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Cinque rimedi non convenzionali, per intercettare la forza propulsiva del nuovo paradigma

Enzo Rullani

5. Cinque rimedi non convenzionali, per intercettare la forza propulsiva del nuovo paradigma

Chi sono i potenziali protagonisti di una transizione che – per decollare, deve seguire la propria strada, senza troppe concessioni alla nostalgia del passato? E quali sono i “rimedi” che essi propongono per rompere la gabbia del mismatching attuale, e dei suoi inconvenienti?

Possiamo indicare almeno cinque rimedi non convenzionali che si appog- giano ad altrettanti drivers della transizione su cui fare leva, mobilitando nuovi protagonisti per la costruzione attiva del nuovo paradigma:

1.  l’intraprendenza collaborativa e auto-organizzatrice delle persone che operano nelle imprese, nelle filiere, nei territori, nelle comunità trans-ter- ritoriali e – anche, ma non principalmente – nella sfera della cittadinanza e dell’amministrazione pubblica. Nonostante robot e Big Data che stanno arrivando “al nostro servizio”, il mondo della produzione e del consumo si sta, in realtà, ri-personalizzando. Le innovazioni ripartono dal basso, e cercano i loro complementi e i loro moltiplicatori attraverso la collabo- razione intraprendente tra i diversi. In Italia, questa trama collaborativa è soprattutto affidata all’esplorazione del nuovo affidata alle imprese leader, che assumono ruoli di capofiliera, e alle città o regioni che investono in intelligenza, e che, attraendo attrarre idee e talenti innovativi, riescono a proporsi come cluster creativi al servizio di filiere multi-localizzate (Cappel- lin et al., 2015). E da queste due basi di partenza che occorre ricominciare, potenziando le ambizioni di cui sono portatrici, realizzando le loro idee e facendole rendere;

problema è politico e non intellettuale, sarebbe opportuno trovare il modo di realizzare gli investimenti keynesiani necessari a ravvivare la crescita europea con soluzioni che non aumentano i deficit e i debiti degli Stati nazionali. Ad esempio si potrebbe pensare ad una Agenzia europea che investe in infrastrutture comunicative, laboratori di ricerca, aree attrezzate e altro, assumendone direttamente la proprietà. Ma per farlo, servirebbe che l’Unione europea cessasse di essere un non-Stato: cosa che oggi è politicamente difficile da realizzare, ma ormai necessaria, se si vuole affrontare senza intoppi le sfide della transizione digitale/globale.

2. la condivisione dei rischi crescenti connessi agli investimenti immateriali in un ambiente che, per quanto detto, è destinato a rimanere struttural- mente instabile e squilibrato. La condivisione può essere organizzata costruendo un quadro istituzionale e contrattuale che distribuisca ex ante – in modo consapevole e collaborativo – il rischio relativo ad investimenti in innovazione che richiedono la collaborazione attiva di molti e diversi attori, come deve accadere in un quadro di open innovation e di società imprenditoriale consapevole. La condivisione tra imprese (reti di impresa, progetti di co-innovazione tra fornitori e committenti delle filiere) può avvenire con contratti che identifichino progetti comuni di innovazione, fissando in modo preventivo gli impegni e i rischi assunti da ciascuno, nonché i benefici da distribuire in funzione dei risultati raggiunti. La stessa logica vale per le relazioni tra imprese e lavoratori (in funzione di progetti e rischi da condividere contrattualmente, sviluppando gli iniziali tentativi di premiare la produttività), tra finanziati e finanziatori, tra operatori locali e territori, tra contribuenti e fisco. Distribuire il rischio in funzione di pro- getti di innovazione condivisa significa infatti non solo creare una cornice di collaborazione non conflittuale tra parti co-interessate al risultato, ma anche ridurre il rischio assunto da ciascuno, aumentando le ambizioni di tutti riguardo al futuro possibile;

3. lo sviluppo di una batteria identitaria di idee motrici, che, proponendo nuovi modi vivere e di lavorare, creano – in ciascun territorio e in ciascuna filiera – le condizioni necessarie per creare senso e legami, da tradurre in valore economico e responsabilità sociale. La creazione di “ambienti di vita” e di significati attrattivi da parte della moda, dell’alimentare (si pensi al movimento Slow Food) e dei nuovi modi di intendere la salute, il divertimento, lo sport sono la premessa semantica su cui possono crescere business che offrono qualità e personalizzazione, due elementi portanti della generazione del valore nel nuovo paradigma. Temi di grande impatto come la green economy e la sostenibilità delle scelte economiche fatte, possono diventare in questo modo non solo fonte di collaborazione tra diversi interessi, ma anche fonte di valore economico aggiuntivo (pagato dai clienti finali che lo riconoscano). Le stesse piattaforme connettive di grande scala, che danno accesso al mondo digitale/globale di oggi, tendono ormai a proporre non solo un servizio utile (ripagato con la pubblicità), ma significati e legami che creano appartenenza, propagando idee motrici da condividere e praticare insieme (magari con maggiore responsabilità reci- proche rispetto a quanto è accaduto sinora);

4. un investimento massiccio in nuove professionalità, con la formazione diffusa nella popolazione di capacità generative, connettive e di gestione di codici replicativi complessi. Questo è il nuovo “capitale umano” che serve nei paesi ad altro costo per contrastare la svalorizzazione del lavoro

esecutivo ad opera dei paesi concorrenti low cost e dei robot in arrivo nel- le funzioni industriali e terziarie. Bisogna certo avere relazioni crescenti con questi paesi e con queste nuove tecnologie, ma attraverso persone che siano in grado di muoversi in modo efficiente e autonomo nelle reti di comunicazione e condivisione del nuovo paradigma. Si tratta dunque di mettere insieme, nei percorsi di istruzione, apprendimento e formazione, la creatività delle persone, la disponibilità ad assumere rischi e la padro- nanza dei codici e dei linguaggi formali necessari per agire con efficacia nel mondo digitale/globale di oggi;

5. la ritrovata giovinezza di uno Stato che, abbandonando centralizzazione, verticalità e burocrazia, riesca a proporsi come un quadro di convivenza post-fordista, aperto alle iniziative che emergono dal basso. Lo Stato attua- le può diventare post-fordista facendo crescere nella società civile molte e differenziate comunità di senso, che siano capaci di auto-organizzare servizi di qualità e funzioni di welfare evoluto. Mentre rimane allo Stato, nella sua versione costruzione di diritto universale, il presidio delle norme e dei bisogni di welfare essenziali alla cittadinanza.

Fare leva sulla forza evolutiva di queste soggettività emergenti non significa mettere da parte l’automatismo del mercato e il potere regolatore dello Stato tradi- zionale. Al contrario: un mercato competitivo efficiente può premiare, e alimentare in certe condizioni, lo sviluppo delle soggettività sopra richiamate. Ma solo in certe condizioni, appunto: tocca a noi rendere il mercato uno strumento condizionato, invece di un meccanismo auto-riferito, non responsabile dei suoi effetti.

Lo stesso vale per la politica pubblica. Uno Stato coeso e lungimirante, che – con il suo potere di regolazione e di investimento – sostenga lo sviluppo delle soggettività caratterizzanti la transizione in corso è fondamentale per alimentare la transizione verso il nuovo. Ma, attenzione: lo Stato, in quanto dotato di un potere “esclusivo” – in base al consenso politico-elettorale di chi lo esercita – è da sempre un sistema fortemente auto-centrato, che tende con una certa facilità a dimenticare il suo ruolo di servizio rispetto a dinamiche economiche e sociali che oggi non possono più essere disciplinate dall’alto, in modo burocratico e autoritario.

Questa ricerca di reciproco riconoscimento e di collaborazione conseguente è in corso. Essa si sviluppa lentamente (forse troppo) in una società che sta diventando sempre più imprenditoriale in termini di assunzione di rischi, col- laborazione tra diversi, consapevolezza responsabile (Audretsch, 2007; Rullani, 2011). Molti dei segni che la caratterizzano sono già visibili, almeno per coloro che hanno occhi e voglia per vederli. In una logica di esplorazione aperta, biso- gna avere aspirazioni alte e pazienti: il mondo non può cambiare da un giorno all’altro, specialmente se i cambiamenti da realizzare sono sostanziali. Ma è importante saperlo, per cominciare fin da oggi a sperimentare questa novità. Del resto, ogni nuovo cammino comincia con un primo passo.

Bibliografia

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delle politiche industriali e regionali. www.rivistasr.it.

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