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il riferimento al pensiero altrui è una delle spie che rivelano la natura di dibattito della poesia medievale (cfr Giunta 2002/b, pp 479-486) L‟accenno qui è a una delle pratiche più diffuse da parte de

ciò che si perde per la morte trista: e quest‟è suto di quanto tempo iʼ odo.

15. il riferimento al pensiero altrui è una delle spie che rivelano la natura di dibattito della poesia medievale (cfr Giunta 2002/b, pp 479-486) L‟accenno qui è a una delle pratiche più diffuse da parte de

poeti, cioè la lode ad amore; cfr. anche lo stesso Monte, D‟amor son preso, sì che me ritrarne, v. 16 (→ T 7.3): «d‟Amor mi laudo, tal gioia mi dona». Per un contesto invece critico cfr. Guittone O tu, de nome Amor, v. 16: «Peggio che guerra, Amor, omo te lauda»; cfr. inoltre Pucciandone Martelli, Madonna, voi

isguardando senti‟ Amore, vv. 49-51: «Poi ch‟ài lo nome, Amor, tanto avenente / e tuttor manta gente / aggi‟

odite laudare».

16. così no·ʼl chiamo: simile a Onesto, Ahi lasso taupino!, v. 14: «però no·l chiamo Amor, ma amaro e reo».

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17. la parentela pseudo etimologica tra amore e morte è invenzione guittoniana; cfr. Ahi Deo, che

dolorosa, vv. 17-18 e 24-25, simile anche per forma: «Nome ave Amore: / ahi Deo, ch‟è falso nomo, /

[...] / morte al corpo ed a l‟alma lo coso, / ch‟è ʼl suo diritto nome in veritate». Simili manipolazioni sulla parola sono compiute anche dai siciliani, come in Piero della Vigna, Amando con fin core e con speranza, vv. 13-14: «La morte m‟èste amara, che l‟amore / mutòmi in amarore»; si veda inoltre Guido Guinizelli,

Ch‟eo cor avesse, mi potea laudare, vv. 12-14: «[...] chi ne vol aver ferma certanza, / riguardimi, se sa

legger d‟amore, / ch‟i‟ porto morte scritta ne la faccia». La connessione tra amore e morte verrà problematicizzata in Inferno, V, v. 106, dove i due termini ricorrono a chiasmo: «Amor condusse noi ad una morte».

18. cfr., per la coincidenza formale, l‟anonima (V 128, c. 37v) Ancora ch‟io sia stato, vv. 44-46 «la mia vita, che morte / apellare si pote, / ancor peggio che morte, se si trova» (da confrontare anche con il v. 40).

19. Or odi: si noti l‟utilizzo dell‟apostrofe diretta per veicolare l‟attenzione dell‟ascoltatore come nelle prediche (cfr. per esempio San Bernardino, predica XII pronunciata a Firenze il 19 marzo 1424: «Odi miracolo! Morto che costui fu [...] incominciò a mettere la barba e a crescere e capegli») o nelle

performances giullaresche (cfr. l‟incipit di Ruggeri Apugliese: «Gienti, intendete questo sermone: /

Rugieri à fatto la sua Passione»). ■ or: segnale discorsivo che, in posizione iniziale, accompagna spesso le frasi iussive (cfr. Renzi-Salvi 2010, p. 1208). ■ frauda: in un medesimo contesto e in rima con lauda anche in Guittone O tu, de nome amor, vv. 16-19; segnaliamo anche la proposta di Paolo Borsa (cfr. Borsa 2007, p. 182) secondo la quale il ritorno in rima delle due parole, in leggera variazione (fraude :

laude) ai vv. 55 e 57 di Al cor gentile remparira sempre amore, inquadrano la canzone di Guinizelli in un

orientamento antiguittoniano (e, si può aggiungere, antimontiano).

20. brami e disii: è dittologia sinonimica abbastanza frequente (qui ricorrerà nuovamente al v. 55). Cfr. Percivalle Doria, Amore m‟ave priso, v. 23: «sì coralmente eo la disio e bramo»; cfr. inoltre Chiaro,

Madonna, lungiamente aggio portato, v. 48 «ch‟amor che tarda pur disia e brama» e Rustico, Oi amoroso e mio fedele amante, v. 13 «ched io tanto del cor disio e bramo». Si noti come, in questo caso, l‟intensità

del desiderio, sottolineata dall‟uso dei due sinonimi, contrasti con la scarsità della ricompensa ottenuta, come si dice nei versi successivi (cioè: „quando pensi di aver

ottenuto qualcosa, ti accorgi di non aver ottenuto nulla‟). ■ vita sì agra: il sintagma ricorre (sempre in

rima con magra) anche in Panuccio, Doloroza dogl[i]ensa in dir m‟adduce, vv. 6-7: «[...] avendo mia vita agra / e·ddi ciascun plager lontana e magra».

24. trappa: gallicismo (cfr. il provenzale atrapar e l‟antico francese atrapper, Cella 2003 / a, p. 327). Si tenga presente anche il germanico trappa, „trappola‟ (cfr. Castellani 2000, p. 25). Cfr. Lunardo del Guallacca, Sì come ʼl pescio al lasso, v. 28: «Mentre che·ppon trappare».

25. trappa: per „tarpa‟, con metatesi della r (cfr. Rohlfs 1966-1969, § 322), come probabilmente in Bacciarone, Nova m‟è volonta, vv. 44-43: « [...] Amore, / che tutto trappa bene».

26. di ragional...mendico: cfr. Guittone, Ora parrà s‟eo saverò, vv. 46-48: «In vita more, e sempre in morte vive, / omo fellon ch‟è di ragion nemico; / credendo venir ricco, ven mendico». Il concetto è ampiamente diffuso, per sottolineare l‟inconciliabilità tra vizio e ragione, nelle rimenate morali contro l‟amore, come in Meo Abbracciavacca, Non volontà, ma omo fa ragione, vv. 9-11: «E dunque, amico, c‟hai d‟omo figura / razional, potente, bono e saggio, / come ti sottopon vizio carnale?»; cfr. anche Bacciarone, Nova m‟è volontà, vv. 19-20: «Parmi di tai son lor le vertù casse, / non più che vist‟han d‟omo razionale». Si confronti infine, a riassumere tutto il contenuto della canzone, Brunetto Tresor, II, 72, 3: «[D]‟autre part, qui sert a ses desirriers est sousmis au jouc de servaige, il est orgoillous, il deguerpi a Dieu, il pert son sens et sa vertu».

27. nella tradizione del pensiero cristiano l‟unico vero amore è quello verso Dio e verso il prossimo (cfr. Isidoro, Etimologie, VIII, II, 6-7: «Nam dilectio a duobus incipit, quod est amor Dei et proximi [...]. Omnis autem dilectio carnalis non dilectio, sed magis amor dici solet». Il concetto è espresso in numerosi

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passi del De Amore, nei quali è presente, tra le varie conseguenze, anche la perdita dell‟onore; cfr. questo esempio tratto dal libro III: «Nam, si te facit regis gratia carere coelestis et omni te penitus vero privat amico amico [...] cur stulte quaeris amare?» (dove anche qui è interessante notare l‟orientamento polemico verso il lettore). Cfr. per l‟uso dell‟espressione in poesia Guittone, Ai lasso, che li boni e li malvagi, vv. 54-55: «sé ned amico né Dio guarda fiore / a seguir bene Amore»; cfr. ancora Guittone, O tu, de nome Amor, vv. 57-58: «Adonque Dio, onor, pro e sé perde; / e, poi perduto ha ciò, perd‟ ogni amico»; cfr. poi nuovamente Bacciarone, Nova m‟è volontà, vv. 53-54: «che parenti ed amici avea ʼn obbrìa / e quasi Dio venìa dimenticando».

Di seguito molti ubbidiscono e servono al punto che ogni briciolo di onore viene spento; per quanto ciascuno tenda a tenere nascosto il disonore, è inevitabile che alla fine sia fedele allievo dei nemici più mortali che l‟uomo abbia: per questo è una prigione mortale, non certo una gabbia per chi è costretto a seguire le sue opere. C‟è di più: a costui, così preso da Amore, sembra che tutte le altre persone siano nel torto [mentre in realtà è lui che sbaglia]: si preoccupa del disonore meno del corvo! Ahimè come può considerarsi morte la vita di colui che è condannato a un così crudele destino che svuota il nostro corpo di ogni bene!

30. servir sanza infinta: cfr. Guittone, Deo che ben aggia il cor meo, che sì bello, vv. 9-10: «sì, che lo forzo meo sempre ʼl savere / in lei servire opera senza enfenta».

31. spinta: per „spenta‟ con chiusura della e protonica tipica del fiorentino (cfr. Rohlfs 1966-1969, § 49). 39. corbo: l‟immagine, per la verità, non appartiene al bestiario poetico, dal momento che vi ricorre solo in pochissime occasioni. Delle notizie sul corvo forniteci dalle fonti naturalistiche classiche, quella che più ci interessa vuole che l‟uccello si nutra, poco dignitosamente, soprattutto di cadaveri; così appunto è rappresentato nell‟apparato iconografico dei manoscritti, e così compare anche nel Tresor di Brunetto, libro I, 157, II-III: «Il manjue charoigne, mes tout avant quiert l‟oil, et puis manjue la cervelle. Ce est li oisel qui ne revint pas a l‟arche Noe, [...] por ce qu‟il trova granz charoignes». Sarà bene ricordare che, partendo dalla notizia secondo la quale fu un corvo, per primo, a essere mandato da Noè fuori dall‟arca, senza però fare ritorno, gli esegeti cristiani intrerpretarono allegoricamente l‟animale come un ricettacolo di vizi e peccati, che deve essere tenuto lontano dalla comunità cristiana (rappresentata appunto dall‟arca); cfr. per esempio Sant‟Ambrogio, De Mysteriis, III, 11: «Corvus est figura peccati, quod exit et non revertitur». Da confrontare infine con Ser Garzo, Proverbi, 97: «Korbo a carogna / non lascia per vergogna» (per tutta la questione cfr. Ciccarese 2002, p. 357-377). ■ corbo: forma betacizzata molto frequente (cfr. Rohlfs1966- 1968, § 262).

40-41. simile movenza nell‟incipit di Chiaro: «Com‟ forte vita e dolorosa, lasso, / pate chi è ʼn altrui forza e balia». ■ com‟è vita morte: cfr. al contrario Corona di casistica amorosa, 58, vv. 10-11: «[...] Amore, / senza lo qual seria morte la vita».

42. con rovesciamento della diffusa immagine cortese per cui l‟amore è fonte di ogni bene (per cui cfr. per esempio Bonagiunta, Ben mi credea in tutto essere d‟Amore, vv. 33-36: « [...] Amore ha in sé vertude: / del vile uom face prode; / s‟egli è villano, in cortesia lo muta; / di scarso largo a·ddivenir lo aiuta») . Cfr. poi, anche per la coincidenza formale, Chiaro Davanzati, Amore, io non mi doglio, vv. 84-85: «se più face dimoro / ch‟io no la veg[g]ia, d‟ogni ben son fora»; cfr. anche Bacciarone, Nova m‟è volontà, vv. 29-30: «Non venosi gecchiti di laudare / il folle e vano amor, d‟ogni ben nudo» (da confrontare anche con i vv. 15 e 78). ■

d‟ogni ben: il sintagma ricorre in identico contesto sulla povertà nel Detto d‟Amore, ai vv. 353-354 «cu‟ ella

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Adesso poniamo che tutto ciò che ho detto non sia vero e ciascuna fase sia caratterizzata da bene assoluto: la fine dove ti conduce e poi mantiene fa in modo che il cielo ti sembri una lastra e con questo vestito ti copre interamente; il disprezzo e il disonore cresceranno continuamente: e qual è la cosa che rende bella la vita? Per l‟uomo che alterna giorni e notti [cioè che è vivo] il vivere con onore! Tuttavia chi ha anche un accenno [di amore] non può avere onore. Se qualcuno vuole dire che egli offre delle gioie, quello è già sottomesso. D‟altra parte la donna non concede mai abbastanza di sé al punto che il cuore in quell‟istante non smetta di desiderare: anzi, più lo prendi, più quel desiderio cresce in te.

46. tegghia: dal latino tegula (per l‟esito gl > gg cfr. Castellani). In rima con vegghia anche in Inferno, XXIX, vv. 74 e 78.

50. dorme e vegghia: di probabile origine biblica (per cui cfr. Deuteronomio, 6, 7 « [...] et ambulans in itinere dormiens atque consurgens»), poi espressione formulare della poesia per evidenziare l‟ossessività del pensiero amoroso, cfr. già l‟incipit di Monte: «S‟eo dormo o veglio, a me sè ʼn pensiero». Cfr. inoltre Tommaso di Sasso, D‟amoroso paese, v. 12: «e, s‟io veglio o dormento, sent‟amore»; cfr. poi l‟anonima (V 66, c. 19r), Sì m‟à conquiso Amore, vv. 55-56: «Ai, cera prezïosa, / per cui perdo il dormire / e ʼl veghiar mi dispiace»; cfr. infine Guittone con l‟attacco: «Tuttor s‟eo veglio o dormo, / de lei pensar non campo».

51. ancora una messa in discussione di un luogo comune cortese (cfr. CROPP pp. 363-365). L‟immagine è ripresa anche dai siciliani come, per esempio, in Rinaldo d‟Aquino, Venuto m‟è in talento (versione del ms. Banco Rari 217), vv. 61-62: «mi difende di fare / ogna cosa che sia contra innoranza». ■

Oranza: dal provenzale onransa (cfr. CELLA 2003, pp. 242-243).

53. guida e scorge: la stessa coppia di verbi è in Petrarca, Rvf 211, v. 1: «Voglia mi sprona, Amor mi guida e scorge».

56. viene riletta in maniera negativa una teoria di Andrea Cappellano, ripresa dai trovatori, per cui la

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