produzione dovrebbe stare maggiormente dalla parte dei cittadini e abbandonare una logica meramente finanziaria di breve per una logica di sviluppo sostenibile nel lungo termine.

4. Conclusioni

Le politiche economiche (di bilancio, monetarie e industriali e regionali) dovrebbero mirare a rispondere ai bisogni urgenti dei cittadini e a diminuire l’incertezza e la fiducia nel futuro, che dipendono dalla capacità delle politiche di:

• aumentare l’occupazione, specialmente nelle nuove produzioni e nelle imprese innovative e da parte di lavoratori più giovani e qualificati, • migliorare la qualità della vita dei cittadini, soprattutto in risposta ai nuovi

bisogni emergenti di servizi collettivi che sono tra loro fortemente integrati e richiedono il coordinamento di molte imprese private,

• consentire una migliore distribuzione del reddito, dato che sia la politica monetaria che quella di bilancio hanno favorito il settore finanziario e le grandi imprese, mentre hanno penalizzato gli investitori privati e i lavoratori dipendenti, determinando grandi perdite sui risparmi dei primi (bail-in) e un aumento della pressione fiscale diretta ed indiretta e una minore offerta di servizi pubblici per i secondi,

• consentire una maggiore partecipazione dei cittadini nel disegno degli investimenti e nella gestione dei servizi pubblici locali, mentre le politiche di bilancio e monetarie sono state sostanzialmente dettate dalle istituzioni internazionali (UE e FMI), dalle grandi banche e dai fondi speculativi e quindi imposte dai Governi nazionali senza un voto popolare.

Come indicato sopra, le politiche monetarie e le politiche di bilancio pub- blico e quelle le riforme strutturali sono state incapaci di rilanciare la crescita. Non è neanche sufficiente la creazione di uno schema meramente finanziario, come il piano Juncker, ma sono necessari programmi operativi a scala europea, ad esempio per la riqualificazione delle città europee e per lo sviluppo della mobilità su ferro a scala urbana e regionale. La mancanza di politiche indu- striali e regionali è il fattore che spiega il perdurare della stagnazione. È quindi necessario cambiare strada e adottare una nuova politica industriale e regionale.

Bibliografia

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