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II. Lo sviluppo delle forze produttive e la vita della mente messa a valore Alcuni studi di economia, sociologia e

4. La Linguistica del lavoro in Francia: la parola come fattore produttivo

4.3 Il lavoro e il discorso

Come suggeriscono Boutet e Gardin (2001), risulta del tutto legittimo situare la linguistica del lavoro all’interno della ricezione francese di Ferdinand de Saussure degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. Sebbene il gruppo di studi Langage et

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risalgono ai decenni precedenti. In particolare la linguistica del lavoro andrebbe a collocarsi nell’ambito della analisi del discorso45, la cui origine, come indica Puech (2005), risale a Pêcheux (1969) e a Foucault (1971), cioè in quella regione teorica in cui il discorso è pensato come l’oggetto epistemologico in grado di revocare in dubbio la coppia langue/parole presente nel Corso di linguistica

generale (cfr. Haroche, Henry, Pêcheux, 1971).

In questa tradizione il discorso, inteso nel senso di Bachtin (1979, p. 253) come «unità reale della comunicazione verbale», istituisce un terzo regno in cui va a opporsi da un lato alla langue in quanto prodotto autoregolantesi per mezzo di norme arbitrarie, una sorta di oggettività che il parlante subisce, e dall’altro alla

parole come atto linguistico individuale, soggettivo e perciò in rotta di collisione

con la sfera del collettivo, che atterrebbe invece al sistema della lingua. L’istanza del discorso, dunque, emerge nello iato che separa – e certamente lega – langue e

parole, aprendo il varco al luogo in cui dimora l’espressione storicamente

determinata degli enunciati:

doit avoir fondamentalement pour objet de rendre compte des processus régissant l'agencement des termes en une séquence discursive, et cela en fonction des conditions dans lesquelles cette séquence discursive est produite 21 : nous appellerons “sémantique discursive” l'analyse scientifique des processus caractéristiques d'une formation discursive, cette analyse tenant compte du lien qui relie ces processus aux conditions dans lesquels le discours est produit (aux

45 Anche la letteratura anglosassone, con un gesto apparentemente simile a quello eseguito dagli studiosi francesi che qui si intende illustrare, collega le ricerche di Michail Bachtin con quelle di Michel Foucault. Tuttavia, lo spazio che separa i due autori è colmato attingendo non tanto alle ricerche di matrice continentale, bensì a quelle di ispirazione analitica. Occupano dunque un posto rilevante le teorie, tra gli altri, di Ludwig Wittgenstein, John Austin, John Searle, Erving Goffman. Due recenti lavori introduttivi alla discourse analysis sono quelli di Gee (1999) e di Schiffrin, Tannen, Hamilton (2001, a cura di); invece un classico per avviarsi alla disciplina è il manuale curato da Van Dijk (1985). Proprio il linguista olandese Teun Adrianus Van Dijk è un punto di riferimento assoluto della discourse analysis, il suo approccio si contraddistingue perché tiene in conto non solo le strategie performative dell’atto di discorso, ma anche i processi cognitivi con cui quelle si connettono: vanno perlomeno menzionati Van Dijk (1997a; 1997b; 2008). Provvisti di un atteggiamento, invece, più orientato ai caratteri storico-sociali dell’atto discorsivo sono i contributi di Fairclough (1995), Fairclough e Wodak (1997), Gumperz (1982), Weiss e Wodak (2003, a cura di), Wodak e Meyer (2001, a cura di). Infine, come ricordano anche Laurent Filliettaz e Jean-Paul Bronckart nel brano introduttivo a Filliettaz e Bronckart (2005), teorie del discorso che prendono a oggetto il lavoro sono contenute in Boden (1994), Candlin (2002), Drew e Heritage (1992), Gunnarson, Linell, Nordberg (1997, a cura di), Sarangi e Candlin (2003), Sarangi e Roberts (1999, a cura di), Sarangi e Roberts (2003), Wodak e Weiss (2002, a cura di).

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positions auxquelles il doit être référé) (Haroche, Henry, Pêcheux, 1971, p.

103).

Se così è, diventa necessario interrogare la natura del genere del discorso in cui sarebbe da inscrivere il lavoro nel tardo capitalismo. L’ipotesi è che il contesto in cui si colloca il lavoro contemporaneo rappresenta un genere del discorso assai peculiare perché riformula la divisione bachtiniana tra generi primi e generi secondi, proposta nel famoso saggio del 1952-1953 dal titolo Il problema dei

generi del discorso, pubblicato postumo alla fine degli anni Settanta (Bachtin,

1979, pp. 245-290). Se in origine il contesto lavorativo, poiché essenzialmente monologico, sarebbe da ascrivere ai generi primi, nel cui ambito si trovano le situazioni standardizzate dipendenti da attività non linguistiche (Bronckart, 1996, p. 63) come quelle conversazioni quotidiane in cui la parola ha un «rapporto immediato con la realtà effettiva e con le reali enunciazioni altrui» (Bachtin, 1979, p. 247), con l’espansione della parte linguistica del lavoro questa corrispondenza di genere va in frantumi perché il linguaggio in quanto fattore produttivo trasforma e riorganizza la struttura dell’unità lavorativa. In questa prospettiva non sembra neanche ragionevole assegnare il lavoro ai generi secondi, là dove risiedono principalmente le opere letterarie e, in generale, la comunicazione culturale perlopiù scritta come «romanzi, drammi, lavori scientifici di ogni tipo, generi pubblicistici di ampie dimensioni, ecc.» (Ibidem), bensì si dovrebbe aggiungere un terzo livello – articolato sotto diverse variabili quali il tipo di mestiere, di soggetti coinvolti, di compiti – quello dei generi professionali (cfr. Clot-Faïta, 2000; Boutet, 2005).

Prima di passare ad alcuni cenni critici sull’argomento della linguistica del lavoro, occorre qui compiere un rapido richiamo all’interpretazione del semiotico e linguista italiano Ferruccio Rossi-Landi, rinviando al quarto capitolo di questa tesi per una trattazione meno incompleta. Esistono due elementi bibliografici connessi con Rossi-Landi che pare rendano verosimile l’ipotesi della continuità tra Italia e Francia nell’elaborazione di una teoria linguistica che abbia come suo contenuto specifico il lavoro.

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Primo elemento. Il nome di Rossi-Landi compare tra le fonti46 citate da Gardes-Madray e Gardin (1989) nell’introduzione al numero monografico della rivista Langages che, l’abbiamo già osservato, è uno dei primi tentativi della linguistica francese di pensare al rapporto tra linguaggio e lavoro non nell’ottica dell’esclusione reciproca, bensì ipotizzando il loro intreccio. Il gesto dei due curatori è ampiamente giustificabile perché a cavallo degli anni ’60 e ’70, nel consueto quadro della ricezione di Saussure tesa a misurarsi con la coppia

langue/parole, Rossi-Landi conduce una serie di ricerche sulla coppia linguaggio-

lavoro con cui sembra giungere a risultati affini a quelli conseguiti dai teorici dell’analyse du discours. Egli sostituisce la bipartizione esposta nel Corso di

linguista generale con una tripartizione in cui anziché l’elemento discorso

aggiunge l’elemento linguaggio, concepito in omologia con il lavoro. Il concetto di «lavoro linguistico socialmente inteso», contenuto in Rossi-Landi (1968, p. 15), si configura in opposizione alla langue come prodotto dell’operosità umana e alla

parole come atto, sì, di produzione, ma individuale anziché sociale: «il lavoro

linguistico (collettivo) produce la lingua (collettiva) su e con cui si esercita il parlare dei singoli, i cui prodotti rifluiscono nello stesso serbatoio collettivo da cui ne sono stati attinti materiali e strumenti».

Secondo elemento. Già nel 1967, dunque, un anno prima della pubblicazione de Il linguaggio come lavoro e come mercato, doveva circolare in Francia il saggio dal titolo originale Extension de l’homologie entre énoncés et outils, raccolto due anni più tardi negli Actes du Xe Congrès international des

linguistes47 (cfr. Rossi-Landi, 1972, pp. 61-68). Si tratta del contributo successivamente rielaborato e inserito nel capitolo V de Il linguaggio come

lavoro, proprio nella sezione in cui Rossi-Landi definisce lo schema omologico

della produzione. Uno degli esisti più rilevanti delle sue ricerche sta nell’aver

46 Gli studiosi cui i due curatori dichiarano di ispirarsi sono coloro che teorizzano il comportamento produttivo tipicamente umano «dans lequel praxis matérielle et praxis linguistique s'articulent dialectiquement» (Gardes-Madray e Gardin, 1989, p. 8). Oltre Rossi-Landi sono convocati: l’antropologo francese André Leroi-Gourhan, autore nel 1964 de Le geste et la parole; il filosofo marxista di origine vietnamita Trân Duc Thao, di cui va almeno ricordato il volume del 1973 Recherche sur l’origine du langage et de la consience; il linguista e occitanista Robert Lafont cui si deve l’opera Le Travail et le Langage del 1978.

47 Il congresso si svolse a Bucarest dal 28 agosto al 2 settembre 1967; gli atti furono raccolti presso Éditions de l’Academie de la République socialiste de Roumanie, I, 1969 e l’articolo di Rossi- Landi compare nelle pagine 503-508. Oltre che in Rossi-Landi (1968) lo schema omologico della produzione è illustrato anche in Rossi-Landi (1985).

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istituito una soglia di indistinzione tra produzione e comunicazione e di averla posta all’origine dell’anthropos; da questo assunto, che egli nomina «radice antropogenica» (Rossi-Landi, 1972, p. 64), Rossi-Landi deduce l’omologia logico-strutturale tra linguaggio e lavoro e la impianta su una traiettoria che procede dall’opera alla parola: «Nella misura in cui l’omologia che abbiamo indicata è valida, è possibile applicare al linguaggio la terminologia e i quadri concettuali utilizzati nello studio del lavoro in generale, della produzione “materiale”» (Ivi, p. 67). Quella del semiotico italiano è in ogni senso una parola produttiva, cioè un atto verbale che, non assimilabile né al sistema-lingua né al singolo proferimento di segni, si presenta co-originario e coestensivo all’attività creatrice di oggetti. È questa omologia «logico-strutturale e storico-genetica» (Ivi, p. 64) che secondo i linguisti francesi consegue piena visibilità empirica nella ristrutturazione del ciclo produttivo all’interno del capitalismo contemporaneo.

Per chiudere conviene citare ancora alcune fonti. Sempre in accordo con l’impostazione di Boutet e Gardin (2001) un ulteriore elemento che va a comporre il quadro teorico in cui si sviluppa la linguistica del lavoro in Francia è fornito dalla ricerca sociolinguistica di Bernstein (1971), nella prospettiva della sociologia dell’educazione, e di Labov (1972), promotore dell’approccio variazionista. Nel tentativo di presentare le differenti correnti della disciplina, vanno segnalati i contributi introduttivi di Marcellesi e Gardin (1974) e Boutet (1997; 2000), autori tutti collegati con il gruppo Langage et Travail.