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canz IX Ancor di dire non fino, perché

V 288, c. 92r, rubrica: Mō; M, c. 6, adespoto e solo le prime quattro stanze. Edizioni: D‟Ancona-Comparetti, III, 278-285; Minetti, pp. 95-102.

Bibliografia: Berisso 2016

Ancor di dire prosegue, con la canzone precedente, un discorso sul denaro più generico e speculativo,

demandando alla rappresentazione dello stato precario personale solo alcuni punti (vv. 1-6, v. 113 e il primo congedo). Rispetto agli esemplari precedenti, però, questo è anche un testo politico, perché affronta il tema cruciale della diversificazione delle classi sociali e della nobiltà. Appurata, infatti, nelle canzoni precedente l‟importanza del denaro nella società comunale, rimane da chiedersi se basti guadagnare e mantenere a

podere tali guadagni per avere, per così dire, le spalle coperte. Ma qui è l‟aporia: perché, come rimarca

Monte, il valore del denaro si misura ancora in base alla nobiltà di chi le possiede, in modo che c‟è alcuna possibilità di uscire da l‟impasse: i guadagni recenti non hanno nessuno valore, mentre, al contrario, il nobile decaduto è ancora esaltato socialmente. Le ricchezze sono, dunque, ancora commisurate dalla nobiltà di chi le possiede: come vedremo, si tratta di un punto centrale, perché permette di ipotizzare un più preciso scenario entro il quale inserire tali dichiarazioni. Quello che bisogna sottolineare, però, è che Monte indica in questa canzone in qualche modo un‟alternativa a questo criterio selettivo, che non permette, per così dire, il ricambio all‟interno degli strati società (il nobile è sempre nobile e il povero è sempre povero, infatti): tale alternativa muove dal riconoscimento dell‟uguaglianza di fondo tra gli essere umani in quanto tutti discendenti da un unico genitore, Adamo (si vedano i vv. 30-31 e 53-56), che rende inoperativa la divisione gerarchica dell‟umanità. Da questo consegue che tutti gli uomini dovrebbero avere pari opportunità nell‟accesso ai beni di questo mondo (cfr. i vv. 32-33 e 58-63, ai quali andranno aggiunti i vv. 79-84 che trattano dell‟accessibilità dei beni immateriali rappresentati dalla sapere e dalla conoscenza). Si tratta di un passaggio logico molto importante, perché l‟argomentazione edenica secondo la quale tutti gli uomini in quanto discendenti da un unico genitore è solitamente sfruttata nelle riflessioni politiche di stampo popolare (l‟esempio più famoso è il proemio del Liber Paradisus bolognese del 1257 «Paradisum voluptatis plantavit dominus Deus omnipotens a principio in quo posuit hominem quem formavit et ipsus corpus ornavit veste candenti, sibi donans perfectissimam et perpetuam libertatem. […] Cuius rei consideratione nobilis civitas Bononie, […] redemit omnes quos in civitate Bononie ac episcopatu reperit servili condictione adstrictos et liberos esse decrevit»; cfr. anche quanto citato nella nota al v. 31). La premessa egalitaria è però, come ribadito nel corso della canzone, negata dai fatti, dal momento che Monte afferma chiaramente, ai vv. 148- 156, che c‟è un gruppo che si è arricchito a scapito degli altri; il passaggio fa riflettere, perché effettivamente la Firenze del dopo Montaperti era governata da un élite guelfa, formatàsi proprio sulle premesse indicate da Monte. Durante il decennio compreso tra il 1250 e il 1260, quello del cosiddetto primo popolo, alcune famiglie del ceto mercantile cominciano la loro ascesa sociale, in un processo di differenziazione dal popolo, cui appartenevano in origine, e di conseguente assimilazione all‟aristocrazia, che li porterà a entrare nell‟oligarchia del comune. Questo processo culminerà tra 1263 e il 1265, quando tali famiglie furono costrette da Urbano IV e poi da Clemente IV ad assumere posizioni guelfe, finanziando l‟impresa di Carlo D‟Angiò contro Manfredi, ottenendo in cambio la dignità cavalleresca; tuttavia, le premesse popolari a Firenze furono, per così dire tradite: quando i guelfi riuscirono a riprendere il potere dopo la parentesi

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ghibellina, non ricostituirono le magistrature popolari precedentemente soppresse durante il regime ghibellino, dal 1260 al 1266, formando un governo fortemente chiuso ed esclusivo, formato da famiglie dell‟antica aristocrazia cittadina e famiglie di banchieri e mercanti di più recente nobilitazione, e non, dunque, un governo aperto che comprendesse, come sarebbe stato fisiologico, tutti i professionisti del settore economico, rendendo di fatto inattuali le dichiarazioni popolari di Monte se contestualizzate nello scenario fiorentino, nel quale invece si inseriscono in maniera davvero agile i numerosi lamenti che costellano le canzoni sul denaro. Mi pare possibile, mettendo a sistema la proposta popolare che abbiamo visto in Ancor di

dir non fino con il tono lamentoso delle canzoni, in cui si rappresenta una società spietata, pronta a escludere

chi ha bisogno, nel esce davvero il profilo di un popolano deluso nelle aspettative, che è stato escluso o che si è eslcuso da un determinato ambiente, quello fiorentino appunto. Da qui, l‟impressione è che Monte nelle canzoni solidarizzi con i propri interlocutori, per convincerli in qualche modo che, come si dice, è possibile un‟alternativa rispetto alla chiusa oligarchia fiorentina, da cui Monte prende le distanze, come potrebbe peraltro più avanti suggerire anche la tenzone con Puccio Bellondi.

Escludendo le minime integrazioni e le espunzioni, puntualmente segnalati in nota, due sono gli interventi maggiori che si propongono. Ai vv. 86-88, dopo una digressione in cui si elencano le conoscenze, divise in pratiche e speculative, e si afferma che tali conoscenze possono essere coltivate dall‟uomo, il manoscritto recita (cito dall‟edizione di Minetti) «e divien valoroso, / sapete, / se non fosse poderoso / di tesauro? [...]». In questa maniera, tuttavia, non si capisce a quale elemento precedente vada abbinato l‟aggettivo valoroso, cioè „dotato di valore, attivo‟: cosa diviene valoroso? Il dubbio scompare se si postula un fraintendimento paleografico alla base della lezione sapete, per un precedente sapere (per altro scambio t e r cfr. il „cappello‟ di Ahi doloroso lasso → canz. IV), da intendere come sostantivo (come in Ahi doloroso, v. 33 «Conoscenza, saver, tutta mi tolle», ma cfr. pure l‟attacco del sonetto, in precedenza attribuito a Guittone «Se in hom savere, nè valor, nè podere / nè alchun‟altra virtù rationale / non val poi che Fortuna incontra»), come a dire „tutto quanto nominato sopra può essere considerata conoscenza valida se non fosse supportata dal denaro?‟ (e si veda più avanti il v. 97, dove il verbo è usato in maniera assoluta come conoscere). Altro intervento necessario è al v. 163 che nel manoscritto compare ipermetro il verso è fortemente problematico, giacché nel manoscritto compare ipermetro «riposo di vita, paga di volònta», così Minetti, che lo interpreta come un alessandrino bisacefalo. Dal momento che non c‟è sicurezza circa l‟esistenza di un verso del genere, si prova a intervenire espungendo la seconda occorrenza della preposizione di, e dunque interpretando paga come verbo (affine dunque a Ahimé lasso, perché, → canz. X, v. 10 «d‟ogne volontà l‟animo paga»); contestualmente va applicata l‟anasinalefe con il verso successivo, visto che, pure con l‟intervento proposto, il verso ha comunque undici sillabe e uscita tronca (Minetti stampa «volònta», non altrimenti attestato). Nota metrica: schema ABb7BADd7C.Ee5FFGg5HIi5LLMm5Hh5M, in 7 strofe, più due congedi che ne

riproducono lo schema della sirma. Connessione capfinida solamente tra le strofe 4 e 5 (tesaur-tesauro). Rima per l‟occhio ai vv. 1 perché : 6 cerche, 93 povertà : 94 aperta, 135 mercé : 140 querce, 178 caprà : 179 saprà : 182 s‟apra, 194 sconcio : 195 ciò : 198 racconcio, 206 sé : 207 avesse, alle quali andranno aggiunte pure le frante 141 schifa : 142 ti fa, 169 move : 170 dov‟è. Rima derivativa ai vv. 2 congiunto : 3

digiunto, 15 soddisfa : 16 disfa, 18 incontra : 19 contr‟a (pure franta), 27 duca : 32 conduca, 48 conduce : 52 adduce, 89 regge : 90 corregge, 105 face : 110 disface. Rima ricca ai vv. 24 terreni : 25 sfreni, 44 nobile : 45 mobile (sdrucciola), 55 partì‟li : 56 gentili, 76 sentenza : 77 sentenza, 86 valoroso : 87 poderoso, 107 avvisa

: 108 divisa, 147 ancudine : 154 òdine : 155 ricrudine (sdrucciola), 185 disaventura : 186 natura, 190 troppo : 191 aggroppo, 203 ragione : 204 stagione, alle quali si aggiungano le desinenziali 20 scrivo : 21 arrivo, 199 chiarisce : 200 apparisce. Rima inclusiva ai vv. 28 nomo : 29 como : 30 omo, 115 alto : 116 salto, 126

stesso : 127 messo : 130 esso, 210 dice : 211 radice, 212 sape : 213 ape. Rima equivoca ai vv. 101 destro

(abile) : 104 destro (in locuzione avverbiale). Rima siciliana 152 abbisogna : 153 vergogna : 156 slugna, 189

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159 rimedio, vv. 121 pote : 128 notte : 129 vòte. Rima identica ai vv. 187 giù : 188 giù. Eccedenze in cesura ai vv. 10, 67, 102, 157, 158, 161.

Ancor di dire non fino perché

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