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può dolze ed amaro làˆov‟e‟ difice.

20. scrivio 67. anome 95. divene 108. sì] così 123. Ohi] oime 142. giamai 161. puto 179. giamai 190. chassai 194. sconco 199. ciariscie.

Non finisco ancora di parlare, perché la ruota della Fortuna mi ha costretto a non essere mai separato dal precario stato e dalla pericolosa condizione: ha allentato la correggia di ogni tempesta [dunque: ha sfrenato ogni tempesta] (Forcellini e Blaise). Mi si potrebbe dire: «Folle, perché cerchi di perseguire ciò di cui non puoi essere appagato, né ciò per cui puoi essere dimentico del tuo stato». Rispondo: perché sono desideroso di dire ciò, in modo tale che la mia volontà si sfoga per un po‟: come il bambino quando è contrariato e piange e, in apparenza, sembra che il lagnarsi gli giovi; o [come] un uomo affetto da grave malattia trovi che il parlarne fa in modo che egli ne sia appagato, e tuttavia ciò non lo guarisce ma se non alto gli dà l‟impressione che la malattia si affievolisca: e dunque se parlo, non parlo contro altre persone. Ma d‟altra parte chi può essere contrario a ciò che in versi elaboro e scrivo?Perché adesso arrivo al vero giudizio/opinione a proposito di quello che rende l‟uomo superiore, misero e privo di ogni virtù e valore che contano sulla terra, di certo non per smetterla né per essere stanco di compiere un tale ragionamento.

1. simile nel Detto d‟amore il v. 459 «Mi‟ detto ancor non fino», ma quello del discorso che non termina è comunque un topos di tutti gli incipit delle tre canzoni economiche.

2. rota di Fortuna: qui la simbologia è esplicitata attraverso l‟uso del sintagma completo; anche qui viene esclusa alla ruota facoltà di girare come in Più sofferir (→ canz. VI) per mutare repentinamente la condizione dell‟individuo che, come in questo caso, rimane relegato in basso; cfr. al contrario Bonagiunta, Movo di basso e vogl[i]‟ alto montare, v. 9 «In cima della rota so‟ allogato».

3. basso stato: sintagma utilizzato anche da Brunetto, all‟interno di una riflessione sul denaro, cfr.

Tesoretto, vv. 1699-1702 «[...] se per tu‟ conforto, / il su‟ disperde a torto / e torna in basso stato, / tu ne

sarai blasmato». ■ periglioso: gallicismo (< pr. perilh).

5. soga: poi in Dante, Inf. XXXI, vv. 73-74 «Cércati al collo, e troverai la soga / che ʼl tien legato».

Allargat‟à la soga in Minetti vale «ha scialato in tempestarmi», seguito dal GDLI («aumentare la

misura»), entrambi sulla base di Blaise, Lexicon, s.v. Soga «mesure agraire», ma senza fornire esempj. Tutto sommato è possibile rimanere sul significato più diffuso che è quello di corda (attivo tuttora nello spagnolo), ‒ vd. Forcellini, Lexicon, s.v lorum, «Lorum est corrigia ex corio in usum colligandi aliquid et continendi, ἱμάς (It. striscia di cuojo, soga, stringa, coreggia» ‒ interpretando il verso in senso metaforico: la sorte ha sbrigliato, ha liberato, ogni tempesta. Come del resto nel TLIO, sv. allargare, § 2.

8. smago: participio forte di „smagare‟, qui con il significato di „dimentico‟.

10. l‟eccedenza in cesura può essere eliminata tramite soppressione de pronome riflessivo, prima del verbo. Cfr., con ripresa del medesimo avverbio, Noffo Bonaguide, In uno gioioso stato mi ritrovo, v. 3 «s‟ïo no sfogo alquanto, in mio parlare», ma il concetto è pure espresso in Dante, Li occhi dolenti per

pietà del core, vv. 4 e 6 «Ora, s‟i‟ voglio sfogar lo dolore, / [...] / convenemi parlar traendo guai». In

generale è tanto il dolore da sfogare che ci si oppone alle raccomandazioni in ambito etico circa la necessità di mantenere a freno la propria lingua, cfr. Tresor, II, 62, 3 «Aprés garde que tu ne soies corranz par disirrier de parler, en tel maniere que ta volenté ne consent a raison».

11-13. che il pianto pianto del bambino abbia funzione palliativa è giustificato dalla credenza medica del tempo secondo cui il pianto aveva la funzione di sfogare appunto gli umori in eccesso (vd. anche

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supra mia volontà si sfoga), cfr. per es. Guglielmo da Saliceto, Summa conservationis et curationis (su cui Tonelli), cap. XL «Causa lachrymarum [...] quandoque est repletio vel multiplicatio humoris acuti seu falsi». Nella lirica del ʼ200 il bambino è presente come paradigma di ingenuità, cfr. la nota al v. 1 di Chiaro, Come

ʼl fantin ca ne lo speglio mira (→ T 3.2).

13. secondo vista: in Minetti «secondo vist‟à».

14-17. simile paragone, incentrato sull‟illusoria guarigione degli effetti della malattia attraverso lo sfogo, in Stefano Protonotaro, Assai cretti celare, vv. 37-42 «E piango per usaggio, / come fa lo malato / che si sente agravato / e dotta in suo coraggio, / che per lamento li par spesse fiate / li passi parte di ria volontate».

18. in sottotesto „mi si lasci parlare, visto che non faccio male a nessuno‟. ■ altrui non parlo incontra: per il significato della locuzione cfr. il sonetto anonimo [49.65] Lo ben fare e lo servire ème incontra, vv. 3-4 «[...] sì mi parla incontra / quella ch‟ò servita ad ogne punto.

20. in Minetti «Chi, be[n] n‟è!, contra / ciò c‟ora i[n] rima äconcio ë scrivo?» (con conseguente chiosa che però non tiene conto dell‟interrogativa «C‟è bensì chi contrasta quanto fò ora oggetto d‟affabulazione!»), ma complicare eccessivamente la lezione non pare necessario. Chi be·n‟è: possibile anche la lezione chi ben

è (o con Minetti presupponendo la caduta di un compendio di nasale chi be[n] n‟è). contr‟a: preferisco

dividere la stringa contra del ms. così, come per es. in Se convien Carlo suo tesoro egli apra (→ Tp 2.3), v. 7 «Contr‟a leon chent‟à potenza capra?». Possibile anche chi bene contra, con presente del verbo, per cui vedi Tlio, s.v. contrare).

acconcio: qui tecnicismo retorico (cfr. TLIO, s.v. racconciare, § 2.1) corrispondente alla fase dell‟elaborazione che precede la scrittura, vd. Brunetto, Rettorica, 11, 77 «neente vale trovare, ordinare o aconciare le parole, se noi no·lle ritenemo nella memoria».

22. alto e basso: in connessione con l‟immagine della ruota della Fortuna del v. 2.

23-24. si veda, per misurarne la distanza, l‟utilizzo dei termini in Jacopone, O amor de povertate, vv. 83- 86, che vede in questa privazione i prodromi per una completa identificazione tra essere umano e Cristo «Da onne ben sì tt‟à spogliato / et de vertut‟espropriato; / teaurìzzat‟ el so mercato / en propia tua viltate». Più avanti si scoprirà che è la mancata nobiltà a rendere inattivi i beni materiali.

Imperatore, re, principe, duca, marchese e conte: ognuno [di questi] è un nome, come pure [è un nome] la

loro specificità. Secondo ragione razionale ognuno è uomo: ciò volle Dio quando creò Adamo. Vuole inoltre

che su misura d‟uomo si adegue il mondo e tutto ciò che esso possiede [tutto ciò che avviene nel mondo]. Ugualmente però si fa fatica ad ammettere che se esiste qualcuno con maggiore nobiltà è perché la ruota della Fortuna lo pone in cima. L‟uomo appartiene al genere umano e chi non farnetica può avere certezza su cos‟è che lo conduce nel mondo, ivi lo mantiene e lo rende degno, parlo del denaro: colui [invece], nel quale tesoro non alberga o colui che ne è sprovvisto non può aver alcun valore, né pervenire. Se la [mettiamo che la] condizione di uno è di grande nobiltà, con molti possessi mobili, e di grande potenza in tutto ciò in cui l‟onore è condizione preponderante: qualora ciò che materialmente possiede diminuisca, è ineluttabile che la sua dignità sia completamente annichilita: e dove può condurlo [una tale situazione], visto che mai non brilla? Anzi, lo spegne e lo porta al nulla: come accade al fuoco, qualora si fermi chi ci mette dentro la legna [lo alimenta con la legna].

27-28. Con la stanza successiva forma un dittico in cui Monte propone una propria visione politica di stampo popolare. Si noti intanto, con Steinberg 2007, p. 139, come venga messa in discussione in ordine decrescente l‟intero ordine gerarchico medievale, considerato una convenzione prodotta dai capricci della sorte (nemmeno la figura del papa si salverà da questa rappresentazione, vd. più avanti) : benché i fatti dimostrerebbero il contrario, tutti gli esseri umani condividono la stessa origine e sono fondamentalmente uguali. L‟intero ragionamento servirà a preparare quanto detto più avanti ai vv 65 e segg., ovvero che il valore del capitale posseduto non può essere influenzato dalla nobiltà di chi lo possiede. Elenchi con struttura

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simile sono riscontrabili in esempi giuridici, quasi che Monte voglia legittimare giuridicamente quello che sta per dire, per cui si veda per es. Decretum Gratiani, Causa XII, qu. 7, c. XVI «Si quis inperatorum, ducum, marchionum, comitum, uel quilibet secularium potestatum aut personarum inuestituram episcopatuum uel alicuius ecclesiasticæ dignitatis dare presumpserit [...]»;Decernimus etiam ut nullus

imperator, rex, dux, marchio, comes, vicecomes de his omnibus possessionibus quas superius diximus,

alicui mortalium aliquid donare vel in beneficium attribuere presumat neque alicui archiepiscopatui aut episcopatui id monasterium subiciat, sed semper solo iure et dominio sancte Romane Ecclesie pepertuo consistat», cito da Diplomata regum et imperatorum Germaniae, (Ottonis II et III diplomata).

29. como: „come‟, con metaplasmo di uscita per ragioni di rima. Indica la modalità con la quale viene a formarsi la proprietà insita a ciascuna delle cariche citate sopra.

30. razional ragione: non necessaria la correzione ‒ non segnalata in apparato ‒ di Minetti di razional (ms. razionale) in rasgional, forse per adeguare la forma al rasgional (accoppiato al sostantivo vertu) di

Ahi misero tapino, ora scoperchio, v. 26, che abbiamo proposto di leggere come errore, su proposta di Pär

Larson (vd. Nota relativa); il sintagma qui in oggetto ricorre d‟altronde anche, con variante fonica , in Chi

si move a ragion follia, non ver, sa, v. 6 «di razional razion che · lui aver sa».

31. e ciò volle il Fattor: cioè Dio, secondo la fortunata formulazione di Psalmos, 133, 3 «benedicat tibi Dominus ex Sion factor caeli et terrae». È messa in discussione la derivazione sacra del potere: Dio ha voluto in realtà che tutti gli uomini fossero uguali. ■ il primo: il primo uomo e cioè Adamo (riprendendo poi il concetto ai vv. 53). L‟argomentazione edenica, per cui tutti gli uomini sono uguali in quanto tutti discendenti di Adamo è tipica delle riflessione politica di stampo popolare, cfr. tra i tanti esempi possibili il distico del notaio Petrus de Pascalibus ( su cui cfr. Borsa 2007, pp. 149-150) vergato in un liber

accusationibus del 1289 del comune di Bologna «Si pater est nobis Adam, si mater et Eva, / cur non sunt

omnes nobilitate pares?».

32-33. il mondo è creato a misura d‟uomo: se ne conseguirà, più sotto, che tutti i beni del mondo dovrebbero essere accessibili a tutti. Simile espressione anche in contesto amoroso, per cui vd. Sì come i

marinar‟ guida la stella, v. 15 « [...] sol per voi mia vita si conduce».

34. il verso è inserito da Minetti tra parentesi, legandolo in parafrasi al v. precedente, ma funziona meglio se presentato come introduttore di quanto verrà detto dopo (se in effetti non si poteva mettere in discussione l‟impianto edenico, più difficilmente si sarebbe concesso che, dato che le differenziazioni non esistono, la maggiore o minore dignità è frutto dei capricci della sorte).

35. degnità: cioè „carica‟, con riferimento all‟elenco che apre la strofa. Non da Dio proviene una tale classificazione, ma semplicemente dalle manovre della sorte.

36. il concetto è ripetuto all‟inizio della prossima strofa.

38. vana: come verbo, anche in Dante, Purgatorio, XVIII, v. 87 «stava com‟om che sonnolento vana». 39. in tal regno: direi nel mondo, nel regno della generazione umana (meno probabilmente nel regno delle „degnità‟. Sono i beni materiali che legittimano l‟essere al mondo dell‟uomo.

42. caro: per il significato dato in questo caso alla aggettivo („misero, scarso‟), cfr. TLIO, s.v. caro (1), § 4.

43. è escluso dal principio qualsiasi margine di azione nel mondo per chi non ha denaro.

44-45. la perifrasi indica chi in base ai propri possessi ha ricevuto la dignità cavalleresca recentemente, per i possessi accumulati (si veda la nota successiva).

45. con molto nobile: cioè con una grande quantità di beni mobili, come meglio precisato in Giovanni Villani, Cronica, VIII, XVII, interessante anche perché si riferisce alle azioni di esproriamento da parte della parte guelfa fiorentina (cfr. in proposito Mazzoni 2000) «In questi tempi, cacciati i Ghibellini di Firenze, i Guelfi che vi tornarono, avendo tra·lloro questioni per gli beni de' Ghibellini ribelli, sì mandarono loro ambasciadori a corte a papa Urbano e al re Carlo, che gli dovesse ordinare. Il quale papa Urbano e il re Carlo per loro stato e pace gli ordinarono in questo modo, che de' beni fossono fatte tre parti: l'una fosse del Comune; l'altra fu diputata per amenda de' Guelfi ch'erano stati disfatti e rubelli;

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l'altra fu diputata a la parte guelfa certo tempo; ma poi tutti i detti beni rimasono a la parte, onde ne cominciarono a·ffare mobile, e ogni dì il cresceano, per avere da dispendere quando bisognasse per la parte; parte; del quale mobile, udendolo il cardinale Attaviano degli Ubaldini, disse: “Dapoi che' Guelfi di Firenze

fanno mobile, già mai non vi tornano i Ghibellini”»

46. onor guida: cfr. in precedenza Tanto m‟abbonda (→ canz. VIII), v. 28, dove, a proposito di chi possiede denaro, si dice che «onor lo guida [...]».

47-48. è punto chiave della riflessione di Monte (e, come è stato detto, una tale visione poteva avere connessione con la realtà legislativa dell‟epoca, dal momento che a Firenze chi subiva bancarotta era perseguibile penalmente): l‟uomo non ha più diritti qualora perda la sua ricchezza.

48. riprende il verso utilizzato prima al v. 40 (il soggetto lì era il tesauro).

49. luce: l‟immaginario della luce applicato al denaro era già in Tanto m‟abbonda, v. 55 dove il denaro è definito vera luce, qui opposto allo spegnimento del v. successivo, al quale è condannato chi ha perso il proprio capitale.

Gli esseri umani sono discesi da Adamo: i grandi, i medi, gli infimi. La sorte li ha diversificati, sorte che fa in modo che alcuni siano chiamati nobili e abbiano dignità che rende evidente ciò. Dirò perché siamo in questa condizione: tutte le cose dotate di virtù al mondo sono uguali e sebbene possano essere appetibili della nostra genie umana, sono e sono state diversificate: su questo punto dunque non do importanza a chi ha posseduto beni per antica discendenza. Dico però che le ricchezze hanno attualmente rinomanza, secondo la quantità di nobiltà [di chi le possiede]: e certo il perché si vede tutto con la pratica dell‟esperienza. Chi acquista ricchezza di fresco infatti, se la sua provenienza è di vile pochezza, non à visibilità tale che egli sia effettivamente nobile per questa ricchezza: è considerato più degno di stima un nobile povero. Colui ch la povertà condanna infatti si procura troppo tardi un rifugio, su questo non c‟è da opporsi, perché l‟avere rende nel mondo l‟uomo sovrano.

53. Adamo: già richiamato implicitamente al v. 31.

54. la divisione tripartita della società (grandi, mezzani e vili), considerata da Monte convenzionale perché prodotta dalla sorte, come già detto ai vv. 35-36, deriva da Aristotele, per cui vd. Politica, 1295a «in omnibus itaque civitatibus sunt tres partes civitatis, hii quidem opulenti valde, hii autem egeni valde, hii autem tertii qui medii horum», ripresa poi da San Tommaso per applicarla alle gerarchie angeliche, cfr. San Tommaso, Summa theologica, I, qu. 108, 2 « Unde et in civitatibus triplex ordo hominum invenitur, quidam enim sunt supremi, ut optimates; quidam autem sunt infimi,ut vilis populus; quidam autem sunt medii, ut populus honorabilis. Sic igitur et in qualibet hierarchia angelica ordines distinguuntur secundum diversos actus et officia; et omnis ista diversitas ad tria reducitur, scilicet ad summum, medium et infimum ». La tripartizione è ripresa da Dino Compagni, Cronica, I, 118 «Divisesi di nuovo la città, negli uomini grandi, mezzani e piccolini», con riferimento di massima alla cosiddetta tripartizione della società fiorentina tardo duecentesca in magnati, popolani e popolo grasso (se ne veda l‟ampia nota in Cappi 2013, p. 192), come prova la ripresa in una consulta fiorentina del 1284 «magnates, mediocres, minores». Per la poesia cfr. Chiaro Davanzati, Ahi dolze e gaia terra fiorentina, vv. 65-66 «Li pic[c]iol‟, li mezzani e li mag[g]iori / hanno altro in cor che non mostran di fora».

56. ovvero, hanno dignità che giustifica l‟etichetta di „gentili‟.

58-61. è la prospettiva del diritto naturale, per cui tutti gli uomini devono poter avere accesso ai beni del mondo, in parte coincidente nel Medioevo con il diritto divino (qui presente in precedenza ai vv. 32-33), cfr. per esempio Isidoro da Siviglia, Etymologie, V, IV, 1 «Ius naturale [est] commune omnium nationum, et quod ubique instinctu naturae, non constitutione aliqua habetur; ut [...] communis omnium possessio, et omnium una libertas, adquisitio eorum quae caelo, terra, marique capiuntur»; come verrà detto tra poco

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questo è smentito dalla consuetudine secondo cui le ricchezze e i beni terreni, divisi per grado di accessibilità, hanno valore in base al quanto di gentilezza.

59. equali cose: tutto sommato non necessaria la distinctio di Minetti «equa‟ li cose» («forse per „macchia‟ siculaneggiante» a detta dell‟editore).

61. la frase è concessiva. ■ graziose: qui „gradite, appetibili‟.

62. umana generazion nostra: riprende il sintagma in apertura di strofa, ma aggiungendo l‟aggettivo possessivo con risalto della partecipazione di chi scrive alle cose che sono dette.

63. in grado in grado: più diffusa la variante di grado in grado, ma la correzione è esclusa perché renderebbe il verso ipermetro.

65. prossedutoˆà bene per antico: con aderenza al dettato aristotelico secondo cui parte della nobiltà dell‟uomo è costituita dalla antichità famigliare dei propri possedimenti, cfr. Aristotele, Politica, IV, cap. 8, 1294a 21 «Est enim nobilitas virtus et divitie antique» e Politica, lib. V, cap. 1, 1301b 3-4 «Nobiles enim esse videntur quibus existunt progenitorum virtus et divicie», poi ripreso anche da Dante, Le dolci

rime d‟amor ch‟i solia, vv. 21-24 «Tale imperò che gentilezza volse, / secondo ʼl suo parere, / che fosse

antica possession d‟avere / con reggimenti belli». C‟è poi un riflesso con la produzion giuridica: a Bologna, per esempio, tale caratteristica era considerata una discriminante nell‟individuazione dei magnati (Tabacco, p. 42 e Pispisa 458). Se le premesse sono quelle viste nei versi precedenti, per Monte possedere i beni per antico non ha nessun valore dirimente (peccato che, come verrà detto subito dopo, la tendenza della società, è esattamente contraria.

67. si misuri la distanza – ed è uno dei punti chiave della poetica economica montiana – rispetto all‟opinione vulgata secondo cui è la quantità di beni materiali posseduti a infondere la nobiltà, confrontando il passo di Monte con la doppia citazione di Albertano che cito dal volgarizzamento del

Trattato della dilezione, XXX, 9 «”Le riccheççe fanno gloriosi coloro ke sono sança gentileçça, [e la

povertade prieme et abassa le case alte e gentili”. Et Oratio disse: «Et gentileçça et belleçça dae la reina pecunia»: Monte rovescia completamente il paradigma. Quanto all‟eccedenza in cesura, essa può essere ridotta applicando anasinalefe con il verso successivo.

69. non pare necessaria l‟integrazione di Minetti «se vede tuto [dì] per isperienza», se si interpreta

tutto come aggettivo riferito a come (da scioglere „il come si vede per intero attraverso l‟esperienza‟),

applicando dieresi in isperienza.

70. tesoro chi di nuovo acquista: la perifrasi si oppone a quella del v. 65 «chi prossedutoˆà bene per antico».

72. se sua nazion: il manoscritto ha se di sua nazione, ma il di può essere considerato errore di anticipo del successivo che è nello stesso verso. Il termine è usato in questa accezione anche in ambito giuridico, per cui cfr. Statuti di Bologna, I, p. 472 «statuimus jnviolabiter observari quod nemo excusetura vel fit jnmunis a publicis factionibus sive honeribus comunis bon. et terre in qua abitat occasione nobilitatis de qua habent sententiam sive jnstrumentum nisi fuerit nobilis nacione ex patre nobili». ■ vil

bassezza: anche in Guittone, in contesto religioso, Ahi, quant‟ho che vergogni e che doglia aggio, vv. 43-

44 «per voi, tradolze e beata Maria, / non guardando mia grande e vil bassezza».

73. in sostanza Monte auspica ciò che gli altri invece deprecano: che finalmente la ricchezza possa, per tutti, fondare la nobiltà personale; cfr. in opposizione il volgarizzamento di Egidio Romano, Del

reggimento de‟ principi, I, IV, 5 «l‟uomo non è né gentile né nobile per ricchezza né per beni temporali

ch‟elli abbia, ma quelli è nobile e gentile, il quale è stato e nato d‟antico lignaggio, il quale è suto buono e onorevole, e che d‟esso sono istati uomini di gran bontà».

74. gentil e povro: bella la parafrasi di Minetti «morto di fame blasonato», che rende perfettamente l‟idea. ■ povro: per la forma il corpus Ovi restituisce quasi tutti esempi settentrionali; è più vicina agli analoghi galloromanzi (< pr. paubre, ant. fr. pauvre/povre), come del resto la parola del verso successivo con cui rima ricovro (< ant. fr. recouvre/recovre).

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75. ricovro: in associazione con la povertà nella produzione patristica, cfr. per esermpio Psalmos, 9, 10 (versione iuxta LXX, con ampia fortuna in ambito patristico) «et factus est Dominus refugium pauperi adiutor in oportunitatibus in tribulatione».

78. fa l‟omo sovro: cfr. in precedenza Più sofferir non posso (→ canz. VI) v. 136 «ch‟oro ed argento è de l‟omo corona».

Vi sono molte e diversificate discipline, ingegni e pratiche [insomma discipline speculative e pratiche], che costituiscono il sistema educativo; e [queste discipline] con molto e nobile arbitrio, possono essere,

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