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là ˆove ·ʼ vendetta appar tanta dolcezza.

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Donna, si strugge per voi esclusivamente chi vi ama con devozione, visto che il vostro onore non riluce né splende. Badate alla conseguenza che può provenire dal vostro atteggiamento derisorio e dell‟errore che in voi è ben radicato, giacché la vostra potenzialita, in ogni aspetto, ha deformato la ragione: quale sarà il motivo di tanta crudeltà, affinché l‟atteggiamento orgoglioso vi porti in altezza?

1. per l‟incipit e l‟andamento anaforico si dovrà vedere l‟attacco di Giacomino Pugliese «Donna, di voi mi lamento, / bella, di voi mi richiamo».

2. fede pura: anche in Monte e in contesto amoroso, cfr. più avanti A la ʼmprimeramente ch‟io guardai, vv. 3-4 coralemente tutto mi donai / a vostra ubbidïenza in fede pura», con ovvio passaggio dalla prima alla terza persona, più consona a una rampogna.

3. no riluce né splende: una variante della coppia verbale in Chiaro, La gioia e l‟alegranza, vv. 10-12, da vedere anche per misurare il rovesciamento negativo operato qui da Monte «lo suo ric[c]o bellore, / che luce e dà splendore / più che ʼl sole di maggio».

5. schernire: come verbo e in contesto misogino anche in Pucciandone Martelli, v. 7 «che solo v‟ingegnate me schernire».

7. vostra potenza: si sopprime, con Minetti, l‟articolo che nel manoscritto precede il sintagma. Cfr. più avanti Né fu, néd è, né fia omo vivente (→ T 7.1), vv. 15-16 «vostra potenza ˇò sempre dottata /

e pur chiamata merzé con ubbidenza», e si veda pure, sempre per l‟assenza dell‟articolo, il v. 73 qui sotto. 9. disformat‟à: per il verbo cfr. TLIO, s.v. disformare, e cfr. sotto il v. 36.

Donna, meditate sul fatto che, in ogni caso, una posizione di altezza richiede un comportamento misurato allo stato assunto; sarebbe preferibile infatti, per chi difende una vita decorosa, il morire con sopportazione. La vostra capacità intellettiva si misuri con tale difficoltà: è cosa risaputa che il leone disposto ad ridimensionare la sua potenza e la sua fierezza, come reazione a un pronto atteggiamento umile.

13. altura: in rima a contatto con misura anche in Ser Pace, Amor m‟agença di tucto valore, vv. 11-12 «Amor fa sormontare in grande altura; / Amor fa l‟on parlante oltra misura».

14. causo: per la forma cfr. in precedenza Tanto m‟abbonda (→ canz. VIII), v. 125 e, più avanti, Eo

saccio ben che volontà di parte (→ Tp 5.7), v. 6. ■ misura: con lo stesso verbo nell‟attacco di Chiaro, utile a

semplificare quanto Monte dice qui «In ogni cosa vuol senno e misura», ma si veda pure Bonagiunta, [O]mo

ch‟è sag[g]io ne lo cominciare, v. 13 «Chi vol dirare dé misura avere»: nello specifico, chi si trova in una

condizione di elevatezza deve agire particolarmente secondo misura (cosa che non fa la donna alla quale ci si rivolge qui).

18. chi: „per chi‟.

19-20. i versi sono da intendersi in maniera ironica; diversamente, con il medesimo sintagma, cfr. Guittone, Magni baroni certo e regi quasi, vv. 139-140 «[...] Adonque mostri / vostra gran scienza in ben cerner da male».

19. scienza: nei PD con dieresi non necessaria dal momento che la sirma, fatta eccezione per il verso conclusivo, è occupata da settenari.

21-24. secondo la credenza che il leone è capace di provare pietà se ci si umilia davanti a lui, per cui cfr. Menichetti 1965, p. LIII, in commento a Chiaro Davanzati, La mia vita, poi [ch‟è] sanza conforto, vv. 41-44 «se lla manera e l‟uso ritenete / dello leone quand‟è più adirato, / che torna umilïato / a chi merzé li chiere [...]», e prima del Davanzati si veda anche Giacomo da Lentini, Donna, eo languisco e no so qua· speranza, vv. 33-36 «che lo lëone èste di tale usato / che quand‟è airato - più fellonamente, / per cosa ch‟omo face si ricrede / ʼ· segno di merzede»; ancor prima l‟immagine è recepita dai provenzali, cfr. Bertran de Born, Ar ve

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possibile fonte si veda Plinio, Historia naturalis, VIII, XIX «Leoni tantum ex feris clementia in supplices; prostratis parcit».

24. per umiliata prontezza: di chi appunto incappa nel leone.

Donna, si affatica invano colui che non è virtuoso: una semina del genere non può produrre alcun frutto; le cose conquistate con temerarietà possono venire meno velocemente dove riconquista vigore la vera ragione. Chi ha ingegno deve ben tenere presente il comportamento del pavone per il suo piccolo difetto, benché sia dotato di molta bellezza: solo così non si disprezzerà la propria grandezza.

25. invano labora: ma può anche essere separato in vano, come fa Minetti che cita, come tessera, cita Andrea Cappellano, De amore, I, 6, E «In vanum ergo laboras, quia mundus universus me non posset ab isto proposito revocare», ma si dovrà anche citare la fonte primaria dell‟espressione in Psalmos, 126, 1 «Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum la boraverunt qui aedificant eam». Per la lirica del ʼ200 si veda anche Chiaro Davanzati, Chi ʼmprima disse “amore”, v. 51 «Ca benpuò dir ch‟assai lavori invano».

26. non è dirittura: con rovesciamento di una delle qualità attribuite in poesia a madonna, cfr. Ciolo de la Barba, Compiutamente mess‟ò intenzïone, vv. 33-34 «dach‟io in voi veggio tanta diritura / di somma di savere».

27. variazione sulla metafora del seme cattivo, per cui vd. in precedenza Tanto m‟abbonda (→ canz. VIII) nota al v. 43. Sulla mancata fruttificazione cfr. Mattheaum, 7, 17 «omnis arbor quae non facit fructum bonum exciditur et in ignem mittitur».

28-29. con rimando da parte di Minetti a Terino da Castelfiorentino, Eo temo di laudare, vv. 40-42 «ché val meglio e più dura / per ragione aquistato, / che non fa per ventura guadagnato», ma si puòv vedere anche Jacopo da Leona, S‟i‟ lasciat‟ho, per far mia volontade, vv. 3-4 «fare uno acquisto non è gran bontade, / ma tèner l‟acquistato sol i senni».

31. provvedenza: riprende l‟analogo proveggia della stanza precedente, con cui condivide la medesima posizione all‟interno della strofa.

32. diritta intenza: con ripresa della dirittura del v. 26. Per il significato dato qui a intenza cfr. TLIO, s.v. intenza 2, § 2.1.

33-35. la donna prenda esempio dal pavone che, nonostante sia animale vanitoso e dallo splendido piumaggio, ha i piedi talmente brutti (la poca falligione del nostro passo) che se ne vergonga, cfr. Libro

della natura degli animali, XXIII «Lo paone si è uno bello uccello con grande coda [...] et ane in sé cotale

natura ch‟elli si driça questa bella coda sopra capo e fanne rota e ponsell‟a mente et ane grande vanagloria; et da che ane vanagloriato così, elli si mira li piedi che sono molto laidi, inmantenenti abassa la coda e torna a nyente veggiendo li piedi tanto sonno laidi» e ancora, per il significato morale e il tono gnomico, entrambi sottesi anche al passaggio montiano (cfr. per es. l‟equivalenza intenza/entenne),

Bestiario moralizzato, XLVI, vv. 1-4 e 7-8 «Come la vanagloria ne offenne / potemone vedere la certeça,

/ ke lo paone finemente entenne / quando lo lodi de la gran beleça / [...] /; s‟a remirare li piedi se renne, / tucta la gioia torna en tristeça»; l‟immagine è già nella dubbia lentiniana Lo badalisco a lo specchio

lucente, vv. 5-6 «lo paon turba istando più gaudente / quand‟ai suoi piedi fa riguardamento» (cfr. la nota

relativa in PSS, I, pp. 585-586, ove è citato l‟unico esempio provenzale di ripresa del motivo in Raimbaut de Vaqueiras, No puesc saber, vv. 34-39.

35. ch‟à tanta: con sfumatura concessiva „sebbene abbia tanta bellezza‟.

36. il soggetto è qui chi à provedenza. Il senso globale è che chi è consapevole di avere dei difetti comunque non compromette la propria grandezza. ■ disfermata terrà: riprende il verbo disformare del v. 9.

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Donna, nonostante la vostra natura, siete stata educata alla durezza, giacché non avete avuto alcuna opposizione; dico inoltre: chi ha intenzione di seguirvi priverà sé e voi dall‟onore e da tutto quello a cui aspira. Nessuno potrebbe difendersi dal dragone, ma avrebbe da perderne in tutto: se le teste di quest‟ultimo fossero unite negli intenti e caratterizzate da vera arditezza, egli sarebbe fortissimo.

37-39. intenderei qui, pur nella difficoltà interpretativa già segnalata nei PD, che la donna è stata educata, contro la sua natura, alla durezza, in quanto non ha mai avuto reale opposizione.

38. trasnaturata: come verbo già in precedenza in Chiaro, A San Giovanni, a Monte (→ canz. VI/a), vv. 11-12 «e per sovrabbondanza trasnatura / senno e misura [...]».

39. si contende: nello stesso significato di opposizione in Tanto m‟abbonda (→ canz. IV), v. 68 e, più avanti, in L‟om porria prima cercar tutto il mondo (→ T 1.7), v. 10.

40. chi v‟à a seguire: con precisa corrispondenza a una formulazione tipica della poesia d‟amore, cfr. il discorso anonimo De la primavera, vv. 97-98 «Voglio a voi, donna, seguire, / a cui mi sono arenduto» e Chiaro, Chi non teme non pò essere amante, v. 8 «a voi seguir non cangio a ciò volere».

41. partire da onore: il verbo è speculare (e questo è rafforzato dalla rima a contatto) a seguire del verso precedente, quasi a isolare tassativamente le due scelte: o la donna o l‟onore.

43-48. più che dai bestiari, dove pure il drago è incluso, l‟immagine del dragone con più teste, delle quali si sottolinea la litigiosità è preso dall‟Apocalisse, 12, 3 «et visum est aliud signum in caelo et ecce draco magnus rufus habens capita septem et cornua decem et in capitibus suis septem diademata». L‟immagine qui tratta piuttosto implicitamente verrà spiegata meglio più avanti nel sonetto di Puccio Bellondi a Monte, che potrebbe averla ripresa – si badi però che la cronologia è tuttora incerta – come omaggio, cfr. Tener volete

del dragon manera (→ Tp 3.1), vv. 1-6 «Tener volete del dragon manera, / ch‟ à sette teste d‟una

simiglianza, / che tanto fôra traferoce fera / se l‟una a l‟altra portassero inorranza: / che, s‟ogne gente fosse in una schiera, / contro di lui no averebbon bastanza» (vedi le note relative).

43. avria: nei PD con dieresi per recuperare l‟ottonario. ■ difenza: la grafia è qui imposta dalla rima, come nelle altre occorrenze poetiche nel ʼ200 in Chiaro Davanzati e Maestro Francesco.

44. il verso è ricalcato quasi in maniera precisa dalla canzonetta anonima Cotanta dura pena, vv. 17-18 «ond‟i‟ ò perdimento / e nel tuto perdenza».

Donna, spesso la sorte si scatena quando è più sicura di non avere biasimo da forza e orgoglio. Voglio altresì dire che la nuda superbia equivale a essere morti credendosi ancora in vita. D‟altra parte, se gli uccelli hanno paura e si crucciano del falco rudione, non è causato da tradimento o bassezza, è la loro virtù naturale che li rende edotto circa la loro sorte,

49. la ventura: in Minetti «l‟Aventura», ma – a parte la diversa distinctio – non sembra qui trattarsi di una personificazione.

51. orgogli‟o forzo: le stesse forze saranno più avanti neutralizzate da Amore in Sovr‟ogn‟altra, Amor, è

la tua podèsta (→ son. 34), vv. 7-8 «Forzo, saver e orgoglio chi ver‟ lui desta / no ʼl contesta [...]».

53. per vita mort‟è sentire: ovvero „la superbia è essere morti, credendosi vivi‟. Diversamente dai PD e da Minetti (che separa peraltro il verso precedente e questo con le parentesi) ricavo dove possibile il verbo essere, come in Tanto m‟abbonda (→ canz. IV), v. 40 «[...] com‟è la vita morte».

55-60. il falco rudione («non addomesticato» secondo i PD, ma vedi Mancini 1978). occupa, nella gerarchia degli uccelli da caccia, il posto più alto. L‟immagine è comunque molto vicina al Tesoro

volgarizzato, 5, 12 «Lo settimo lignaggio si è falcone randione, cioè lo signore e re di tutti gli uccelli, che

non è niuno che osi volare appresso di lui, nè dinanzi, chè caggiono tutti storditi in ral maniera che l‟uomo li puote prendere come fossero morti» (testo originale Tresor, I, 149 «La septisme lignee est breton, que les

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plusors apellenti rodio; ce est li rois et li sires de toz oisiaus, car il n‟est nul qui ose voler devant lui, ainz toz estordiz, en tal maniere que l‟en le puet prendre cose se il fust mort») (sul falco rudione tra Monte e Brunetto si veda Scariati, Dal «tresor» al «tesoretto», pp. 157-158). Il significato complessivo del passo è che gli uccelli fuggono dal falco rudione perché sono consapevoli che la loro natura farebbe sì che essi soccombano al predatore.

55. augei: su ausgelli del manoscritto; si segue l‟intervento di Minetti per restituire qui la misura del settenario.

59. sua vilezza: non del falco, ma degli augei, con la forma del possessivo singolare usato per il plurale (per cui cfr. Renzi-Salvi 2010, p. 1404, con il celebre esempio tratto da Inferno, X, vv. 13-14 «Suo cimitero da questa parte hanno / con Epicuro tutti i suoi seguaci).

Donna, il bene infonda in voi timore che la vostra gentile figura subisca un abbassamento di stato, visto che si offende da sé; Lucifero, volendo salire dove non si soffre, adesso siede in una parte tanto bassa che è impossibile scendere ulteriormente sotto. Considerate, se avete senno, quale potrà essere la difesa, quando capirete bene il paragone che vi ho proposto, mostrandosi in tutta la sua evidenza la vostra vana allegria

62. gentil figura: l‟utilizzo del sintagma nel contesto del biasimo è straniante. Pure in Dante da Maiano, O fresca rosa, a voi chero mercede, vv. 11-12 «[...] gran canoscimento / che fa dimoro in voi, gentil figura».

64-66. come indicato dai PD l‟angiol cui ci si riferisce è Lucifero, paradigma massimo di superbia, per cui cfr. Isaia, 14, 12-15 «quomodo cecidisti de caelo, Lucifer [...] qui dicebas in corde tuo: “in caelum conscendam super astra Dei; exaltabo solium meum sedebo in monte testamenti in lateribus aquilonis: ascendam super altitudinem nubium ero similis Altissimo”. Verumtamen ad infernum detraheris in profundum laci».

65. seguo, per il verso, la proposta editoriale dei PD, che non tiene conto dell‟abbreviazione su illoco e contrae soferire in soffrire. Diversamente Minetti propone: «i· lloc‟, on, da non soferire».

66. si intenda che Lucifero occupa una posizione così bassa che è impossibile scendere ulteriormente. 67. analogo all‟invito di sopra al v. 19.

70. quando la donna afferrerà il paragone luciferino di cui sopra capirà quanto vana è la sua spensieratezza.

71. cernezza: attestazione unica nel corpus Ovi; la presenza di hapax è comunque influenzata dalla ricerca di rime unitarie per tutto il componimento.

Donna, siete rivestita di molta nobiltà, ma è inevitabile che rivediate i vostri comportamenti, se il tempo vi farà provare che il fiore senza frutto, per cui è trascorso tanto tempo, non vale nulla. Sopportiate di separarvi dal vostro orgoglio, tenendo presente l‟esempio della rovina di Troia, e quella di Merlino e di Salomone: perciò non compie una pazzia chi imita il comportamento assurdo del castoro.

73. mantadura: sta per „manto, rivestimento. Il termine è unicamente attestato qui e, con due occorrenze adiacenti, nell‟intelligenza, XII, v. 1 «Ed ha una mantadura oltremarina» e v. 7 «Quand‟ell‟appar con quella mantadura».

74. si noti come quello che sembra un complimento alla donna venga immediatamente rovesciato con l‟avversativa del verso successivo.

75. stiate a l‟ammende: per l‟interpretazione della formula ho seguito i PD, la cui proposta è accolta pure in TLIO, s.v., ammenda, § 2.

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80. cfr. del resto Amor, quanto in saver più m‟assottiglio (→ Tf 4.9), vv. 13-14 «[...] lei che s‟orgoglia / ver‟ me [...]».

81-82. l‟unione tra l‟episodio di Troia e quelli di Merlino e Salomone, emblemi di sapienti beffati dalle donne, ricorre anche in Lunardo del Guallacca, Sì come ʼl pescio al lasso, vv. 13-19 «Se lo scritto non mente, / per femmina treccera / sì·ffo Merlin derizo, / e Senson malamente / tradil una leccera. / Troia strusse Parizo / per Elena pargola», nonché, come segnala Marco Berisso in PSS, III, pp. 145-146, nel poemetto misogino anonimo D‟amare so levato, vv. 19-34 «tradito / et vivo sopelito / Merlino, ʼl più sentito, / per donna fals‟e ria. / E Salamon, gecondo / del senno ben profondo, / perdente fu del mondo / per falsa tricharia / [...] / E Troia per Alena / disfatta n‟è ʼn tal mena» (per le implicazioni desumibili dall‟unione dei tre motivi all‟interno di un ampia costellazione di testi misogini tosco-emiliani si rimanda a Maffia Scariati 2010, pp. 129-168). Rincontreremo Merlino e Salomone più avanti in Chi di me conoscente è (→ T 5.4), v. 3.

83-84. secondo la credenza diffusa il castoro, braccato dai cacciatori, si evirava per lasciare loro i testicoli contenenti un prezioso liquido per il quale l‟animale veniva cacciato: operazione, questa, già insita nell‟etimologia del termine, cfr. Isidoro, Etymologie, XII, II, 21 «Castores a castrando dicti sunt. Nam testiculi eorum apti sunt medicaminibus, propter quos praesenserint venatorem, ipsi se castrant et morsibus vires suas amputant». Facile la lettura morale dell‟immagine: come fa il castoro, è necessario rinunciare ai piaceri della carne (cfr. Bestiario moralizzato, IX, vv. 5-8 «ke sa la cosa per ke pò scampare; / departela da sé, poi no lo piglia; / e questi so‟ li menbra da peccare, / ke occido l‟alma ke non se ne svelia». Per la lirica del ʼ200 si vedano la canzone anonima Ciò ch‟altro omo a sé noia o pena conta, vv. 53-55 «ed al castoro dovrebe om guardare: / perché tuto non muoia, / da sé membro diparte» e Chiaro, con l‟attacco «Come il castoro, quando egli è cacciato, / veggendo che non pote più scampare, / lascia di quello che gli è più ʼncarnato / e tutto il fa per più vita regnare» (ma il paragone del Davanzati approda a esiti diversi ai vv. 7-8 «così facc‟io, che sono inamoratom / che lascio ognìaltra cosa per amare», si veda comunque per l‟immagine Menichetti 1965, pp. XLVIII-XLIX).

Se pure tarda la vostra condanna, chi è furbo e inttelligente non sprecherà occasione per arricarvi una grande offesa, visto che è cosa che vale come un tesoro, quando è possibile ottenere una dolce vendetta.

85. sentenza: non necessaria, dal momento che secondo la ricostruzione qui proposta, la sirma è costituita di soli settenari, l‟integrazione dei PD «[la] sentenza».

86. provvede e penza: riprende i verbi rivolti come esortazione alla donna ai vv. 19 e 67. 87-88. cioè „non perde l‟occasione per arrecare una dannosa offesa‟.

88. trapassa stagione: cfr. Jacopo Mostacci, Di sì fina ragione, v. 14 «[...] ʼl tempo trapassato».

89. divezza: meglio interpretarlo come il TLIO, s.v. divezza 1, come „stato di grande ricchezza e abbondanza, piuttosto che con „dovizia‟, come propongono i PD seguiti da Carrai.

90. diversamente dai precedenti editori (che non accompagnano, peraltro, la proposta editoriale da una parafrasi o da una nota esplicativa) ipotizzo assimilazione della preposizione in (il significato complessivo del passo, come visto nella parafrasi è che è cosa piacevole ottenere una dolce vendetta). L‟andamento è molto simile alla chiusa della dantesca Così nel mio parlar vogli‟esser aspro, «ché bello onor s‟acquista in far vendetta».

Varianti formali: 1. ranchura 3. conore rilucie 4. cavenire 6. erore 8. jnciaschuna 9. rasgione 10. quale casgione 11.

crudelleza 12. corgolglio debia pore alteza 13. pemsate caltura 14. jn ciachuno 16. agradire 19. provegia 20. jn 23. ferezza 24. jm 25. jnvano 26. jn chui non(n) diritura 27. tale 28. aquistato 30. rasgione raciende 31. dumqua p(ro)vedenza 32. jntenza 34. fallisgione 35. ca belleza 36. tera grandeza 37. jm 39. nom 42. ccio atende 45. jncontro 46. arditeza 48. fossoro forteza 49. talora 50. partte sichura 51. corgolglio 52. jngnuda 53. mortte 54. rengna vizo 55. lgli

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56. dolglienza 58. tradisgione 59. vileza 60. naturale ffa cierteza 62. gientile 63. abassi m ofende 64. cangiolo volgliendo sallire 66. jm partte isciende 67. pemssi 68. conoscienza 69. diffensione 70. ora 71. cierneza 72. bene allegreza 75. convene state (con i aggiunta sopra) amende 76. temppo 78. temppo 79. agiate sofrenza 80. orgolglio 81. jm 82. mirllino 83. mateza 84. prodeza 86. bene provede 88. stasgione.

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Sonetti

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