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(già ʼn piacere né ʼn cortesia non guardi) del ver cernire, quale or è ˆil soccorso;

o se per certo nel tutto son corso,

di perfetta sentenza aver non dotto.

44. merce] le mercie 164. no ò] non(n)o

Ahimé, perché mi si diedero fattezze umane se poi in me non è possibile reperire nessuna specificità che pone in essere l‟uomo (tale specificità, per quel che mi riguarda, piuttosto procede a ritroso)? Mai in me trova il suo compimento la sfortuna: piuttosto mi tiene bloccato in una condizione tale che nella mia casa ospito tutto quello che può essere definito contrario all‟essere umano; [in confronto a me] chi la sfortuna bersaglia maggiormente, può ritrovarsi l‟animo appagato di ogni desiderio. Io ho ricompensa di un tale tesoro, che eccello in ciò: di questo sono fermamente convinto. E non si cerchino risposte nel mio volto, dove è impossibile trovare la verità sul problema, visto che le vere risposte albergano nel cuore, nel quale sempre risiedono e risplendono le contraddizioni dell‟uomo: solo in un momento successivo il cuore le trasmette alle restanti parti del corpo; quanto a chi racchiude in sé meno di queste contraddizioni, si può dire che nemmeno la salamandra sopporterebbe la sua esistenza, né qualsiasi altra bestia di grandi dimensioni: in questo modo il mio male si diversifica.

1-4. è l‟unico attacco delle economiche che non condivide l‟apertura sull‟azione del dire. Simile tematica in Panuccio, Considerando la vera partensa, vv. 7-10 «[...] perduto avia / ogen vertù che mize in me Natura, / sì che solo figura / mantenea d‟omo [...]», ma pure in Guinizelli, Lo vostro bel saluto e ʼl

gentil sguardo, v. 13-14 dove è detto che non rimane «[...] vita né spirto [...], / se non che la figura d‟omo

rende», nonché Meo Abbracciavacca, Non volontà, ma om[o] fa ragione, vv. 9-10 «E dunque, amico, c‟hai d‟omo figura / razïonal, potente, bono e saggio».

3. a retro va: con la stessa accezione più avanti in La dolorosa vita che si prova (→ T 8.2), vv. 4-5 «sì del poder di sé fuor si trova, / ca retro va, sempremai tutto tempo»; per il motivo vedi la n. relativa al v. 137 della canzone precedente «Sua volontà seguisce pur a dietro».

4. omo vero compie: dell‟uomo, dunque, Monte ha solo la forma i contorni. Per il significato dato qui al verbo vedi TLIO, s.v. compiere, § 2.

5. segue la distinctio di Minetti, di cui accolgo anche la congettura, peraltro necessaria alla misura del verso. [Si] compie è qui da intendere come „trova compimento‟ e dunque „termina, finisce‟.

7. ostale...sono: letteralmente „sono albergo di tutti i mali‟; il termine è utilizzato in simile metafora anche in Dante, O voi che per la via d‟Amor passate (Vn, VII), v. 6 «s‟io son d‟ogni tormento ostale e

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chiave». ■ nel meo domo: è metafora di origine biblica, cfr. per la metafora del corpo come casa si veda anche Ad Corinthios II, 5, 1 «Scimus enim quoniam si terrestris domus nostra huius habitationis dissolvatur dissolvatur quod aedificationem ex Deo habeamus domum non manufactam aeternam in caelis», e cfr. la chiosa di San Tommaso, Super II Ad Corinthios reportatio, 5, 1, 123 «Corpus ergo terrestre dicitur domus habitationis, id est, in qua habitamus». Si veda avanti anche la variante dell‟immagine nella tenzone con Guittone (cfr. → T 10.1, v. 7 e → T. 10.2, v. 5).

9. in Minetti «che qual “cui” peg[g]i‟ò contra» (con chiosa: «Talché, qualunque tizio peggio m‟aborre, ha di che sentirsi soddisfatto»; interpreto qui contra come verbo (il soggetto è la precedente disavventura), per cui cfr. TLIO, s.v. contrare, nonché il sonetto anonimo Cogli occhi, amor, dolce saette m‟archi, v. 13-14 «cotant‟è ʼl ben ched ogni reo mi contra, / che ʼn ciò mie‟ par li rei non son nel fino», con simile ironia di quella che è nel prossimo verso). La lezione proposta ha il vantaggio di amplificare l‟effetto paradossale: persino chi è maggiormente contrastato dalla fortuna, in confronto alla situazione di Monte, potrebbe dirsi appagato di ogni desiderio.

10. cfr. il v. 103 della precedente canzone e il v. 44 di Tanto m‟abbonda (→ canz. VIII) «né l‟animo di tali fior pagarsi».

11. riprende l‟ironia già proposta in Più sofferir non posso (→ canz. VI), v. 109 «tal è ʼl tesorio chio porto in mia punga».

12. non ne disfermo: in Minetti «Non n‟è disfermo», ma cfr. il più recente Cecco Nuccoli, Saper ti fo

ch‟el mio detto rifermo, v. 4 «E vòi‟ che sappi ch‟io non mi disfermo», cfr. anche i passi citati in TLIO, s.v. disfermare.

13-15. per la dicotomia tra i moti che avvengono nel cuore e il viso che di questi moti non lascia trasparire nulla si veda più avanti l‟attacco (→ T 5.23) «Ahi Dio, che fosse ciò che l‟omo ˇàve / dentro dal cor paresse nel visaggio».

13. l‟eccedenza in cesura può essere ridotta espungendo il pronome mi, intendedolo dunque come erronea duplicazione delle lettere che aprono il successivo verbo miri. Minetti assegna alla negazione valore asillabico. ■ miri né guardi: anche sotto al v. 98 e al v. 170, vv. 13-14 . La coppia verbale è molto diffusa già a cominciare da Giacomo da Lentini, S‟io doglio no è meraviglia, vv. 31-32 «tuttavia raguardo e miro / le suoe adornate fattezze», ma si veda almeno, per l‟uso congiunto con il congiuntivo esortativo, Guido Cavalcanti, Quando di morte mi conven trar vita, vv. 32-33 «guardi ciascuno e miri / che Morte m‟è nel viso già salita!».

14. vera sentenza: pure al v. 21 della canzone precedente.

15. diposetaro: dal latino deposetarius. È termine prosastico e pratico, in quanto tecnicismo del campo economico; ricorre, per questo esclusivamente in scritture pratiche (con l‟eccezione rappresentata da

Decameron, VI, 2, dove è utilizzato però nel senso proprio «egli quasi d‟ogni testamento che vi si faceva era

fedel commessario e dipositario»), cfr. Libro della Parte del Guelfo, p. 171 «fececi -l pagamento in fiorini d‟ariento secondo ke li ebbe dali depositari, (e) fiorini d‟ariento li dovemo rendere».

16. alberga: con ripresa del medesimo campo semantico di ostale al v. 7. ■ fà locore: la formula verbale ricorre più avanti in Qui son fermo, che ʼl gentil core e largo (→ son. 35), v. 15 «[...] ʼn cor gentil e cortese fa locore», ma per la presenza della salamandra, qui sotto al v. 20, si veda anche Lo fin pregi‟ avanzato, 36- 38 «altisce in tal lucore / che si ralluma come / salamandra ʼn foco vive». 17. quanto contrado: con ripresa del v. 8.

18. simile immagine precedentemente in Re Enzo S‟eo trovasse Pietanza, vv. 28-30 «Ecco pena dogliosa / che nel meo core abonda / e sparge per li membri». La connessione avviene ovviamente attraverso il sangue che collega il cuore alle altre parti del corpo.

19-20. ancora un‟immagine paradossale: nemmeno la salamandra – che sopravvive all‟interno del fuoco, secondo i bestiari dell‟epoca – riuscirebbe a sopportare il peso dell‟esistenza di chi possiede la minor parte dei dolori che affliggono Monte. In questo Monte applica una variante a un‟immagine diffusa in poesia che prevede il parallelo tra l‟animale e l‟innamorato.

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19. ammembra: per il significato cfr. TLIO, s.v. ammembrare, con sole altre due occorrenze assieme alla montiana (interessante la ricorrenza in un madrigale anonimo trecentesco, D‟or pomo incominciò, v. 11 «[...] sì che dentr‟al cor amembrasi».

Ahimé più contemplo e mi cruccio, osservano la sorte mortale che mi tocca, e peggio mi considero e mi lamento, dal momento che il mio corpo è morto tra i morti. Il mio dolore è quantificabile come lo spazio che intercorre tra due punti; e se sono disperato ne ho ben donde giacché il dolore condanna le mie virtù, al punto che chi ha più dolore si può considerare vincitore, perché abbatte ogni vizio. La sventura mi perseguita infinitamente senza tosta; la sorte mi impartisce ogni dolore come se fossi un animale e non un uomo. Non sono libero di disporre pienamente di me nemmeno un‟ora al giorno. Lontano, e senza riparo, da ciò che produce onore, posso vivere solo asservito. Le mie parole sono reputate non veritiere (quando non ho mai detto falsità): eppure anch‟io ho desideri e volontà. Dove dovrebbe essere la fonte dell‟appagamento, proprio lì sono privo: questo è ciò che ottengo da ogni scambio.

23. com‟ pi miro: su formula diffusa, vedi per es. Inghilfredi, Del meo voler dir l‟ombra, ed ispero, vv. 16-17 «Doglio quando più miro / lo guadagno che perdo». ■ e dispero: benché sia possibile anche la scansione, seguo qui la proposta di Minetti che mi sembra più congrua al contesto („maggiore è la speranza, più grande è il dolore, dal momento che essa non verrà realizzata‟).

24. cfr. in precedenza Più sofferir non posso (→ canz. VI), v. 10 «e tanto sono ˇin fera fortuna». 26. per la tematica, poi riproposta nuovamente sotto ai vv. 138-139, e il prelievo lessicale sono biblici, cfr. Psalmos, 87, 6 «aestimatus sum cum descendentibus in lacum, factus sum sicut homo sine adiutorio inter mortuos liber».

27-28. letteralmente „come può essere specificata dall‟uomo la misura che intercorre da qui a sopra‟. Il dolore è quantificabile materialmente.

30. ragion è ciò: diffusa formula rafforzativa, cfr. Giacomo da Lentini, Un disïo d‟amore sovente, v. 31 «Donqu‟è ragion ch‟eo trovi pïetanza», o Brunetto, Tesoretto, v. 2559 «ragion è che tu muti». ■

danna: il soggetto è il male del v. 29 che neutralizza le virtù dell‟autore.

31. in Minetti «[...] qual lo più dann‟à», ma preferisco riprodurre l‟andamento sintattico dei vv. 9-10 che sono analoghi anche dal punto di vista del contenuto paradossale.

32. ogni vizio abbatte: speculare a mie virtute danna. La formula ricorre anche in Guittone, Onne

vogliosa d‟omo infermitate, vv. 136-137 «spirto corpo abbattendo, / ragion voglia vertù vizio al totto».

33. espressione parallela in Tanto m‟abbonda (→ canz. VIII) «Sono molti ventura sì tempesta». 34. co non finando mai: gerundio preposizionale analogo ad Ahi Deo merzé (→ canz. I), v. 17 «co non facendo offesa / di tutte pene messo m‟à radice» (per la tipologia cfr. CLPIO, p. CLXXVII e Rohlfs 1966- 1969, § 721).

35. animale: cioè l‟essere che, nella creazione, è sottoposto gerarchicamente all‟uomo, in un processo di degradazione animalesca dell‟individuo.

37. la mancanza della libertà personale è motivo frequente in Monte, cfr. più avanti Ohimé dolente, più

di nullo affanno (→ son. 3) «[...] di me non aio segnoraggio».

38. cfr. più avanti La vostra lauda è ʼnverʼ me tanto fina (→ T 2.2), v. 15 «fuor è di sè e quanto vale onore».

39. la vita tegno in fio: per l‟espressione cfr. intanto TLIO, s.v. fio (1), § 1 e si veda, anche per misurarne il rovesciamento negativo, Chiaro, Or vo‟ cantar, e poi cantar mi tene, v. 24-25 «Ma tegno in fio / [da lei] la propietà della mia vita». Cfr. più avanti L‟arma e lo core, ˇe lo meo disio (→ son. 1), v. 7 e

Certo, ˇAmore, io non so la cagione (→ Tf 4.3), v. 8.

40. si veda preliminarmente quanto scritto nella nota al v. 145 della canzone precedente, ricordando che il motivo secondo cui la credibilità è direttamente proporzionale alla ricchezza è già classico, cfr. per es. Giovanale, Saturae, 3, vv. 143-144 «Quantum quisque sua nummorum servat in arca, tantum habet et

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fidei». Formalmente risulta simile a Dante, Le dolci rime d‟amor, vv. 75-76 «è manifesto i lor diri esser vani; / e io così per falsi li riprovo».

43. ov‟è pago: seguo la distinctio di Minetti, interpretando pago come sostantivo („l‟appagamento); possibile anche che sia un verbo in prima persona (in questo caso si interpreti complessivamente „il mio potere d‟aquisto è nullo‟).

44. levo merce: in Minetti «levo mercé», ma neutralizzando in tal modo la connessione etimologica con il precedente mercato. Simile metafora nella dubbia di Bonagiunta Conosco il frutto e ʼl fiore de l‟amore, vv. 12-13 «Acatta lo mercato molto caro / l‟om che di mercatar nonn ha intendanza».

Ahimé, posso ben dirlo; e posso decisamente piangere e lamentarmi, dal momento che tutto il mio potere, con il quale potrei avere valore, è spento del tutto; e le contingenze della mia vita provano pure che io sono morto e estinto, dal momento che ho in me tutto quello che può essere definito come lontano dal piacere per un essere vivente; vivo in tale maniera che persino chi più mi disprezza avrebbe pietà di me; solo io seguo il proverbio su Barga: ogni cosa lo prova. Sono consapevole della sentenza crudele e mortale che mi riguarda, al punto che è impossibile aggiungere altro male ai miei, né è possibile alcun rimedio a ciò, visto che ogni giorno il dolore si rinnova in me; in questo modo, mi avviene quello che accade alla nave in tempesta, cioè che ogni vento le va incontro; e mi accorgo che la mia presenza spiace chi invece dovrebbe aiutarmi a portare il peso: così ognuno si preoccupa di venirmi incontro.

45. cfr. il simile Cecco, Con gran malinconia sempre i‟ sto, v. 14 «ch‟altro non faccio, se non dire: – Omè! –».

46. piangere e lamentare: coppia verbale assai frequentata, cfr. del resto Più sofferir non posso (→ canz. VI), v. 124. Cfr. pure l‟anonima, Giamai null‟om nonn à si gra· richezze, v. 43 «e tutor mi lamento e vo piangendo», nonché Chiaro Davanzati, vv. 17 e 19-20 «S‟io piango e mi lamento / [...] , / non credo nulla cosa / possami rallegrare».

47. posso: possa, ma nella forma con metaplasmo imposta dalla rima.

49. morto e spento: ripetuto sotto al v. 154, legandolo in maniera esplicita alla povertà. ■ spento: come più avanti nell‟attacco (→ son. 9) « Ahi, come spento sono, ohimé lasso, / da tutto bene e di quant‟ò ʼn disio».

50. lo corso di mia vita: cfr. in precedenza Più sofferir (→ canz. VI), v. 18 «[...] che vit‟è mio corso». 51-52. ripropone il motivo dei versi 7-8, ma si rileggano anche il vv. 60-61 di Più sofferir (→ canz. VI) «Ora ch‟io son, com‟io vi dico, raso / d‟ognunque cosa ch‟àve in me vertute».

54. m‟à ʼn suo proverbio: qui proverbio sta nell‟accezione di „disprezzo, ingiuria‟ (cfr. Crusca, IV edizione, s.v.). Anche in questo passaggio l‟effetto è paradossale: la situazione è così penosa che perfino i più feroci detrattori dell‟autore hanno pietà di lui.

56. da Barga: cfr., per il riferimento al proverbio, in precedenza Ahi doloroso lasso (→ canz. III), 50, poi più avanti Chiaro, Bono sparver non prende sanza artiglio (→ T 1.5), v. 4 e Cione, Venuto è boce di lontan

paese (→ Tp 4. 1), v. 14. La metafora, come è stato proposto per la prima occorrenza, va scioltà come „sono

io il solo a rimetterci‟.

57. mortal sentenza: cfr. più avanti l‟attacco (→ son. 45) «Ahïmè lasso, a che mortal sentenza

sono condotto de lo meo disire». ■ so m‟à: „so che mi ha, che mi possiede‟; diversamente Minetti interpreta in nota « ... mi tien sotto».

58. ne‟ miei mali: visto il proseguo del verso con il motivo dell‟impossibilità di fare la somma dei mali, si potrebbe avere la tentazione di correggerlo in de‟ miei mali. Il topos è ben attestato nella letteratura elegiaca: cfr. Arrigo da Settimiello, Elegia, I, vv. 237-238 «Tam gravibus ledor quod non peiora timesco: / qui summe miser est, plus nequit esse miser», e cfr. in precedenza Più sofferir (→ canz. VI), vv. 104-105 «quanti son

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mali un sol punto no lascio, / sì che di me non si porria far fascio». Si intenda allora „non si può aggiungere altro dolore ai miei mali, in quanto ne sono già saturo».

59. rimedio no v‟à: ripete Ancor di dire (→ canz. IX), v. 114 «Non v‟à rimedio» (e si veda anche il v. 159 della medesima canzone, nonché il v. 4 di Intenda, ʼntenda chi più montat‟è alto, → son. 44, «non si trova rimedio in tale stoscio»).

60. per il motivo del male che si rinnovasi nova: nella stessa valenza, ma in segno positivo, in Brunetto, S‟eo son distretto, vv. 15-17 «[...] pome aulente, / che nova ciascuno anno / la gran bieltate [...]».

61. perseguitandolo: darei qui al gerundio funzione temporale („mentre ogni pena mortale...‟).

62-63. per l‟unione tra il parallelo uomo-nave in tempesta e per il tono lamentoso si può ancora citare l‟Elegia di Arrigo da Settimiello, I, vv. 99-102 « Obruor oceano sevisque reverberor undis, /

nesciet hinc reditum mersa carina suum. / Decidit in cautes incauta carina, procellas / sustinet innumeras invidiosa ratis». Il motivo è comunque ben diffuso nella lirica duecentesca.

66. son per fascia: „sono come un peso‟, dunque in rima identica con il fascia del verso successivo. Diversamente Minetti pubblica «s‟òn perfascia» (con chiosa «hanno sugli occhi una superbenda» anche s.v. nel Glossario in Minetti 1979, p. 287). ■ fascia: nel senso di „fardello‟ anche in Carnino Ghiberti,

Luntan vi son, ma presso v‟è lo core, v. 27 «poi che sì grave fascio d‟amor aggio» e in Bacciarone, Nova m‟è volontà nel cor creata, v. 13 (cito dalle CLPIO, con qualche modifica) «e com‟è grave a portar son

soi‟ fascia».

66. è declinato in chiave personale uno degli effetti della povertà (l‟essere, appunto, evitati) già elencati ai vv. 86-93 di Più sofferir (→ canz. VI). Per la tematica che prevede che il povero sia schifato persino dagli amici (qui indicati con la perifrasi al v. 65 „chi dovrebbe aiutarmi a portare il fardello‟ cfr. già la Bibbia, Proverbia, 14, 20 «etiam proximo suo pauper odiosus erit».

Ahimé, perché venni al mondo, se quello che esso possiede come sostentamento alla vita mi è porto e offerto in maniera tale che non posso toccarne nemmeno un lembo? Ho una ferita provocata da un tale tardo, che mai guarisce tanto mortale è il colto: giacché, d‟altra parte, io sono spolpato e totalmente privo di quanto mi possa essere gradito. La posizione gerarchica assegnatami è tale che la persona più infima può in confronto essere considerata imperatore: e tutto questo solamente perché non mi è dato di morire, visto che non vuole la morte che giudico colpevole di disdegnarmi, solo perché soffra mille volte al giorno: nel fare questo sono abile. Dite dunque, è mai esistito uomo messo peggio? La morte mi incalza mettendomi paure, e nonostante questo l‟ho sconfitta e piegata al mio volere, in modo tale che non ha giurisdizione su di me: in tal modo ha lasciato campo alla mia tranquillità. Eppure sono io lo sconfitto, dal momento che durante l‟inseguimento il cuore mi fu trafitto per cui ho ottenuto qualcosa di peggio della morte.

67-70. è lo stesso motivo già proposto in chiave generale in Ancor di dire (→ canz. IX), vv. 58-62: il mondo è pieno di risorse utili alla vita degli uomini che però non sono parimenti accessibili a tutti.

70. [un] punto: si reintegra l‟articolo sulla base di analoghe espressioni, cfr. Ahi doloroso lasso (→ canz. IV), v. 6 «solo un punto non posso me ritrarne», Più sofferir non posso (→ canz. VI), v. 104 «quanti son mali, un sol punto no lascio», Ancor di dire (→ canz. IX), vv. 174-175 «ch‟un punto il giorno di ciò ch‟om diletta / mai non s‟aspetta», Non seppi ma che fosse (→ son. 16), v. 5 «un sol punto di me fuor non ne tiro», Eo veggio, donna, in voi (→ son. 23) «che solo un punto in voi no si disdice», Quant‟à

nel mondo (→ T 5.8), v. 14 «solo un punto di me fuor no n‟è casso», Di svariato colore (→ T 9.1), v. 3

«un sol punto di me fuor no ne sta».

71. in Minetti il verbo è posposto dando al verso uscita tronca «[...] di tal dardo punt‟ò»: sarebbe però necessaria una sillaba in meno.Gli stessi sostantivi sono impiegati da Panuccio, Di dir già più non celo, vv. 44-45 «Tanto crudel fu punto / di dardo, il qual m‟à punto».

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72. mortale è ʼl colpo: nel contesto delle canzone sul denaro è sempre il «mortal colpo di perdere avere»

Or è nel campo entrato (→ canz. VII), v. 41; cfr. inoltre Tanto m‟abbonda (→ canz. VIII), v. 74 e Ancor di dire (→ canz. IX), v. 113; unica eccezione in contesto amoroso in Ahimè lasso (→ son. 45), v. 16.

73-74. ripete quanto detto in Più sofferir (→ canz. VI), vv. 57-58 «polificato son d‟ogni tesoro, / ignudo tutto son d‟argento e oro». Pulificato, hapax montiano, sta per purificato. Ma per l‟uso dell‟espressione

essere in grado, unitamente al tono simile alla poesia realistica, si richiama anche l‟incipit di Cecco «Tre

cose solamente mi so‟ in grado, / le quali posso non ben ben forrnire».

75-76. formulazione paradossale analoga a quelle viste ai vv. 9-10 e 19-20: la persona gerarchicamente più bassa, a paragonarla a Monte, ha dignità imperiali.

76. coron‟à d‟impero: in contesto amoroso anche in Chiaro, Chïunque altruï blasma, vv. 91-92 «Imperïal coron‟ha veramente / di tutta bieltate», poi più avanti in Dino Compagni, Amor mi sforza e mi sprona valere, v. 15 «Nè dignità d‟imperïal corona».

76. sol perché non però: offro una diversa interpretazione rispetto a quella di Minetti che stampa «so ʼl perché» (il manoscritto ha solo). Si intenda qui come „tutta la sofferenza sopra elencata potrebbe interrompersi con una morte negata‟.

78. che non vuol Morte: la dicotomia tra la negazione e il desiderio di morte è topica in Monte (si veda l‟ampia nota con l‟inventario in Minetti 1979, p. 112. Cfr. più avanti Di svariato colore (→ T 9.1), sempre su frase causale, «[...] che mi schifa Morte».

79. che mi disdegna: epesegetico del precedente ʼncolpo, „per il fatto che mi disdegna‟.

80. mille: mille morti al giorno, come in Ancor di dire (→ canz. IX), vv. 127-128 «ch‟è per te messo / in centomila morti giorno e notte» (per l‟iperbole cfr. la nota relativa). ■ e di sì fa‟ ed agi‟or n‟ò: nell‟impossibilità di elaborare alternative convincenti, si segue qui la distinctio proposta da Minetti, con il significato visto in parafrasi.

81. crudele posta: „crudele situazione‟, in questa accezione il termine ricorre pure nell‟attacco dell‟ „Amico di Dante‟ «I sì mi tegno, lasso, a mala posta» e in Cecco Angiolieri, E fu già tempo che Becchina

m‟era, v. 12 «Che già non sare‟ a così mala posta».

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