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me date: col pronome in funzione di dativo, è una costruzione particolarmente cara a Monte ■

Non pecchin più di tal sentenza darla!

4. me date: col pronome in funzione di dativo, è una costruzione particolarmente cara a Monte ■

ciascun membro: sintagma usato frequentemente per sottolineare la totalità dell‟esperienza dolorosa: tra i

tanti Maestro Francesco, Madonna, il vostro amor d‟una feruta, v. 6: «che ciascun membro già doglia ne sente»; Chiaro, Lungiamente portai, v. 32: «in ciascun membro sento li sospiri»; Onesto, Ahi lasso

taupino!, altro che lasso, v. 3: «sento ʼl mio core e ciascun membro preso».

6. L‟arma e lo core è una coppia di sostantivi che derivano dalla fisica di Aristotele (riferendosi la prima all‟anima intellettiva, che a partire dalla rilettura aristotelica di Averroé ha il primato sulle altre, e la seconda a quella sensibile). I due termini sono già accomunati nella Bibbia, cfr. per es. Deuteronomio, 6, 5: «Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo et ex tota anima». Nella lirica amorosa ricorrono per sottolineare che la dominazione dell‟amore si estende interamente sul soggetto, non tralasciando alcuna sua parte (e spesso infatti nel gruppo è presente anche il sostantivo corpo, cfr. sull‟argomento Bruni 1988, pp. 97-98). D‟obbligo è il rimando a Guido Cavalcanti, Donna me prega, v. 20: «[Amore è] d‟alma costume – e di cor volontate»; cfr. Monte, Quant‟à, nel mondo, figure di carne (→ T. 5.8), vv. 12-

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14, che sicuramente richiamano la nostra canzone (li si confronti anche con i versi qui immediatamente successivi): «cor, corpo, arma [co] ciascuno membro: / solo un punto di me fuor non n‟è casso! / E già non sono quello ch‟i‟ rasembro»; nonché Bacciarone di messer Bacone, Nova m‟è volontà nel cor creata, v. 2, che condivide con Monte lo stesso verbo: «la qual compresa l‟alma e ‟l corpo m‟have».

7. Tant‟è il soperchio: cfr. l‟attacco di Siribuono da Pistoia: «Del dolor tant‟è il soverchio fero / che

l‟alma e ‟l corpo e ‟l core mio sostene».

8. in mia canzon: si tratta del topos della necessità del canto. In questo caso il confronto più pertinente, poiché ricorre anche lo stesso verbo del verso precedente, è con Neri de‟ Visdomini, Lo mio gioioso core, vv. 3-4: «però mostrare in detto / mi convene ...».

9-10. L‟immagine dell‟amante che si trasforma in bestia, dopo aver perso tutti i tratti caratteristici dell‟essere umano, salve le fattezze fisiche, è già dei poeti provenzali (cfr. per es. Bernart de Ventadorn,

Estat ai, vv. 1-2 e 5: «Estat ai com om esperdutz / per amor un lonc estatge / ... / c‟a totz era de salvatge»).

Cfr. per l‟area italiana Paolo Lanfranchi, Ogni meo fatto per contrario faccio, vv. 7-9: «Credo che Dio insieme e la Natura / erano irati quando mi crearo, / e transformomi d‟ogni creatura»; cfr. anche Bacciarone di messer Bacone, Sì forte m‟ha costretto, vv. 41-43: « ... chi era amoroso / più di null‟altra di me criatura, / tanta bestial sommessemi smisura». È fra l‟altro un argomento molto caro a Panuccio del Bagno, per cui cfr.

Poi c‟ontra vogl[i]a, dir pena convene, vv. 75-76: «und‟e‟, di ragion om, fatto son fèra, / seguitando charrera

/ dal piager falso c‟ha in me pene messe», e Considerando la vera partensa, vv. 41-44: « ... solo figura / mantenea d‟omo, e non punto scïensa / e l‟alta caunoscenza de la ragion». L‟immagine verrà raccolta anche da Petrarca, Rvf, 135.1-4: «Qual più diversa et nova / cosa fu mai in qual che stranio clima / quella ... / più mi rasembra».

11. condotto a tale: cfr. Neri de‟ Visdomini, Crudele affanno e perta, vv. 13-14: «Ai Deo, crudel peccato! / perché a tal m‟à condotto».

12-13. Cfr. Monte a Paolo Zoppo, vv. 1-3: «Di svariato colore porto vesta! / Là dove sta, – comprende mio effetto. / Un sol punto di me, fuor, no ne sta»; cfr. anche la risposta di Paolo, vv. 1-3: «A me dispiace, amico, tale vesta, / là dove sta ‒ tuttor, e tal effetto. / Disvarïa colore ... ».

Dal momento che mi ha conquistato, io che ci guadagno? Dove regna l‟onore io sono bandito, se desidero qualche bene ottengo il contrario; se lo possiedo, la volontà non lo trattiene affatto. Se qualcuno volesse chiedere: «Di cosa ti nutre Amore?», rispondo: di dolori, di martiri, di pensieri angosciosi, di affanni e di sospiri. L‟umor nero mi tiene al fuoco tra ardenti vampe, l‟ira con mille lamenti mi tempesta, la pena non mi lascia nemmeno per un‟ora! Amore mi agghinda con tali gioie al punto che mi fa sembrare la vita morte, e forse anche peggio, tanto soffro terribilmente: mi fa credere che le mie sofferenze non avranno mai fine.

16. Che l‟amore minasse l‟onore, l‟autorità e la rispettabilità dell‟uomo era già stato espresso dal Cappellano in più luoghi del suo fortunato trattato, cfr. per es. De Amore, III, «Amor ... huius saeculi penitus subducit honores».

17. Cfr. l‟anonima La gran sovrabbondansa, vv. 47-48: « ... foi ‟n disparte / d‟ognunque ben, possedendo ‟l contraro» o Bacciarone, Nova volontà nel core m‟è creata, v. 38: « [amore] Poi tutto tolle bono e ‟l contrar porge».

19. Chi diciesse: si noti la percontatio (cfr. Lausberg 1995, § 433), ottenuta con l‟inserimento nel corpo del testo di una domanda attribuita agli ascoltatori/fruitori della poesia; in questo caso, ha la funzione di introdurre una pausa all‟interno del tracciato poetico, prima dell‟incalzante elenco dei sintomi dovuti alla malattia d‟amore.

20-24. Che nel Medioevo l‟amore fosse considerato una malattia si può capire sia dalle fonti letterarie (si pensi per esempio al primo commento della cavalcantiana Donna me prega, ad opera del medico Dino del Garbo, oppure alla risposta per le rime di Dante da Maiano al sonetto di Dante A ciascun‟alma presa e‟

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gentil core, nella quale il maianese raccomanda a Dante, in preda ai sogni d‟amore, abluzioni ai testicoli e

un‟analisi delle urine, sonetto definito da Enrico Fenzi come il «più rappresentativo delle teorie correnti „natura‟ d‟amore», vedi Fenzi 1999, p. 13), sia dai trattati di medicina dell‟epoca, nei quali venivano riservati ampi spazi alla descrizione dei sintomi della malattia d‟amore e delle sue possibili cure (cfr. Ciavolella 1974; Agamben 2011, pp. 5-35 e 73-155, nonché il recente Tonelli 2015).

20-21. dolori e martiri ricorrono anche in Carnino Ghiberti, Disïoso cantare, vv. 9-10: «I dolori e i martiri / sento per fina amanza», affanni e sospiri sono accoppiati con i martiri in Paganino da Serzana,

Contra lo meo volere, v. 10-11: «Dunqua, s‟aggio provato / li affanni e li martiri». Cfr. inoltre, con lo

stesso verbo, Petrarca, Rvf 130.5: «Pasco ‟l cor di sospir‟» (e, per ulteriori esempi, la nota relativa in Santagata 2004).

22-24. Benché solitamente la poesia del tempo stacchi sintatticamente la prima dalla seconda parte della strofe, ritengo si tratti di tre soggetti (maninconia, ira, pena) a cui corrispondono altrettante azioni (tenemi in foco, tempesta, non mi lascia), con accoppiamenti che si direbbero ossimorici per i primi due, data la teoria umorale del tempo, che associava il concetto di caldo/secco del foco all‟ira, e quello di freddo/secco, qui racchiusi nel verbo tempestare, alla maninconia (si noti pure la disposizione a chiasmo dei due soggetti e simmerica, all‟inizio dei versi, dei due verbi).

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