• Non ci sono risultati.

Tanto m’abbonda matera di soperchio.

Edizioni: Minetti 1979, pp. 87-94; CLPIO, pp. 156-157 (L), pp. 444-445 (V)

Manoscritti: V 287, cc. 91r– 92r, rubrica: mō; L 84, cc- 86r-87r, rubrica: monte andrea; M,c. 6r, dal v. 109 in poi.

Bibliografia: Berisso 2016.

Assieme alla canzone successiva, Tanto m‟abbonda inserisce nel discorso economico una più serrata argomentazione, abbandonando quasi del tutto l‟elemento di rappresentazione autobiografica (che verrà invece recuperato nell‟ultima canzone del gruppo Ahimé lasso) e rivendicando sul final il proprio realismo della rappresentazione: non è escluso – come è stato proposto in Berisso 2016 – che tale strategia sia stata operata per rispondere alle obiezioni ricevute da Chiaro in A San Giovanni e da Guittone nella lettera II. Lo stile, d‟altra parte, è ancora quello di chi voglia aprire o inserirsi in un dibattito. Il discorso, come emergerà nelle note di commento, viene inoltre sviluppato partendo dal lessico della poesia d‟amore cortese e della letteratura religiosa, quasi a riadattarlo alla nuova materia (il rilievo è già in SANTINI 2005, p. 375), della quale Monte rivendica l‟assoluta aderenza alla realtà che lo circonda (ciò verrà esplicitamente detto ai vv. 142-146: parafrasando: „non correggete la mia canzone generale del mio tempo‟).

L‟esistenza dell‟archetipo non è provata da Minetti né, d‟altra parte, è facilmente dimostrabile, data l‟assenza errori comuni di rilievo. Sembra di poter individuare un errore risalente al comune antigrafo al v. 80, dove entrambi i manoscritti leggono Quest‟è sentenza da non poter contesa. Il verso in questo modo, se non lo si legge come endecasillabo eccedente in cesura, risulta ipermetro (Minetti esce dall‟impasse leggendo il non come negazione asillabica). Ma il problema investe piuttosto la forma: infatti in questo caso

contesa sembrerebbe un tecnicismo e, a norma degli esempi proposti nella nota relativa, richiederebbe il

verbo fare. Si potrebbe pensare a un fraintendimento di natura paleografica: il copista deve avere scambiato lo svolazzo superiore della f per un‟abbreviazione e la parte inferiore della lettera per una p: proporrei dunque di leggere Quest‟è sentenza da non far contesa, restituendo al verso sia un senso più soddisfacente, sia la misura endecasillabica. Sono possibili altri interventi congetturali sulle lezioni dei codici. Al v. 68 il poeta si chiede a che servono le qualità cortesi se uno non è ricco: V che [...]gli vale e poi ricore illui non

chape, L che [...] li vale e ppoi riccore in lui non cape. Come si vede, manca però la congiunzione ipotetica,

a causa della caduta in entrambi i testimoni del grafema s che dovrà essere reintegrato. Dunque: che [...] gli

val, [s]e poi ricor i·lui non cape?Confortano questa proposta i vv. 100-102 di Più soferir non posso ch‟io

non dico: « Sia ʼn omo cortesia e larghezza, / tutta bontà, senno e gentilezza: / dico ch‟è spenta, s‟egli è

d‟aver netto».

Al v. 102 mi sembra necessario sostituire il non dei codici con un ne per ragioni di significato: nel verso infatti si afferma che chi perde le guerre combattute per denaro, dato che ne uscirà povero, deve rattristarsi. Tuttavia la lezione dei manoscritti (L: chi n‟è perdente più non può esser tristo) contraddice il senso di quello che è stato detto e che si dirà nel verso successivo („chi vince queste guerre ha onore e pregio‟).. Correzioni per ragioni metriche ai vv. 119, dove è necessario, per ragioni metriche, troncare la consonante finale di com di V (in L con), 122, nel quale forse a causa della massiccia ricorrenza di occlusive velari

128

sorde, si è fissato all‟inizio del verso un che che espungo, 137 dove è necessario correggere disaventura in

ventura (il senso, d‟altra parte, non ne esce compromesso).

Macroscopico errore separativo al v. 82, mancante in L e perfettamente conservato da V: il copista di L segnala la lacuna della propria fonte lasciando uno spazio bianco in corrispondenza del verso mancante (la lacuna non è segnalata da Minetti in apparato). Tale lacuna fa, in qualche modo, saltare l‟impaginazione del manoscritto: il manoscritto pisano infatti presenta, per ogni strofa, blocchi di scrittura rettangolari che occupano l‟intera lunghezza della colonna, terminanti con un segmento di scrittura più breve che copre circa la metà della riga. In questo caso, la strofa che segue quella interessata dalla lacuna comincia con un segmento breve, come se il copista fosse convinto di copiare la fine della strofa precedente.

Si segue complessivamente la lezione di V, più soddisfacente rispetto a quella di L, che in diverse occasioni sbaglia compromettendo il senso del testo. Questi i più significativi: v. 26 quanti ne sia(n) voler pur ched ei

cheda (vs. V quanti ne sa volere pur che cheda) causato probabilmente da dittografia, v. 44 di tal solo pagarsi (vs. V di tali fiore pagarsi), v. 46 ma sotto posti son ammassar‟oro (vs. V. ma sotto posti sono ch‟ammassaro oro), v. 49 che solo del tezoro non à(n) legge [in rima con fugge] (vs. V. che solo del tesauro n‟ànno l‟ugie), v. 53 chi bontà à ʼn altro grado (vs. V chi bontà à ʼn alto grado), v. 91 Può esser povertade dei suoi dardi (vs. V Kui fere povertade de‟ suoi dardi), v. 94 di vertudiosi beni ove s‟apaghi (vs. V di vertudiosi beni onde s‟apaghi) v. 147.

Registro per ultima la lezione errata di L al v. 112 che è invece promossa a testo da Minetti: cui povertate

dire bene ingombra (da intendere: «chiamarle povertà, rappresenta un‟autentica ostruzione della

conoscenza», così Minetti). In realtà l‟impressione è che sia molto più corretta la lezione di V, chui povertate

di sé bene ingombra, mentre è fin troppo evidente che la lezione di L derivi da un fraintendimento

paleografico diffuso (r per s). Con il verso successivo, il senso sarebbe: „chi viene contagiato dalla presenza ingombrante della povertà è del tutto spento e consumato‟ (da cfr. con i vv. 13-14 di Ai doloroso lasso, più

non posso: « [Amore] àmi dato vesta / di sé [...]»). Mi discosto da Minetti anche al v. 65, dove preferisco la

lezione di V che senno che liberttà che gentile contro che beltà che libertà che gentile: più idoneo in un elenco di qualità ‒ mi pare ‒ piuttosto che la beltà (viceversa i passi riportati da Minetti per avallare la messa a testo di beltà confermano, a nostro parere, la correttezza della nostra ipotesi, dato che in essi si afferma appunto che la bellezza non è qualità necessaria).

Questi invece i casi nei quali è stato necessario discostarsi dalla lezione di V: v. 12 aven (L conven), v. 15

non voglio né chegio né dimando perdono (vs. L non voi né cheo né domando perdono), v. 100 nel mondo guerra e lite e briga (vs. L indelo mondo guerra lite e briga), entrambi per motivi metrici, v. 102 ch‟e‟ n‟è perdente (vs. L chi n‟è perdente), lezione che fa saltare il parallelo con il verso successivo (ch‟il prosiede [il

tesoro]), v. 111 sono da gradire (vs. il difficilior di L sono grandire). Infine ai vv. 144-145 preferisco la lezione di L, con i verbi dell‟ipotetica al singolare, ponga e poria, (vs. V pongaro, poriano), perché si accorda meglio con il v. 143 (Ora s‟alcun mia canzon coriegge...ponga però...che, se ciò fosse, poria ʼl mio

detto isfarlo).

Nota metrica. Canzone (piedi e volte) di endecasillabi di sette stanze singulars, con schema ABBCADDC EEFFGHHIIG (REMCI 18.060, p. 278); chiudono la canzone due congedi che replicano entrambi la sirma delle stanze, più un altro congedo con schema ZXXYYZ. Connessione capfinida tra le stanze I e II (dirò-

dico), debole tra le stanze IV e V (tutta - tutti). Rima tronca: ai vv. 27 misertà : 28 libertà). Rime ricche ai

vv. 1 coperchio : 5 soperchio, 99 intriga : 100 briga. Rime inclusive ai vv. 9 verso : 10 diverso, 34 ricopre : 35 opre, 45 loro : 46 oro, 49 ugge : 54 fuggie, 50 seguagi : 51 agi, 78 lievo : 79 rilievo, 83 indarno : 84

Arno, 86 soccorso : 87 corso, 112 ombra : 116 ingombra, 123 ʼnforma : 125 l‟orma, 127 magro : 128 agro,

129 raspo : 130 aspo, 132 alto : 133 salto, 134 lascia : 135 islascia, 139 tegno : 140 ritegno, 141 prima :146

rima. Rime per l‟occhio ai vv. 74 colpo : 75 no·ʼl pò, 114 valor pò : 115 corpo. Rima equivoca ai vv. 110 nomo : 111 nomo. Sono presenti numerose allitterazioni: la più suggestiva, perché sembra accompagnare

129

fonicamente l‟immagine del colpo mortale, ai vv. 74-75-76-77: colpo ‒ no· ʼl pò – apalesa ‒ acalappia. Eccedenze in cesura ai vv. 1 (5+7), 7 (5+7), 10 (5+7), 24 (5+7), 145 (5+7), 146 (5+7).

Tanto m‟abbonda matera di soperchio,

1

Outline

Documenti correlati