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Non ò ˆun sorso de le vertù contate

14. che] pero che 15. tra i] trali 37. trapassa 53. divisai] disvisai 80. vegianza sentenziarvi] sentenziare vi

Adesso è sceso in campo in mio soccorso un tal campione, che a questo punto posso dire questo: la contrarietà che vesto quasi non può farcela se affrontata dal suo giudizio. Possiede conoscenza ben radicata; e se c‟è qualcuno che dice falsità, bisogna chiedere a lui di correggerlo. Ma, dal momento che Dio non mi ha concesso di poter soddisfare chi prova sincera devozione in me, che sono guidato dalla disavventura, temo di omaggiare maggiormente, giacché una grande e sicura dotazione di risorse, per chi è in condizione servile, è pari a zero. Solo una persona così dotata può tentare di correggere la mia vita agra.

1. l‟attacco è modulato su una metafora bellica (la discussione è rappresentata, dunque, come un campo di battaglia), cfr. più avanti, nel contesto proprio, l‟attacco, → Tp 5.1 « Se ci avesse ˇalcun segnor più [ʼn] campo, / che speri di volere essere al campo / con que‟ ch‟à ʼl giglio ne l‟azzurro campo, quanto li piace e vuol prenda del campo»; cfr. pure, per analogie lessicali, Guittone, [O] beato Francesco, vv. 27-28 «reprendel chi ben dea fanciul temere / intrare in campo con campion forzore».

3. la metafora ricorrerà più avanti in Se per amor null‟omo porta pena (→ son. 6), v. 12 «e del contrado porto ed aggio il manto».

5. Conoscenza, saver: in dittologia sinonimica; sono le stesse qualità che Monte perdeva a causa di Amore in Ahi doloroso lasso (→ canz. IV), v. 33 «Conoscenza, saver tutta mi tolle» (e cfr. la nota relativa»). ■ in presto: Menichetti rimanda a Onesto, Vostro saggio parlar, ch‟è manifesto, v. 7 «mutar ciò c‟ho da la ragione in presto», ma si può anche rimandare a Tommaso da Faenza, Ancor ch‟io senta a ciascun manifesto, v. 4 «ciò che la lingua de cor tene in presto»; sta comunque per „in prestito‟, con sottolineatura del carattere temporaneo del possesso: cosa che non si può dire delle qualità di Chiaro che sono ben radicate in lui, come detto nella causale del verso successivo.

6. in sua magione: simile metafora in Bondie Dietaiuti, Amor quando mi membra, v. 76 «lo meo core ch‟è stato ʼsua magione» (per una variante, con domo, cfr. più avanti Guittone, A te, Montuccio, ed agli altri il cui

nomo, → T 10.1, vv. 7-8).

7. chi parla menzone: i precedenti editori, danno sfumatura ipotetica „se c‟è qualcuno che dice menzogne‟; la formula ricorre anche in un volgarizzamento della Bibbia dei secoli XIV e XV, Zaccaria, 13, 8 «tu hai parlato menzogna nel nome di Dio» (tale ricorrenza – ben più tarda tuttavia – escluderebbe la proposta alternativa fornita in nota da Menichetti «parl‟a menzone»).

8. lui: cioè al campione citato in apertura, e dunque a Chiaro (diversamente Menichetti lo lega a chi parla

menzone).

9. Fattore: Dio, secondo la nota metafora biblica, Psalmos, 133, 33 «benedicat tibi Dominus ex Sion factor caeli et terrae».

10. poco o fiore: equivale al nostro „poco o niente‟.

11. fede pura: „sincera devozione‟, anche in Donna di voi si rancura (→ canz. XI), v. 2, A la ʼmprimera,

donna, ch‟io guardai (→ son. 32), v. 4 e A la ʼmprimeramente ch‟io guardai (→ son. 40), v. 4.

12. riprende Più sofferir non posso (→ canz. VI), v. 103, dove però si è intervenuti per motivi metrici rendendo disaventura del ms. in sventura. Un calco preciso del verso è nell‟incipit di Cione Baglioni «Disaventura è di me guidatore, / come di nave lo bon marinaro».

13. me‟: „meglio‟, da intendere come avverbio „maggiormente, di più‟. ■ temo ed ò paura: in dittologia sinonimiche, anche in U·lungo tempo so‟ stato in disio (→ son. 26), v. 15.

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14-15. Il passo non è chiarissimo: probabilmente per questa ragione Menichetti interviene su di esso con modifiche di una certa entità (senza tuttavia discutere la lezione): «perch‟è gra[n] pagatura / servigi oltrar, no·llaudar pagatore» (chiosa, che comprende anche il v. 13: «Ho paura a ringraziare [...] di più, perché è adeguata ricompensa per i servizi ricevuti, il contraccambiarli maggiori, e non il lodare chi ce li ha fatti». Diversamente Minetti rimane, come del resto si è fatto q, fedele alla lezione di V che interpreta lapidariamente con «Di solvibilità, fra i servi, si sa, non è il caso di parlarne».

14. gra· paga [e] secura: si accoglie l‟integrazione di Minetti. Secura qui è da intepretare nel senso di „scontata‟ (per chi è povero, il materiale per sostenersi, qui metaforicamente inserito nella retorica della lode e nel motivo autodenigratorio, non è cosa scontata.

15. pagatore: non c‟è bisogno di interpretarlo, con Minetti, come Adamo (la chiosa complessiva dello studioso è «Chi ha saldato il debito di Adamo sopperisca alla mia dura condizione». Intendo Tal pagatore come riferito a Chiaro, „uno che sia disponibile di tanti mezzi come te corregga la direzione della mia vita dura‟.

So che molti pensano questo circa le virtù: che sono la chiave del mondo e il porto soave; il potere delle virtù inoltre rende saggi e permette di valutare la realtà nella sua interezza. Per chi invece il tesoro non è concesso, dal tempo in cui quest‟ultimo è stato introdotto, dirà che cosa càpita; ammettiamo pure, allora, che una persona sia ricettacolo di tutte le qualità, che sia libera, giovane e degna di affrontare la vita politica, ebbene costui è da considerarsi un servo e la sua azione approda sempre al nulla, se non ha accesso alla ricchezza, ed ha per destino qualcosa di peggio, dal momento che ogni cosa è [per lui] vana: l‟opera e l‟intelletto sono asservite, e si accompagna sempre con la miseria.

18-19. seguo qui l‟interpretazione di Minetti, di cui accolgo le congetture. Menichetti interviene, per quanto riguarda il v. 18, con una congettura, e proponendo una diversa distinctio per il v. 19, «ch‟a le vertù del mondo è l‟a[uro] chiave; ha ʼn cor porto soave» (come si vede, il secondo verso del dittico è legato sintatticamente con quello che viene detto dopo). Sembra preferibile la lezione di Minetti: indugiare sulle virtù in questo punto prepara, infatti, quello che verrà detto successivamente ai vv. 25-30 sulla dipendenza delle qualità virtuose rispetto al denaro. Mi discosto, tuttavia, da Minetti nel proporre il passo non tra virgolette caporali, come se si trattasse di una citazione.

18. de le virtù: complemento di argomento, „a proposito delle virtù‟.

19. porto: sempre se non debba essere corretto, per maggiore pregnanza semantica con il precedente

chiave, in porta (cfr. per esempio Laude di Cortona, 2, vv. 49-50 [ed. PD] «ch‟io t‟ho fatto di me chiave /

e porta sacratissima»): sono il „mezzo e il fine‟, come annota Minetti nella sua parafrasi, nel senso che l‟unico obiettivo che l‟uomo dovrebbe porsi è la pratica della virtù;

20. costruisco, con Minetti, „il potere di ciascuna fa saputo‟, ovvero „il potere delle virtù rendono saggio chi le coltiva‟. Menichetti preferisce l‟opzione indicata da Gaspary «il potere rende edotto (l‟uomo) di ciascuna (virtù)».

21. da sciogliere qui come „avere capacità di giudizio, tanto da riconoscere i propri errori e quegli degli altri‟. Monte si riferisce qui al celebre monito evangelico sulla pagliuzza (cfr. infatti TLIO, s.v.

busco) e la trave, preso da Mattheaum, 7, 3-5 «Quid autem vides festucam in oculo fratris tui et trabem in

oculo tuo non vides? Aut quomodo dicis fratri tuo sine eiciam festucam de oculo tuo et ecce trabis est in oculo tuo? Hypocrita, eice primum trabem de oculo tuo et tunc videbis eicere festucam de oculo fratris tui» (ma cfr. pure Lucam, 6, 41-42), richiamato anche dallo stesso Chiaro, in Da che mi convien fare, vv. 43-45 «era simil di quelli / che vede il busco altrui, / e non sua grande trave» e, con variazione lessicale, da Guittone, Lo gran desio face allegerare, v. 12 «Ad uno pare paglia ad altro trave».

22. di quanto tempo è suto: simile formula chiudeva Ahi misero tapino, ora scoperchio (→ canz. V), v. 98 «e quest‟è suto di quanto tempo i‟ odo», lì interpretato come „e questo avviene da sempre‟.

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Similmente, la formula andrà qui interpretata come „da quando esiste il denaro‟ (Minetti «da che mondo e mondo»), e cfr. il seguente esempio che traggo dal corpus Ovi, dai Conti di antichi cavalieri «E tucto el mundo, de quanto tempo visse emperadore, fece a pace stare». Menichetti interpreta in maniera diversa e un po‟ sibillina «Perché accoglie in sé il frutto di tutto il tempo trascorso», con tesauro come soggetto.

25. diciam: con accezione ironica „ammettiamo pure che‟. ■ di tutte bontà rede: simile formula (con uguale conclusione) in Tanto m‟abbonda (→ canz. VIII), vv. 67-68 «che, s‟egli à di tutte bontà coverta, / gli val, [s]e poi riccor i· lui non cape?».

26-27. libero, giovan e sano riprendono le tre virtù che realizzano l‟essere umano indicate da Chiaro ai vv. 21-22 della proposta (in particolare si rovescia il passaggio, ai vv. 23-24 nei quali si dice che tali virtù non si possono acquistare con i beni materiali).

26. l‟espressione idiomatica non è altrove diffusa nella lirica del ʼ200.

27. da sedere in panca: ovvero „degno di accedere alle cariche pubbliche‟, secondo l‟interpretazione di Casini, poi raccolta da Menichetti e Minetti: c‟è da dire che tale interpretazione non è supportata da passi paralleli. Un‟interpretazione alternativa potrebbe basarsi sul fatto che chi è giovane può stare seduto su una panca, senza particolare disagio. In ogni caso, l‟incertezza rimane.

28. lo sfranca: per Menichetti significa «lo mantiene libero da impedimenti», ma è lettura che male si addatta in questo punto dove si elenca la condizione di chi di riccore è fuori; la giusta interpretazione sarà allora la contraria (facendo il verso a «ciò lo franca», al v. 28 della proposta di Chiaro»: chi è povero è assoggetato a tutti coloro che sono in una condizione economica migliore.

29. se di riccore è fuori: ripetuto più avanti in Tanto m‟abbonda (→ canz. VIII) v. 72 «e sia di riccor fuor [...]». ■ e peggio anch‟à: seguo la distinctio di Minetti; diversamente Menichetti pubblica «e peggio anca», interpretando anca come verbo, comunque attestato, cfr. TLIO, s.v. ancare), con il significato di «batte il fianco nel respirare [...] respira affanosamente».

30. ogne cosa: il sintagma dà al pezzo quasi un tono perentorio: qualunque cosa faccia chi non ha soldi non ha nessun valore.

31. affetto e labore: più avanti in Ahimé lasso (→ canz. X), v. 157 «labor o discrezione». Rimandano, nell‟ordine, alla sfera intellettiva e a quella operativa.

32. contrado: ovvero il contrario del riccore di sopra.

Sai bene, amico, che è consuetudine mondana il fatto che è persona gradita chi si ingegna di ammassare ricchezze: può accedere al valore, se lo desidera. Chi, al contrario, si distingue per virtù, anche se è persona assennata, ha una condizione tanto mortale che per lui, se ha avuto la disgrazia di perdere i propri averi, i beni è come se non esistessero; vedi dunque come la potenza economica permette di valutare esattamente la portata di ciascuna virtù, e la bontà è nulla se manca la ricchezza: ahi, come è nudo e odiato dalla gente chi perde il proprio avere, tanto che non può assolutamente vendicarsi contro chi lo ha danneggiato.

33. ben sai: impossibile sapere se si tratti di un fàtismo retorico oppure di un preciso riferimento a una condivisione di ideali con Chiaro (che sia significativa l‟assenza dalla documentazione relativa al periodo guelfo anche di Chiaro?).

34-35. la formulazione è vicina a Più sofferir (→ canz. VI), vv. 69-72 «Ben può ciascuno vedere in aperto / che ʼl mondo tutto è condotto a tale: / che quanto avereˆà l‟uomo tanto vale, / se fosse di bontà tutto mendico, ma si veda più avanti Tanto m‟abbonda (→ canz. VIII), vv. 23-26 Qual om è di riccore bene altero, / trovasi amici, parenti, serviziali, / al suo piacere sono tanti e quali: / quanti ne sa volere pur ch‟e‟ cheda!».

34. si procaccia: il verbo usato anche il precedenza in Più sofferir (→ canz. VI), v. 83. ■ i passi: Menichetti corregge con spassi, ma non ce n‟è bisogno (cfr. d‟altronde la parafrasi forzata di tutto il passaggio «chi cerchi con ogni mezzo di ammassare ricchezze e insieme grati divertimenti», intendendo solli del manoscritto con so·lli, „sopra i‟).

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36. se dal cor è seguitato: „se è seguito dalla volontà, se lo desidera veramente‟, con cuore qui da intendere come «Sede dei desideri, delle aspirazioni, delle intenzioni» (così la definizione del TLIO, s.v.

cuore, § 1.3).

37. trapassi: si ristabilisce la rima (lasciata irrelata da Minetti) su trapassa del manoscritto. Il verbo va inteso qui come „va oltre‟, nel senso di „eccelle‟, ma l‟eccellenza in bontà non serve a nulla in questi frangenti. Il pensiero è completato sotto, al v. 44.

38. „se il senno non lo ha abbandonato‟ (e per questo, dunque, è emarginato), come si può capire anche da Guittone, Tutto ch‟eo poco vaglia, vv. 29 e 31-32 «Omo che ʼn disperanza / [...] / disperde conoscenza / e prende loco e stato di follia».

40. ripete quanto detto sopra al v. 30 «ogne cosa ven manca». Chi è povero non ha assolutamente accesso a qualsiasi tipo di bene.

41. mortal colpo: nelle economiche è sempre, come qui detto esplicitamente («di perdere avere»), la povertà, cfr. Tanto m‟abbonda (→ canz. VIII), v. 74, Ancor di dire (→ canz. IX), v. 113, Ahimé lasso (→ canz. X), v. 72.

42. potere: la „potenza economica‟, come in Tanto m‟abbonda (→ canz. VIII), v. 105.

43. cernente: con ripresa del verbo sopra al v. 20, cfr. più avanti Tanto m‟abbonda (→ canz. VIII), v. 118 «Come di vizio e di vertù fa cerna».

44. viene ribadita l‟assoluta inutilità delle qualità (qui, nello specifico, della bontà), se non accompagnate dal possesso di denaro (cfr. in precedenza Più sofferir, → canz. VI, vv. 100-102 « Sia ʼn omo cortesïaˇ e larghezza, / tutta bontà, sennoˇe gentilezza, / dico ch‟è spenta, s‟egliˆè d‟aver netto». ■

neiente: bisogna considerarlo bisillabo.

45. come prima in Più sofferir (→ canz. VI), v. 85 «chi no ʼl fa più nodiato è che domonio» (e si veda la nota precedente).

47. non pò pervenire in tal podere: cfr. Ancor di dire (→ canz. IX), v. 44 «valer non pò né pervenire iloco».

48. crux, risolvibile esclusivamente con una profonda modifica del verso, giacché sembra necessario almeno salvare la rima interna: «vendetta avere possa, a lui nocente». Il senso però è abbastanza pacifico, dal momento che si ripeterà più avanti in Ancor di dire (→ canz. IX), vv. 119-122 «Che nocitori, in povertà, son tanti / che donan pianti: / di rado ‟n istato venir si pote / ‒ de mille l‟un ‒ far se ·n possa vendetta».

Dal momento che, amico, la notizia della mia condanna abbia svolto il suo compito arrivando fino a te, ho la consapevolezza che tu abbia preso atto che non ho possibilità di soccorso e di cura; più di quello che ho detto, ho radicata la condanna in me: non ti stupisci allora di come la vita abbia ancora in me operatività, dal momento che sono del tutto consapevole della vita che mi è concessa? E se io ho ecceduto nel lamento, ribadisco che non sono persona che si accalori per cose vane; signore, io sono appunto in una situazione totalmente precaria: è inevitabile che la rovina mi attiri a sé. Dunque, in materia di disperazione, non posso essere accostato a chi si adira per cose vane, ma sono il solo afflitto da tormenti prodigiosi.

50. a te facesse sua giornata: „abbia svolto il suo compito, arrivando fino a te‟, per l‟espressione cfr.

TLIO, s.v. giornata, § 5.3.2 e § 5.3.3; si veda più avanti, con significato leggermente diverso, Chiaro

Davanzati, Certo ch‟io vi dico, in pur‟ veritate (→ T 4.3), v. 6 «ma di risponder fatt‟à sua giornata», nonché, sempre di Chiaro e con significato più vicino al passo qui in analisi, Di lungia parte aducemi

l‟amore, vv. 41-42 «gentil terra sovr‟ogne altra pisana, / ove lo pregio compie sua giornata».

51. l‟ài approvata: più che con „assentire‟, lo scioglierei qui, visto quello che viene detto dopo, con „prendere atto‟, con il significato più vicino al tecnicismo giuridico „ratificare un atto‟ (cfr. TLIO, s.v.

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53. più ch‟io non divisai: su disvisai del manoscritto, accolto da Menichetti, ma da correggere in base a

Tanto m‟abbonda (→ canz. VIII), v. 109 «Più ch‟eo non vi divisa[i] so ch‟alluma», nonché di Tutta gente fate maravigliare (→ son. 38), v. 9 «Non si porria co lingua divisare»; si veda sotto anche il v. 65.

54-56. la cosa che dovrebbe destare stupore è il fatto che Monte sia ancora vivo nonostante la consapevolezza del proprio dolore. Il motivo verrà riproposto in chiave amorosa nell‟attacco del sonetto S‟eo

doloroso ciascun giorno vado (→ son. 7). Minetti propone il passo in maniera diversa, legandolo al verso 53

«Più ch‟io non divisai, l‟ò ʼn me formata / (nom pensi come Vita à ʼn me potenza?); / poi ch'ag[g]io canoscenza / alquanta de la vita ch'è ʼn me data!» (chiosa: «Tale maledizione ha raggiunto in me un grado di irreversibile compiutezza [...], più di quanto le mie parole non dicano (non ti domandi in che modo la vita riesca ancora ad operare in me?); giacché ho una certa cognizione [...] del mio destino». Come si vede, tuttavia, si tratta di complicazioni non necessarie.

56. la vita ch‟è ʼn me data: con significativa ripetizione della chiusa del v. 54 «vita à ʼn me potenza». 57. aggio fatto plui: „ho esagerato nel lamento‟, la forma plui è ovviamente funzionale alla rima.

58-59. per sottolineare l‟assoluta urgenza della propria situazione, come poi rivelato nel v. successivo. Di

vanitate qui è complemento di causa.

60. cfr., per simile formula, Ancor di dire (→ canz. IX), vv. 187-188 «e sì nel basso, che più non posso giù, / mai non fu‟ giù». ■ siri: in Menichetti «sir», senza sinalefe tra i precedenti ma e or, ma obliterando la rima interna (pure necessaria, se il copista di V, come si è visto in apparato si preoccupa di ricavare la i finale sul sire scritto in precedenza).

61. contraro: qui „danno, rovina, sciagura‟, cfr. TLIO, s.v. contrario, § 2 e successive. ■ a me tiri: forse suggerirà a Niccolò de Rossi la formula nella chiusa di Da gl‟ogli töi un spirto se move «ché se dol ch‟amor a mort[e] me tira» (in rima con adira, e qui cfr. adiri al v. 59).

62. volga o giri: dittologia sinonimica, presente nel corpus montiano anche in Sì m‟à legato Amor, quanto

più tiro (→ son. 11), v. 5 e Non seppi mai che fosse alcun sospiro (→ son. 16), v. 3. Cfr. poi Chiaro, Volete udire in quante ore del giorno, v. 2 «amor mi volge e gira al suo talento», Rustico Filippi, Similmente la notte come ʼl giorno, v. 3 «e simile mi bolgo e giro intorno», nonché nell‟attacco «Dovunque eo vo o vegno

o volgo o giro», infine Paolo Lanfranchi, De la rota son posti esempli as[s]ai, v. 2 «che gira e volge e no dimora loco» e Giovanni dell‟Orto (in tenzone con Tommaso da Faenza), Amor i‟ prego ch‟alquanto

sostegni, v. 79 «tu fren mi volge e gira» (ci si rivolge ad Amore.

63. seguo qui la proposta di Menichetti che mi pare concluda meglio la riflessione iniziata al v. 57 (co lui è da intendere con chi di vanitate si adiri, il tono è riassuntivo: „vedi bene, allora, che in fatto di disperazione»). Diversamente Minetti stampa «Ad isperanza aver? Non son colui!» e intende «Aver io speranza?».

64. ribadisce l‟eccezionalità dei propri tormenti. ■ smiri: gallicismo (< pr. esmers).

Non potrei enumerare le mi avversità: sono tanto spento che a questo punto la morte è inevitabile. Se pure in me c‟è mai stata qualche virtù a procurarmi gioia, sono tanto lontano da ogni possibilità di soccorso, che se chi mi ha preso maggiormente l‟abitudine di giudicarmi, mi mostrasse alle altre persone, costoro nutrirebbero ancora pietà. Il conforto non ha nessuna azione in me, dal momento che prevale l‟abbondanza di dolore, più di quello che riesco a dire; a proposito di me, credo di n0n avere mai speranza. Amico sono costretto in una situazione tale che debbo denunciare pubblicamente: attualmente, chi si credeva sopraffatto dalla mia esistenza, si vendica sparando sentenze sulla mia situazione.

65. l‟eccedenza può essere riassorbita tramite soppressione dell‟articolo che apre il verso.

66. sì sono spento: cfr. più avanti l‟attacco (→ son. 9) «Ahi, come spento son, ohimè lasso». In contesto economico vedi, in dittologia con morto, Ahimè lasso, perché (→ canz. X), vv. 49 e 154.

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67. fece dimora: espressione diffusa, già in Giacomino Pugliese, Oi resplendiente, v. 45 «Se vai, meo sire, e fai dimoranza», ma si terrano presenti, per la presenza del medesimo soggetto di Monte, Chiaro, La

mia fedel voglienza, vv. 17-19 «ogne vertute mia / in vostra segnoria / fatt‟ha dimoramento» e Lotto di ser

Dato, Fior di beltà e d‟ogni cosa bona, v. 3 «l‟altae vertù che fan dimora». Il possesso temporaneo di qualche virtù positiva non può comunque cancellare la situazione precaria in cui versa l‟autore.

69. Menichetti elimina l‟eccedenza con «son sì ʼn tutto fora», ma si può intervenire anche eliminando

sì. ■ son sì nel tutto fòra: è espressione tipica di Monte che la utilizza in diverse combinazioni, cfr. in

precedenza Nel core aggio un foco (→ canz. II), vv. 38-39 «Da ch‟io del mio volere / son fòra [...]»,

Lasso me tristo, ciascun‟or mi doglio (→ son. 5), vv. 9-10 «E di quanto amo e disio o voglio / son fòra

[...]»; cfr. pure Chiaro, Amore io non mi doglio, V. 85 «[...] d‟ogni ben son fora».

70-71. nonstante quello del povero disprezzato sia un topos già biblico (lo si è visto d‟altronde anche in contesto amoroso per l‟innamorato, cfr. Ahi Deo merzé, → canz. I, come in precedenza per il v. 32, anche qui bisognerà ribadire l‟impossibilità di decidere se il riferimento è generale o se è esistito veramente qualcuno che ha preso più a giudicare l‟autore: il problema si ripresenterà d‟altronde alla fine della stanza.

72. il concetto sarà ribadito pure in Ahimè lasso (→ canz. X), vv. 53-54 «e di tal guisa vivo, / pietà

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