• Non ci sono risultati.

vape: dal latino vapor, è lectio difficilior di V rispetto alle lezioni degli altri manoscritti −

Non pecchin più di tal sentenza darla!

22. vape: dal latino vapor, è lectio difficilior di V rispetto alle lezioni degli altri manoscritti −

maninconia, ira: è significativo che i due termini ricorrano in successione, poiché, secondo le fonti

mediche, il secondo è quasi una conseguenza del primo (cfr. per es. Arateo, De Causis, I 5, citato in Giunta 2011, p. 279: «praeterea in iram [melancholici] facile incidunt»). Si pensava inoltre che la malinconia fosse da attribuire all‟eccesso di produzione di umor nero e che questo disturbo favorisse gli aspetti più irrazionali e violenti dell‟amore: Andrea Cappellano, De Amore, I 2 «illico melancolia ... consurgit, in eo suum sibi locum vindicat ira, et ita incipit esse alteratus amanti et ei terribilis apparere»; la coppia ricorre anche in Chiaro, cfr. Greve cosa è l‟atendere, vv. 2-4: «quello ch‟omo ha ‟n disia: / ira, e danno, e maninconia / ave chi ha speranza d‟ess‟aprendere»; vedi anche Dante, Un dì sì venne a me

Malinconia, v. 3-4, dove le due affezioni compaiono come ipostasi: « [Malinconia] parve a me che la

menasse seco / Dolore ed Ira per sua compagnia».

24. Cfr. Tommaso di Sasso, D‟amoroso paese, v. 5: «Amore me no lascia solo un‟ora»; simile formula anche in Panuccio, Sì dilettoza gioia, v. 47: «e c‟un‟ or‟ non m‟allena».

25. Si misuri l‟ironia dell‟immagine confrontandola con Dante, Par., XXVI, 134-35: «I s‟appellava in terra il sommo bene / onde vien la letizia che mi fascia». La stessa immagine ricorrerà in Più soferir non

posso ch‟io non dica, v. 112: «Di cotai gioie mi notrico e pasco».

26-27. la stessa coppia di rime e un simile andamento ricorrono in Panuccio, Sì dilettoza gioia, vv. 65- 66: «und‟è che la mia vita quazi è morte, / in tanta pena forte».

Se mi si dicesse: «Stolto, ma perché non ti separi da lui?», (risponderei che) non ne ho la possibilità, perché Amore mi tiene segregato e mi ha posto sotto una dura signoria, sicché sto assai peggio che morto e sepolto. Tutto questo potere che a forza seguo mi toglie conoscenza e saggezza; e mi comporto così: mi nutro di pianto, perché ogni altro rimedio non sarebbe sufficiente. Di certo mi trovo in una condizione pessima, perché mi tocca ubbidire e servire un tal signore per non avere di peggio: (altrimenti) sarebbero dure pene! E tutta la gente sembra che mi mostri a dito: così sono disonorato e svergognato a causa tua, Amore,tanto mi hai malridotto, ohimè!

29. Altra percontatio, con funzione di anticipare e neutralizzare le possibili obiezioni dei lettori. Per il procedimento cfr. Re Enzo, S‟eo trovasse pietanza, vv. 52-54: «or si pò dir da manti: / “Che è zo, che no mori, / poi ch‟à‟ sagnato il core?”. / Rispondo ... », e Chiaro, Non già per gioia ch‟ag[g]ia mi conforto, vv. 46-48: «Alcun poràmi dir: “Folle, che·ffai? / riprendi amor? Nonn·ha‟ conoscimento?”; / risponderò

65

[...]». Per il contenuto complessivo è molto simile l‟anonima (V, c. 28v) Ciò ch‟altro omo a sé noia o pena

conta, vv. 5-9: «null‟om dica: “Van tratti!”, ch‟io sono a segnoria: per che incolpato / non debo esser,

secondo il mio aviso: / però null‟om m‟infami, / che fa torto e pecato».

32. per ch‟assai: contro sì ch‟assai di L/Ch, scelta da Minetti; la lezione di V mi pare difendibile, cfr. di Monte, Più sofferir non posso ch‟io non dica, vv. 50-51 «Tant‟è crudele ... ǀ di me lo stato, per ch‟io no spero aita» e Ahimé lasso, perché a figura d‟omo, vv 87-88 « ... ʼl cor mi fue confitto, ǀ per ch‟e‟ peggio che morte mess‟ò in piega». ‒ guasto: cfr. l‟anonima Di dolor convien cantare, v. 36 «morta sono e guasta»; come sottolinea Gualdo, si tratta dell‟unica attestazione nel corpus dei PSS (volume III, p. 608).

33. Cfr. Guittone, Ahi, Deo, che dolorosa, vv. 33-34: «Prencipio è de l‟effetto / suo, che saver mi tolle». −

conoscenza, saver: è dittologia già collaudata, cfr. per es. l‟attacco sentenzioso di Federico II: «Misura,

providenza e meritanza / fanno l‟uomo eser saggio e conoscente»; o la Corona di casistica amorosa, 53, vv. 10-11: «donn‟amorosa ... / compiuta di savere e canoscenza»; in ottica negativa Guittone, Trattato, De la

nuda figura de l‟Amore, vv. 9-10: «Donque l‟amant‟è ... nudo / di vertù, di saver, di canoscenza». Il

principio è espresso bene da Maestro Francesco, A lo ‟stetar non è simile pena, vv. 9-11: « ... quando Amor tene omo in sua balia, / toglili suo savere e caonoscenza: / però lo move a·ffare ogne follia».

35-36. I due versi vengono citati praticamente alla lettera dall‟anonima (V 277, c. 86v) Umilmente vo

merzé cherendo, vv. 37-38: «Ma questo fo: di pianto mi rinovo, / ch‟altro argomento nonn-ò più acorto».

37. È formula di ineffabilità già provenzale, cfr. Giraut de Bornelh, Ai las, com mor!, v. 11: « ... plus fort que no·us sai dir». Cfr. Chiaro, Lungiamente portai, v. 22: «mi veste amanza – più ch‟io non so dire»; Guittone, Lasso, pensando quanto, v. 33, «Piò male ho ch‟e‟ non dico»; maestro Rinuccino nell‟attacco «Dogl[i]omi, lasso, più ch‟i‟ non so dire» e Guido Orlandi, Come servo francato, vv. 25-26 «Gioia gioiosa m‟à tornato amico / assai più ch‟i‟ non dico». Per una più ampia coincidenza formale si veda invece l‟anonima (V 66, c. 19r) Sì m‟à conquiso Amore, vv. 3-4: «ch‟io non poria contare / com‟eo sono a mal passo». − certo: l‟uso del segnale discorsivo rafforzativo è usato, per esempio, da Guittone nelle lettere in prosa per richiamare l‟attenzione del lettore e, allo stesso tempo, per sottolineare la validità delle proprie affermazioni (cfr. Segre 1974, p. 152; in generale cfr. Renzi-Salvi, p. 1347).

38. ubbidir e servir: i due termini, provenienti dalla retorica cortese (cfr. Cropp 1975, pp. 115-1, 220-26), ricorrono spesso insieme, cfr. Guido delle Colonne, La mia gran pena e lo gravoso afanno, vv. 19-20: «Ubidente so‟ stato tutavia, / ed ò servuto adesso co leanza»; cfr. anche Bonagiunta, Oi amadori, intendete

l‟affanno, vv. 2-4: «doglioso, che m‟avene: / che mi convene ‒ una donna servire / ed ubidir sovente». Cfr.

anche la Corona di casistica amorosa, 2, v. 9: «Sì·cch‟ubbidire – talor mi convene».

39. seriano forti pene: cfr. l‟anonima (V 275, c. 86r), L‟amoroso conforto e lo disdotto, vv. 26-27: «Dunque mi ritorno a la mia spene, / che troppo mi sarian gravose pene».

40. si cominciano qui a profilare i destinatari del testo, ovvero coloro che giudicano male il poeta, ai quali però solo alla fine, con una frase iussiva, verrà chiesto di tacere in maniera più esplicità. Varrà la pena ricordare inoltre che era proprio dei temperamenti malinconici fuggire la presenza delle persone e avere comportamenti bizzarri. In poesia, poi, si sottolinea spesso il contrasto tra l‟amante e il resto del mondo. Cfr. Guittone, Tutto ‟l dolor, ch‟eo mai portai fu gioia, vv. 53-55: «pur conven ch‟eo matteggi; e sì facci‟eo; / perch‟om mi mostra a dito e del mal meo / se gabba ...». Si veda anche la Corona di casistica amorosa, 48, v. 3: «e veggiomene ben mostrare a dito».

41. disorato ed aunito: è dittologia sinonimica di termini di origini provenzali (cfr. voce aunito in TLIO). Cfr. ma in contesto non amoroso Chiaro, Ahi dolze e gaia terra fiorentina, vv. 47-49: «non se‟ più tua, né hai la segnoria, / anzi se‟ disorata ed aunita / ed hai perduta vita». Disorrato viene, infatti, da desonrat e aunito da aunir (per quest‟ultimo cfr. Cella 2003, pp. 327-38).

Conosco bene la pessima condizione in cui mi trovo ma, come ho detto di sopra, non ho in me potere, forza e possibilità di movimento per poter essere libero. Perciò fa un errore chi usa parole di disprezzo nei miei

66

confronti, pur vedendo il dolore che provo. Avrò questa ricompensa: di seguire il proverbio che viene da Barga, perché non posso oppormi a nessuno. Tuttavia chi sapesse come sono trattato non parlerebbe contro di me, non mi sarebbe nemico così crudele, perché parlo solo di uno dei cento mali in cui mi consumo.

44. L‟ incidentale, infatti più frequente nei testi in prosa, interrompe qui il flusso dell‟emozione. 47. porta sòno: cfr. Brunetto, Favolello, vv. 99-100: «ma quando no·lli dono, / portami laido sòno». La rima equivoca sono : sòno è anche in Inghilfredi, Del meo voler dir l‟ombra, vv. 19-20.

48. cfr. Neri de‟ Visdomini, Crudele affanno e perta, vv. 53-56 e 60: «Ch‟io nonn-ò sì spietato / nemico né crudele, / che più dolze che mèle / non creda divenuto ver‟ me sia / ... / veggendo il mal ch‟io porto nel cor mio». I versi di Neri sono anche da confrontare con i vv. 52-54 di questa canzone. − abbo: è forma ben diffusa nelle varietà toscane (cfr. Castellani 2000, pp. 332, 359, 440).

50. Barga è un comune in Garfagnana che, nel corso del Duecento, fu conteso da Pisani e Lucchesi, per poi passare nel Trecento inoltrato in mano ai fiorentini (cfr. la voce Barga in ED). L‟origine del proverbio è oscura ma, a giudicare dall‟uso che ne fanno i poeti, sembrerebbe che si riferisca a uno scambio sproporzionato (forse da qui viene il pagamento del verso precedente, come a dire: „non ottengo nulla‟; per una diversa interpretazione cfr. CLPIO, p. CCIX). Cfr. Fiore, CLVI, vv. 12-13: «Se dài presenti, fa che vaglian poco: / che s‟e‟ ti dona Lucca dàgli Barga» (su cui si veda l‟ampia nota in Formisano 2012, p. 241; cfr. anche Chiaro, a Monte, Bono sparver non prende sanza artiglio (→ T 1.5), vv. 3-4: «chi dona il cor per un levar di ciglio / è uno proverbio ch‟usan quei da Barga»; cfr. poi il più lapidario Cione Baglioni, proprio in tenzone con Monte, Venuto è boce di lontan paese (→ Tp. 4.1), vv. 12 e 14: «Prima [si] converrà sangue si sparga! / ... / m‟a la fin, l‟uno fia quello da Barga» e, infine, Cino,

Io son colui che spesso m‟inginocchio, v. 3 «e‟ mi risponde come quel da Barga». L‟immagine sarà

reimpiegata anche in contesto economico in Ahimé lasso, perché a figura (→ canz. X), v. 56.

52-54. similmente Carnino Ghiberti, Luntan vi son, ma presso v‟è lo core, vv. 4-6: « ... se saveste la pena e ‟l dolore / che soffro per voi, bella, non veggendo, / ben so veria di me voi compietanza»; cfr. anche la già citata Corona di casistica amorosa, 48, vv. 5-8: «Ma·cchi me ne riprende, co·llui metto / che·sse vedrà il viso colorito / ch‟i‟ spesso veggio, che e‟ ne fia schernito, / sì non sarà saccente fancelletto» (cfr. anche con il v. 66). ■ parlerebbe motto: stesso sintagma in Chiaro, Non già per gioia

ch‟i‟ aggia, v. 36: «mi faria ric[c]o un sol motto parlando».

55. de le cento... non dico: per la formulazione cfr. Giacomo da Lentini, Amando lungiamente, vv. 27- 28: «non posso dir di cento parti l‟una / l‟amor ch‟eo porto a la vostra persona»; la vicinanza tra i due passi potrebbe essere confermata dalla rarità della formula, contro la ben più diffusa de l‟un cento, per la quale vedi quanto scrive Roberto Antonelli in PSS, I, p. 271 (dove però non viene citato il verso di Monte). Quella del poeta che glissa sulla maggior parte dei propri dolori è espressione formulare, cfr. Panuccio, Doloroza dogl[i]ensa in dir m‟adduce, v. 42: «e quazi dico nente vèr‟ ch‟io celo»; si rilegga inoltre il verso di Guittone nella nota relativa al v. 37.

Chi vuole nuocermi ne ha molto ampia possibilità, perché non ho un briciolo di dignità; ognuno mi faccia male quanto può, giacché Amore vuole che io sia il funebre ricettacolo di ogni tormento: questa è la mia condanna, non ho scampo! Amore me ne ha riempito in maniera così mortale che già trabocco, che è raggiunto il limite di contenimento; e ovunque il suono del traboccamento già rimbomba. Poiché nei confronti di questo Amore/morte mi comporto come il nibbio, chi mi condanna sbaglia certo di grosso, perché non serve a nulla opporsi contro Amore, che una volta che ha stretto uno, più costui cerca di opporsi, più lo tiene stretto e legato sotto di sé e lo riveste di un doloroso mantello.

59. cfr. Guittone, Mante stagione veggio, vv. 49-51: «Bono certo mi sape / che ciascun noccia me / quanto pote ... ».

67

60-64. I versi – specialmente l‟ultimo ‒ sono ricordati da un non meglio noto Ser Manno, tràdito dal Chigiano (se è giusta l‟attribuzione apposta al sonetto da una mano più tarda), in tenzone con Paolo Zoppo:

Siete color di tutto bene e resta, vv. 9-14 «Pero inver‟ di voi abbo gran campo − / di buona volontà, con

mossa larga − a voi servire, sì ch‟io mai non campo. / Or vi dico che peggio che ‟n tomba / son per amore, ed àione lo scolmo: / e ‟n molte parti già ‟l suon ne rimbomba». La citazione è un ulteriore incentivo ad accogliere a testo la lezione di V, contro quella di L ‒ in tutte parte ‒ preferita da Minetti (che stampa in tutte

parti). Il sonetto di Manno costituisce un‟interessante testimonianza della fortuna di Monte perché sembra

che il suo autore abbia presente anche la tenzone Monte/Paolo Zoppo (si vedano in Manno i vv. 1 «Siete color di tutto bene e resta» e 3 «sì che del vostro amore i‟ porto vesta», accostabili, oltre che all‟incipit montiano Di svariato colore porto vesta, ai vv. 1 e 3 della risposta di Paolo, per i quali vedi supra la nota relativa ai vv. 11-12). Si accorge di ciò anche un lettore anonimo del Vat. Lat 3793 che, all‟altezza della risposta di Paolo a Monte, appunta, a destra della rubrica, il nome Manno (l‟appunto è regolarmente registrato tra i marginalia del Vat. Lat 3793 in Egidi 1908, p. XVI; in Petrucci 2001, p. 37, si legge Nanno, forse per refuso). ■ tomba: è in rima con rimbomba anche in Inferno, VI, vv. 97 e 99. − che già

trabocco...lo scolmo: l‟immagine dell‟uomo come vaso/contenitore è di ascendenza biblica (vedi, per

esempio, Salmi, 30, 13 «sum quasi vas perditum»); cfr. anche, per l‟area romanza, l‟incipit di Peire Cardenal «Per so es hom crois malvaz appellatz / qar es us vas mals ... ». Si noti come la metafora estremizzi, in senso ancora più figurato, l‟immagine del colmare del verso precedente.

65. d‟esta morte: l‟equivalenza tra amore e morte è percepibile già a livello del corpo delle parole (estA

MORte stampa infatti Minetti), secondo il principio isidoriano per il quale i nomi hanno in sé le

caratteristiche principali delle cose che rappresentano. Cfr. per la forma Guittone, Trattato, De la garzonil

forma de l‟ Amore, v. 1: «La forma d‟essa morte dolorosa». − nibbio: l‟origine dell‟immagine non è chiara.

Il primo a utilizzarla in area italiana è Ruggerone da Palermo, richiamato anche dai Poeti del Duecento, in

Ben mi deggio alegrare, vv. 16-23: «Ben ò veduto amanti / a cui par forte amare / e non vole penare / e fa

come lo nibio certamente, / ch‟egli è bello e possanti / e non vole pigliare, / per non troppo affanare, / se non cosa quale sia appariscente»; più utile nel nostro caso appare Cecco Angiolieri, Lassar vo‟ lo trovare de

Becchina, vv. 7-8, che insiste sul minor valore del nibbio rispetto al più nobile girfalco: «ed è un nibbio, e

par un girfalco; / e pare un gallo, ed è una gallina»; cfr. anche l‟attacco di Schiatta in tenzone con Monte: «Da che di nibbio fate li sembianti / sono certo che, ’n voi, no regna valenza!». Dunque fuor di metafora: „nei riguardi di questo amore/morte sono remissivo, non mi ribello‟. Per far tornare la rima Minetti stampa

nibbia‟ (in rima con affibbia di L), che sarebbe un‟italianizzazione (*nibbiano) dell‟occitano niblan.

68. stringe ... contende: la stessa coppia, ma in un‟ottica leggermente diversa, viene utilizzata dall‟anonimo autore (V 373, c. 115v) del sonetto Se ciascuno altro passa il mio dolore, v. 4: «e non distringe lei che si contende».

70. cfr. Pallamidesse Bellindote in tenzone con Monte, La pena ch‟aggio cresce e non menova (→ T 8.1), vv. 9-11: «Tempèr d‟angoscia posar me no larga / e ‟ncalciami come falco colomba: / così manto di guaio adosso m‟afibbio»; Bacciarone di messer Bacone, Nova m‟è volontà nel cor creata, vv. 131-12: «[Amor] piacemi farlo sentenziare a Troia, / a cui adosso il tuo affibiasti manto»; in versione positiva, Ser Pace, Amor biasmato molto mi dispare, vv. 12-14: «Per lui [amore] li amanti cognosciono onore; / in adorneçe e ‟n piacere li mantene, / e poi largisse la corona e ’l manto».

Perciò ciascuno tema che Amore lo leghi! Solo in piccola parte vi ho mostrato i suoi pericoli nei frangenti a cui conduce coloro di cui si fa signore; ma se io rivelassi quanto invece mi serbo dentro, nessuno sarebbe severo a tal punto che la pietà non lo smuovesse a pregare per me.

68

73. Cfr. Bacciarone, Nova m‟è volontà, v. 85, «Al passo ditt‟ho che m‟addusse forte» e Baldo da Passignano, Donzella il core sospira, vv. 25-27, «Donzella, or v‟atalenti / di spregiare me, lasso!, / vegendo ch‟a tal passo son condotto».

Va‟, mio lamento; vuoi sapere a chi devi rivolgerti? A quei noiosi che a torto mi rimproverano; di‟ che talvolta una nave, (anche) una volta giunta al porto, può affondare per una forte tempesta: nello stesso modo potrebbero sentire il peso di Amore. Non facciano più l‟errore di pronunciare simili condanne.

77. Meo ... cui parla?: preferisco interpretare, a differenza di Minetti, il verso come una domanda rivolta dal poeta al proprio testo, così come Menichetti con l‟attacco di Chiaro «Va‟, mio sonetto, e·ssai con cui ragiona?».

78. ovviamente, come in tutta la canzone, il riferimento è ai lauzengiers, i maldicenti che sono sempre pronti a giudicare negativamente i comportamenti del poeta. In questo caso, però, il topos viene anche superato, poiché il poeta non deve più difendersi dalle cattive voci assieme alla sua dama (per lo più anzi il problema dei lauzengiers riguardava esclusivamente la reputazione della donna, cfr. Cropp 1975, p. 236), ma è solo, davanti alla comunità degli uomini che gli chiedono conto dei suoi comportamenti. Cfr. Monte, Piagente donna co lo viso clero, vv. 8 e 10, anche per l‟uso della frase ottativa: «Dubio per li parlieri noiosi a torto / ... / (così ciascun noioso fosse morto!)».

79-80. viene rovesciato il diffuso paragone tra la situazione di tormento del poeta e un viaggio nel mare in tempesta (in quest‟ottica il porto rappresenta l‟agognato luogo dove ripararsi dal proprio dolore, per cui cfr. ad esempio Bonagiunta, Feruto sono e chi di me è ferente, v. 13: « ... per sofrensa tosto aspetto porto»). Una prima immagine negativa è in Guido delle Colonne, La mia vit‟è sì fort‟e dura e

fera, v. 20: « ... e venuto ne sono a mal porto»; cfr. inoltre Neri de‟ Visdomini, Oi lasso doloroso, vv. 11-

13: «gran tristanza m‟à porto / e condotto in tal porto / dov‟ò gran malenanza». − di gran tempesta: il sintagma ricorre anche in Pucciandone Martelli, Madonna voi isguardando senti‟ Amore, vv. 34-35: «mi fai, come lo mare / quand‟è di gran tempesta».

82. il componimento si chiude in maniera concitata, con una frase iussiva nella quale si esortano i maldicenti a smetterla di sentenziare sul destino altrui. Qualcosa di simile era stato espresso da Mazzeo di Ricco in Chi conoscesse sì la sua falanza, vv. 10-14: «Però voria che fosse distinato / che ciascuno conoscesse il s‟onore / e ‟l disinore e ‟l pregio e la vergogna. / Talotta si comette tal peccato / che s‟omo conoscesse il so valore / di dicer mal d‟altrui non avria sogna».

Varianti formali: 1. Aj V L Ch dolorozo L nomposso V 2. cielare necovrire lo mortale V covrirel L celar necovrire Ch

3. canno L 4. di loro V jnciaschuno V menbro L Ch 6. umsolo V nomposso V retrarne L Ch 7. tantel sovercchio L tantel soverchio Ch convene V L dimostrne V 8. jnmia V chanzone V canso(n) L cançone Ch nomsono V 9. dongnaltro V Ch dognialtro L corppo V 10. fuori V for L Ch sono dongne V dognanimale L dongnanimale Ch 11. essolo L macondutto L ma condocto Ch attale L 12. tuto V 13. effecto Ch edam(m)i Ch 14. ormai L omai Ch chentesserẹ po V 15. Po Ch comprezo L nascie V 16. jntuto V onore V disvario Ch 17. alchuno V olocontraro L olcontrario Ch 18. lovolere V Ch uve L dove Ch lagio fiore non chape V 19. chi dire V Amor, di che ti pasce] amore V pascie V tepasce L de chette passe Ch 20. risponddo V respondo Ch 21. pemsieri eda fanni V 22. ten(n)emi L tienemi Ch jmfoco V 23. Malanconia L malinconia Ch tuti V 25. dicotai gioi L amore tuto V 26. m(m)i Ch parere V mortte V 27. edancora V eanco L pegio V tormeto L fortte V 28. credere V nonavere V 29. diciesse V partte V 30. non(n)o ilpodere V nonol podere Ch chamore mitiene V camor mi ten L mitene Ch 31. emfera V sengnoria V Ch signoria L aposto V 32. pegio sono ciertto V 33. conoscienza savere tuta V 34. sengnoria V forsa L 35. di planto minudrisco Ch 36. caltr L caltro Ch no(n)maverea L no(n)mavria Ch 37. Piu chio L dicho Ch sono ciertto V 38. servire tale V me Ch 40. etuta giente V par me Ch 41. sono V e L Ch 42. amore V Ch m(m)ai condutto lasso L mmai condocto Ch oi V Ch 43. passove L 44. agio V 46. jn V largha L Ch 47. fallo V Ch portta V 48. jndispresgio

69

vegiendo ilmale chabo V 49. paghamento Ch torabo V 50. diseguire V bargha L 51. Cheggia L nomposso contradiare nullom(m)o V nul huom(m)o Ch 52. sono V condocto Ch 54. sarebe V serebbe L crudele V nemicho Ch 55. ciento partti V dicho Ch 56. comsumo V chonsumo Ch 57. Ki nociere vole V nuocer vuol Ch nabene grande champpo V 58. tute dengnita V dingnita Ch sono V 59. faciami male ciaschuno om(m)o V 60. camore vuole V camor vol L vuole Ch 61. Jntale V Intal L ental Ch sentensia son L sentença som Ch sono V iscamppo V 62. mortal Ch guiza L amore V cholmo Ch 63. traiboco V trabucco L traboccho Ch ve(n) L ve Ch 64. partti V suono V losuon L rinbomba L 65. mortte V nibio V 66. sentença Ch ciertto V male V 67. contramor L checontra Ch nonvale V 68. >con< cuj stringie V

Outline

Documenti correlati