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canz IV Ahi doloroso lasso, più non posso.

Manoscritti: V 281, cc. 88rv, rubrica: Mō; L 82, cc. 85rv, rubrica: mōnte; Ch 240, cc. 82r-v , rubrica: S(er)

montuccio fiorentini; M, c. 3r (dal v. 43).

Edizioni: Crescimbeni III, 54-56; Valeriani II; pp. 31-34 (vers. L) e 375-378 (vers. Ch); Villarosa, I, pp. 462- 464; Zanotto 118-119; D‟Ancona-Comparetti, III, 239-244; Monaci-Arese 321-323; PD, I, 449-453; Giuliani 132-135; Minetti, pp. 51-55; CLPIO, pp. 154-155 (L), p. 440 (V); Sangiovanni, pp. 69-77.

Questa canzone svolge un tema che sembrerebbe più adatto a una perorazione in prosa, rivolta ai maldicenti affinché la smettano di giudicare negativamente i comportamenti del poeta, impazzito a causa dell‟amore. Siamo lontani dal clima di Ahi Deo merzé, fondato su citazioni dalla poesia siciliana e coeva. Questa insomma non è una canzone d‟amore (e si noti come in questi versi la figura della donna sia del tutto assente), ma una canzone sull‟amore e sui suoi effetti morali e sintomatici devastanti, come sarà Donna me

prega di Guido Cavalcanti: le poche immagini topiche presenti sono rilette in un‟ottica fortemente negativa.

Il sentimento che domina il testo è, non a caso, il dolore, ben diverso però da quello che, nei testi di altri poeti come Chiaro e Bonagiunta, si spera preannunci un periodo di gioia: per Monte oltre il dolore c‟è solo la morte (che spesso anzi è agognata come termine delle sofferenze).

Ahi doloroso lasso, secondo la nota dialogicità della poesia medievale, riceve una risposta per le rime ad

opera di Tommaso da Faenza, incentrata su una visione positiva, più vicina alla tradizione cortese: in realtà la colpa non è da attribuirsi all‟amore, massima fonte di valore, ma semmai ai cattivi amanti, che scambiano per torti le prove a cui Amore li sottopone per valutare la loro dedizione. Sia l‟edizione di Minetti sia, in precedenza, quella dei PD, applicano già a partire da Ahi doloroso la rubrica Tenzone con Tommaso; in realtà, leggendo le altre poesie di corrispondenza di Monte risulta subito evidente come il poeta faccia sempre, nei congedi, riferimento esplicito ai destinatari del testo (con tutta l‟annessa retorica della poesia di corrispondenza, quale per esempio la richiesta di correzioni al proprio componimento, cfr. Giunta 2002/b, pp. 151-53), cosa che invece manca in questo testo; né, d‟altra parte, vi è alcun indizio in tal senso nella rubriche attributive. È probabile dunque che Monte non abbia pensato ad Ahi doloroso come al primo tempo di uno scambio di canzoni e che Tommaso, dal canto suo, abbia scritto la sua risposta in un momento successivo, quando il testo di Monte era stato ormai divulgato (cfr. Giunta 2002/a, pp. 134-135).

Per quel che riguarda i rapporti tra i codici è pacifico l‟accordo tra V e Ch contro L. Qui mi limito a segnalare il caso di errore congiuntivo più chiaro, presente al v. 60, dove il comportamento di V (camore

vuole chionesia ormento etomba) e Ch (chamor vuole cheo sia or morto in tomba), contro L (camor vol sia dogni tormento tomba), denuncia la provenienza dei testimoni da un antigrafo comune già corrotto o mal

leggibile; per altri casi, si veda l‟apparato (si veda per es. il v. 22 in apparato).

Anche in questo caso non soccorrono indizi flagranti che provino l‟esistenza dell‟archetipo. L‟unica prova abbastanza solida, seguendo l‟indicazione di Minetti, è offerta dal problema dei congedi. L e V, infatti, li presentano in ordine inverso rispetto a quello di Ch, che, a rigor di logica, sembra il più corretto sia perché mantiene la connessione in capfinidas, sia per il senso complessivo del finale; V dal canto suo appone a lato

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un segno dislocativo che ristabilisce l‟ordine corretto dei due congedi (conseguentemente attestato in M). Le opzioni possibili sono due: l‟ordinamento, tramite segno, spetta all‟antecedente di V e Ch, ma, mentre Ch ne ha preso atto e ha mutato la disposizione dei congedi, V si è limitato a riprodurre tale segno; oppure, l‟ordinamento è stato segnalato dall‟archetipo ma, al contrario di V Ch, il copista di L non si è accorto dell‟indicazione e ha riprodotto i due congedi nella successione errata. Non mi sembra possibile invece l‟opzione di Minetti, secondo la quale «il revisore è V (= Monte?) ed α [cioè Ch+V2] un suo solerte (ma nella

mera fattispecie) apografo»; questo perché Ch al v. 13 non eredita, per es., la lezione assolutamente banalizzante di V (affanno vs. effetto di Ch e affetto di L).

Sembra inoltre che tra Ch e l‟antigrafo condiviso con V debba collocarsi un ulteriore intermediario, assai scorretto, come si evince dal comportamento di Ch ai vv. 43-46, dove persino l‟alternanza delle rime non è rispettata: Conosco bene ilreo passo ove sono / masichomeo aggio di sopra podere / nonaggio nevita ne

overa in me. Più delicata è un‟altra questione: in diversi casi, alcune lezioni che Ch condivide con L

potrebbero far sospettare una contaminazione tra i due rami dello stemma. Mentre è possibilmente poligenetico, a causa della somiglianza tra i grafemi t e r, il vedere del v. 14 (contro il vedete di V, già segnalato in PD, II, p. 832), altri casi nei quali L e Ch concordano sono più problematici: v. 6 solo un pu(n)to L solu(n)punto Ch (V umsolo punto ), v.8 eo senbro L eo sembro Ch (asembro), v. 32 sichassai L Ch (V

perchassai), v. 52 savesse L sapesse Ch (V vedesse).

Di fatto il dato che colpisce di più è la quantità di varianti sostanziali adiafore. Non mi sembra però di dover ricorrere a particolari forzature nella difesa della testimonianza di V, a differenza di Minetti e dei PD che spesso privilegiano L: si vedano per es. i vv. 35 e 49, dove Minetti segue il Laurenziano e stampa rispettivamente Ma sai che fo? Di pianto mi nodrisco e Ma sai che pagamento ne torrabo?, come se il poeta si rivolgesse a un interlocutore preciso, il che però non sembra conciliarsi – come è stato visto sopra − con la strategia retorica della canzone; la lezione di V invece è confortata sia dalla citazione di un autore anonimo (su cui vedi la nota relativa al v. 35) che riprende il dettato montiano quasi alla lettera, sia dal ricorso allo stesso tipo di frase in altre occasioni da parte del poeta (cfr. per esempio Già non porrïa co la lingua dire, → son. 39, v. 5: «Questo m‟avvene: tal segnor gradire»). Al v. 39 inoltre mantengo, con i soliti minimi ritocchi, la lezione di V nonavere pegio seriano fortte pene (L nonaver peggio sreinforte pene, con introduzione forma verbale tosco-occidentale), rispetto alla minoritaria noaver peggio seria fuor dipene di Ch, preferita dai PD e da Minetti. Allo stesso modo, ai vv. 48 e 52 promuovo a testo la lezione di V (e parzialmente di Ch, che però è scorretto) però fa fal chi di me porta sòno / ... poi [assente in V, ma che qui propongo di reintegrare sull‟accordo L/Ch] veggendo il mal e ma chi vedesse come son condotto / contra di me (vs. L poi

non sanno ‟l mal e ma chi sapesse), perché mi pare che l‟intera canzone sia giocata sul concetto di visualità

dei tormenti (celar, covrire, non son ciò ch‟as[s]embro, vedete, tutta gente par mi mostri a dito), contrapposta alla loro registrazione scritta e descrizione orale, che non li esprime pienamente: si confronti la seconda lezione con S‟eo portai mai dolore, fu neiente, → son. 8, vv. 4-5 «Ca sì compreso à me incarnatamente, / chi me vedesse, il crederia già bene» e Quant‟à nel mondo figure di carne, vv. 15-16 «Chi me vedesse, com‟sono a re‟ passo, / non sofferia di star pur menco insembro».

Altra novità riguarda due serie di rime. Al v. 14 infatti V L Ch presentano la lezione uedete [vedere L/Ch]

oimai chent esser pò (in rima con corpo del v, 9). Minetti corregge chent‟Ess‟or pò, „qual è ora il suo (di

Amore) valore, di cosa è capace‟, alla luce delle rime corrispondenti nella risposta di Tommaso (scorpo :

valor pò), ma forse la lezione dei manoscritti, per il senso complessivo, è accettabile (da intendere dunque: dato che Amore mi veste di sé, potete ben vedere come ciò accade): si confronti la lezione proposta con i

seguenti passi, i vv. 52-53 di Più sofferir non posso ch‟io non dica (→ canz. VI) «Or voglio dire come esser pote / che la mia vita sia in cotal tempesta», e ancora con i vv. 12-13 di Perfetto, amico, vostro consiglio

tegno (→ T 9.3) «S‟eo mostro fiamma del mal sì m‟à preso, / non sia ripreso, ch‟altro esser non pò» (e si noti

nel sonetto la rima con scampo, simile alla nostra). Per chente con il significato di come cfr. la voce relativa nel TLIO, § 2.. quanto alla rima imperfetta, sarà da comparare con le serie se ʼn pò [ms. sempo] : campo :

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: scampo (Perfetto, amico, vostro consiglio tegno). Ai vv. 65-70, V e Ch recano la rima nibbio : affibbio che è lezione apparentemente da rifiutare, poiché risulta fin troppo evidente che il soggetto del verbo è l‟amore (si confronti il passo parallelo di Bacciarone fornito nella nota al v. 70); la terza persona è però recuperabile interpretando il verbo come un passato remoto (dunque affibbiò): in questo modo risulterà altresì riacquistato un certo tono lapidario, come sigillo definitivo, prima dei congedi, dello scacco subito dall‟amante.

Nota metrica: Canzone di endecasillabi di cinque stanze singulars con schema ABBC, ADDC; EFFGGE (REMCI 14.136, p. 204), concluse da due congedi che riprendono la struttura della sirma. I vv. 55 (5+7) e 78 (5+7) sono eccedenti in cesura. La connessione in capfinidas tra le stanze è assente, fatta eccezione per l‟ultima stanza e il primo congedo (lega - leghi) e per i due congedi tra loro (movesse - movi), su cui si veda sopra la discussione testuale. Le rime sono per la maggior parte difficili. Rima ricca ai vv. 2 dolore : 3

colore, 6 ritrarne : 7 dimostrarne; rime inclusive ai vv. 44 sovra : 45 ovra, 48 abbo : 49 torrabbo, 57 campo

: 61 iscampo; rime derivative ai vv. 30 apposto : 31 riposto, 62 scolmo : 63 colmo; rima equivoca ai vv. 43

sono : 47 sòno. Rima guittoniana ai vv. 51 omo : 56 consumo. Infine segnalo due rime imperfette (su cui

rimando alla discussione sopra) ai vv. 9 corpo : 14 esser pò e 65 nibbio : 70 affibbia. Vi sono poi nel testo varie assonanze fra rime diverse come ai vv. 15-18-19-22 (nasce-cape-pasce-vape), 32-36-37-42 (guasto-

basto-passo-lasso, i primi due anche in consonanza e parziale assonanza con i vv. 30-31, riposto-aposto), 43-

47-51-52-53-56 (sono-sòno-omo-condotto-motto-consumo), 78-79-80-81 (torto-porto-fondo-pondo). Si danno infine numerose allitterazioni, sia in punta sia nel corpo del verso, delle quali la più notevole è situata nella quinta stanza, dove ha effetti quasi fonosimbolici poiché anticipa e accompagna, nell‟alternanza di occlusive bilabiali sorde e sonore, l‟immagine del traboccamento e poi del rombo. Questa la trafila: campo-

pote-tomba-iscampo-rimbomba-nibbio-troppo-rintoppo-affibbia.

Ahi doloroso lasso, più non posso

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