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canz V Ahi misero tapino, ora scoperchio.

Manoscritti: V 283, c. 89r, rubrica: mō rispuose; L 81, cc. 84v-85r, rubrica: mōte andrea;

Edizioni: Valeriani, II, pp. 28-31; Villarosa, I, 460-462; D‟Ancona Comparetti, III, 250-254; PD, I, 456-459; Minetti, pp. 62-67; CLPIO, p. 154 (L), p. 441 (V); Sangiovanni, pp. 101-105.

Con questa canzone Monte risponde ad Amoroso voler m‟ave commosso di Tommaso da Faenza, riconfermando sostanzialmente le proprie posizioni. Tuttavia, quello che si è detto all‟inizio della premessa di Tanto m‟abbonda, circa il progressivo scemare dell‟elemento lirico, è qui portato a compimento: il poeta scompare come personaggio e vittima dell‟amore, prestando esclusivamente la propria voce ai pensieri. Si aggiunga che pochissime, quasi nulle, sono nel testo le immagini poetiche, mentre cresce la componente speculativa: anche in ciò, d‟altra parte, è possibile misurare la differenza che intercorre tra i poeti siciliani e quelli toscani, che dai predecessori ereditano il tema amoroso, sottoponendolo però al vaglio dell‟indagine morale e religiosa, come accade nei testi del Guittone convertito (e non per niente la poesia che sarà più citata, per riscontri testuali, nelle nostre note è proprio una canzone dell‟aretino O tu, de nome Amor guerra

di fatto).

Fondata su due verbi che ne denunciano la volontà di ricreare mimeticamente un discorso orale (dirò al v. 5 e odi al v. 19), Ahi misero tapino fa prevalere, su tutto, l‟intento didascalico di dimostrare la negatività dell‟amore. Il contenuto è inserito da Monte in una struttura ordinata rigorosamente: nella prima stanza il poeta dichiara il tema della discussione e le auctoritates che costituiscono le pezze d‟appoggio teoriche su cui baserà le proprie affermazioni (sintetizzate dai termini Dio e ragione); segue poi lo svolgimento dell‟argomento, che viene diviso in maniera tripartita, come si usava fare nei trattati in prosa o nei discorsi. Prima dell‟ammonimento finale, rivolto a un più ampio nucleo di persone (con passaggio del verbo alla seconda persona plurale), il poeta si rivolge addirittura un‟obiezione (parafrasando: „poniamo che quello che ho detto non è vero‟), per anticipare i dubbi degli interlocutori (si noti però, per tornare un momento all‟abbandono progressivo dell‟elemento letterario, come questo tipo di obiezione sia ben diverso da quello posto in Ahi doloroso lasso più non posso, dove il poeta inseriva nel testo la voce degli interlocutori con un‟interrogativa indiretta, rimanendo quindi sul piano della fictio).

Quanto all‟elemento epistolare del testo, occorrerà notare come venga attenuato dal poeta che non si riferisce mai direttamente all‟interlocutore reale, salvo quei pochi casi in cui, però, sembra rivolgersi a un tu generico. Questo dato trova una precisa conferma nelle testimonianze manoscritte: se, infatti V presenta il testo con la rubrica mō rispuose, al contrario L non solo indica nella rubrica unicamente il nome dell‟autore, ma copia la canzone prima delle altre che, nella realtà, la precedono.

Dal punto di vista ecdotico, questo uno dei casi più pacifici del corpus di Monteper la presenza al v. 5 di un errore d‟archetipo certo, già individuato e corretto nei PD. L‟archetipo, in questo caso, ha anticipato la preposizione per con la quale comincia il verso successivo (perdritta-perdifension, e si noti che le parole iniziano con lo stesso grafema), rendendo il verso ipermetro.

Vi sono altri casi dubbi. Al v. 33, ancora sulla scorta dei PD, è necessario agire congetturalmente poiché entrambi i testimoni sono assai corrotti. V riporta la lezione fedele de pio / mortali nemici, rendendo però il verso successivo ipometro; la lezione di L (fedele sepio / mortali nemici) è invece priva di senso. Si accetta

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dunque la correzione discipio, ma ritoccata nella forma, come propone Minetti, in discepio, con rima siciliana, per essere più aderenti alle lezioni dei manoscritti. Un altro luogo sotto esame, nel quale ci si discosta dagli editori precedenti, è il v. 41 (ma l‟analisi coinvolge anche il verso precedente) dove sostanzialmente sia Contini sia Minetti mettono a testo la lezione di L: com‟è vita morte / a chi condott‟è a sì

greve sorte. La lezione di V sembra invece da rifiutare perché impone un aggiustamento di rima improbabile

(cito in edizione interpretativa: come à vita morta / chi è condotto a sì greve sorta): a me tuttavia il principio del verso di V, con pronome più verbo, sembra più corretto (in questo modo si ristabilirebbe una forte connessione, anche tematica, con il v. 38: chi è si preso-chi è condotto); rimane da integrare la preposizione

a davanti al pronome, probabilmente anticipata dal copista prima della parola vita oppure accorpata alla

parola morte. Propongo quindi di leggere così: com‟è vita morte / a chi è condotto a sì greve sorte.

Complessivamente si segue la lezione di V che appare migliore: si veda per esempio come in essa sia conservata la lectio difficilior ti spare, contro il banalizzante ti spiace di L. Al manoscritto fiorentino occorrerà però rinunciare in alcune occasioni. Al v. 2 è da respingere per motivi metrici la forma voglio (Minetti stampa il voi‟ di L, ma io preferisco recuperare la forma vo‟, presente nell‟indice, con il quale in copista di V apre la raccolta); al v. 24 è preferito per ragioni di significato il trappa di L al tarpa di V, forse causato da uno scioglimento errato dell‟abbreviazione; al v. 25, che da ogne rasgionale vertu fatti mendico, andrà espunta la prima parte del verso perché, oltre all‟evidente ipermetria, è anticipata dal primo emistichio del verso successivo, che Dio ti spare, cominciante peraltro con la medesima serie di grafemi (stampo inoltre

razional, accogliendo la proposta di Larson 2001, p. 83., che vede nella forma rasgionale, hapax nel corpus

di Monte e quasi assente in quello del TLIO, un errore di banalizzazione); al v. 39 (meno cura il disinore che

lo corbo), posta la necessità di troncare le parole a causa dell‟abitudine di V a rendere piane le parole

tronche, il che renderebbe però il verso ipometro, si preferisce la lezione di L (che non fa ʼl corbo), che preserva una tipologia di frase comparativa attestata nell‟italiano antico, cfr. Renzi-Salvi, 2010, pp. 181-182 e p. 1142: «Più mi nuoce tuo nome che non fa la tua prodezza» (l‟esempio, tratto dal Novellino, è a p. 1142 ed è più soddisfacente dal punto di vista metrico; infine al v. 55 preferisco la lezione di L, con congiunzione consecutiva che, perché nel verso successivo è chiaramente espressa la conseguenza di quanto si è detto prima („la donna non concede mai abbastanza di sé al punto che il cuore non smetta di desiderare‟).

Concludo con il caso più problematico per il quale abbandono la lezione di V: ai v. 68-68 il manoscritto fiorentino reca la lezione l‟arma non percuota in inferno quini gra‟ ve· là e nuota (da intendere, con Minetti: „qui comincia ad appesantirsi e nuota / va a fondo‟), che però è insolita, senza contare che si basa su una divisione di parole lambiccata. Dunque si ritorna alla lezione di L (qui n‟è grav‟ella e vòta), già preferita dai Poeti del Duecento, più aderente, come si vedrà nel commento, all‟immagine biblica dell‟anima vuota e alla consuetudine di Monte che, già altrove, utilizza immagini di svuotamento e spoliazione.

Nota metrica: Canzone di endecasillabi di cinque stanze singulars, con due congedi che ne riprendono la struttura della sirma con schema ABBCADDC EFFGGE (REMCI 14.136, p. 204). In questo caso è assente qualsiasi connessione in capfinidas tra le stanze. Rime ricche ai vv. 1 scoperchio : 5 soperchio, 9 niega : 14

piega. Rime inclusive ai vv. 20 agra : 21 magra, 32 scuopre : 36 opre, 34 abbia : 35 gabbia, 38 orbo : 39 corbo, 51 ombra : 52 ingombra, 54 ama : 55 brama, 60 comanda : 64 manda, 71 pro : assempro, 77-82 77 lodo : 82 odo. Rima equivoca ai vv. 24-25 (24 trappa : 25 trappa. Rima identica ai vv. 10 tempo : 11tempo.

Rime siciliane ai vv. 29 prencipio : 33 discepio, 48 cresce : 49 abbelisce. Presenti numerose allitterazioni tra le parole in rima (si veda per esempio nella prima stanza la ripetizione di occlusive bilabiali sorde o nella seconda di vibranti). Si segnala altresì la bella connessione, rafforzata dalla rima ai vv. 4-8, (gente manca-

gente in bataglia stanca). L‟ipermetria al v. 47 è riducibile, qualora non si voglia intervenire sul testo,

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e vo‟ cernir la fine, e ʼl mezzo, eʼl capo

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