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Il carattere pioneristico di Rossi-Landi tra filosofia e linguistica

IV. Sul divenire poiesis della praxis: lo schema omologico della produzione in Ferruccio Rossi-Land

1. Genesi del programma di ricerca su lavoro e linguaggio in Italia

1.1 Il carattere pioneristico di Rossi-Landi tra filosofia e linguistica

Nel pensiero italiano contemporaneo esistono almeno due linee di ricerca che prendono specificamente a oggetto la relazione tra linguaggio e lavoro. Una mette capo agli studi filosofici e linguistici di Ferruccio Rossi-Landi, l’altra si inscrive nell’epistemologia di tradizione operaista e vede in Paolo Virno uno dei suoi più autorevoli rappresentanti. Nell’indagare il rapporto tra linguaggio e lavoro tanto Rossi-Landi (1968; 1972; 1985) quanto Virno (1986; 1993; 2002a; 2015b), diversamente dai risultati teorici conseguiti da Agamben (2014a), conservano la coppia praxis-poiesis e tuttavia formulano due modelli alternativi con cui esplicitare il legame tra parola e opera. Entrambi gli autori delineano programmi di ricerca che divergono, sì, dal paradigma agambeniano illustrato nel capitolo precedente, ma per ragioni diametralmente opposte.

Lo schema di Rossi-Landi, che sarà al centro di questa sezione, prevede l’estensione di elementi tipici della poiesis, anzitutto e perlopiù del suo intrinseco finalismo, nella sfera della praxis, sicché il linguaggio diviene un processo produttivo di enunciati secondo una modalità del tutto omologa alla produzione di cose. Al contrario la proposta di Virno capovolge lo schema rossilandiano perché formula un modello in cui è la poiesis ad annettere a sé alcuni dei principali caratteri della praxis, a cominciare dalla peculiare assenza di opere depositate dietro di sé, dunque, il lavoro, con sempre maggiore evidenza nell’epoca del tardo

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capitalismo, prende congedo dall’agire strumentale per conformarsi a un comportamento di tipo comunicativo. Se nella prima ipotesi è l’opera a transitare nella parola modificandola nella sua coerenza concettuale, nella seconda è proprio la parola a sconfinare nell’opera trasformandone le proprietà più intime.

In un’ottica genealogica il divenire poiesis della praxis trova il suo fondamento nel saggio rossilandiano dei tardi anni Sessanta del Novecento intitolato Il

linguaggio come lavoro e come mercato (1968); per ciò che concerne l’altro

schema, ovvero il divenire praxis della poiesis, il testo inaugurale è Convenzione

e materialismo di Virno uscito nel 1986. Coeva di Rossi-Landi e altrettanto

pioneristica come il suo studio è, tuttavia, un’opera non filosofica ma letteraria, ossia il romanzo La vita agra di Luciano Bianciardi (1962), che ha il merito di anticipare certi motivi teorici dell’operaismo dei primi anni Ottanta del secolo scorso.

Venendo all’autore che qui ci interessa esaminare, è bene indicare i tre riferimenti bibliografici che, come suggerisce lo studio di Ponzio (1988), costituiscono un corpo unitario e coerente nell’elaborazione di Rossi-Landi circa la sovrapposizione tra linguaggio e lavoro. La trilogia si compone quindi del già citato volume Il linguaggio come lavoro e come mercato (1968) e delle due raccolte Semiotica e ideologia (1972) e Metodica filosofica e scienza dei segni (1985); a questi si può aggiungere il testo in inglese già nell’originale intitolato

Linguistics and Economics (1974).

Rossi-Landi si muove su un terreno di ricerca interdisciplinare in cui sfumano i confini tra filosofia, linguistica e scienze sociali; il suo tentativo è di far dialogare prospettive diverse tra loro per metodo di indagine e oggetto di studio, in particolare il materialismo marxiano da un lato e le teorie del linguaggio di Saussure e del coté analitico64 dall’altro.

Con un gesto che lo renderà vicino alle tesi della linguistica del lavoro sviluppatasi in Francia attorno al gruppo Langage et Travail a partire dal 1990

(cfr. Infra, secondo capitolo, § 4), Rossi-Landi intende oltrepassare le opposizioni

64 Nel 1955 Rossi-Landi pubblica la traduzione dell’opera The concept of mind di Gilbert Ryle (Lo spirito come comportamento) contribuendo così alla diffusione della filosofia analitica in Italia. Più in generale, nell’ambito del pensiero angloamericano della prima metà del Novecento, nel 1953 esce la monografia sul semiologo e filosofo statunitense Charles Morris.

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tra mentalismo e comportamentismo, tra linguaggio come convenzione storica e linguaggio come fatto naturale, tra sistema della lingua e atto di parola. Per conseguire tale obiettivo l’autore introduce il concetto di lavoro linguistico come risultato ultimo dello schema omologico della produzione:

Una semiotica come studio globale del segnico, deve occuparsi, secondo Rossi- Landi, non solo delle regole dello scambio dei messaggi ma anche delle regole della loro produzione, riconducendo i valori segnici di scambio – che consistono nei rapporti reciproci in cui i segni entrano dentro al sistema segnico di cui fanno parte e che presiedono alla loro circolazione nell’ambito di una determinata comunità – ai rapporti sociali entro cui si realizza la produzione segnica che determina il valore secondo cui avviene lo scambio segnico (Ponzio, 1988, p. 123).

Sempre Augusto Ponzio nella pagina immediatamente successiva approfondisce l’argomento osservando:

come nell’analisi marxiana della merce, l’analisi delle produzione segnica va dal costituito al costituente, dalla struttura epifenomenica del valore di scambio e del mercato linguistico alle strutture sottostanti del lavoro sociale segnico-comunicativo. Il valore segnico, che sembrava consistere in un rapporto fra segni e fra messaggi, ricondotto al lavoro segnico sociale di cui è l’oggettivazione, risulta un rapporto di produzione sociale (Ivi, p. 124).

La chiave di volta del modello rossilandiano sta nel concetto di omologia, da distinguere sia dall’analogia che dall’isomorfismo. Come rileva ancora Ponzio (Ivi, pp. 95-96) l’analogia e il suo caso estremo, cioè l’isomorfismo, stabiliscono rapporti di somiglianza tra le cose date disinteressandosi dei processi di produzione; al contrario il metodo omologico, interpretato nell’ottica dell’inferenza abduttiva e del segno iconico di Peirce, coglie somiglianze strutturali inedite muovendo dalla genesi dei fenomeni:

Il metodo omologico viene caratterizzato da Rossi-Landi come metodo genetico connesso allo studio strutturale delle fasi sincroniche e simmetriche dei processi esaminati […] inoltre viene indicato come metodo antiseparatistico e ricostruttivo.

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Esso rileva una similarità fra due processi, due condizioni, due parti di una stessa o di due distinte totalità, o più in generale, fra “due cose” (Ivi, p. 92).

Le argomentazioni di Rossi-Landi sono state recentemente discusse in vari saggi apparsi in riviste e volumi65. In relazione ai temi che concernono l’indagine condotta in questa sede è significativa la monografia di Ponzio (2008) dal titolo

Linguaggio, lavoro e mercato globale che, come scrive l’autore nella prefazione,

si è resa ancor più urgente vista la «situazione storica odierna, economico-sociale, politica e culturale» (Ivi, p. 9). Nel prosieguo di questo capitolo si procederà tanto a una lettura critica circa il valore euristico della tesi sul linguaggio come lavoro nell’analisi del tardo capitalismo, quanto all’esame dei limiti intrinseci dell’omologia tra parola e opera.