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Il ruolo del linguaggio prima della svolta linguistica del lavoro

II. Lo sviluppo delle forze produttive e la vita della mente messa a valore Alcuni studi di economia, sociologia e

3. La prospettiva sociologica di Philippe Zarifian: l’identità tra comunicazione e lavoro

3.3 Il ruolo del linguaggio prima della svolta linguistica del lavoro

Secondo Zarifan l’operaio classico non ha accesso al linguaggio in due modi: tanto nella programmazione del lavoro quanto nell’esecuzione della specifica mansione. I principi tayloristici dell’organizzazione scientifica della produzione sono letti in chiave linguistica:

L’important, pour notre actuel propos, est que la séparation entre deux milieux [direction et ouvriers], valorisée et structurellement organisée par le taylorisme, soit en même temps une séparation quant au rapport au langage. Les ouvriers pensent et ont des affects, mais ils sont, dans le modèle taylorienne, exclus de l’accès au langage. Ils sont doublement exclus d’une certaine manière : exclus du langage sur l’organisation, le langage dans lequel et par lequel l’organisation (dont les méthodes de travail) se définit, exclus du langage dans cette organisation puisque les échanges de paroles ne sont que du temps perdu, du temps non productif (Zarifian, 1996,

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Richiamandosi alle ricerche di Émile Benveniste (1966, pp. 310-319) su linguaggio e soggettività, l’autore ritiene che l’operaio classico, poiché è escluso dal linguaggio, si vede precluso anche «l’accès au statut de “je”, de sujet du langage et du rapport à l’autre inscrit dans cet acte» (Zarifian, 1996, p. 29). Gli operai tradizionali non sono soggetti comunicanti ma oggetti di comunicazione: «Ils n’ont pas droit à la parole, ils n’ont pas accès a une corrélation de subjectivité, mais on (du côté de la direction) parle d’eux» (Ibidem).

Nella sua disamina Zarifian, però, non può non riconoscere l’esistenza di un «langage ouvrier» (Ivi, p. 30), ovvero di un gergo operaio impiegato in contesto di lavoro già prima dell’avvento del toyotismo, dunque, anteriore alla nouvelle

productivité basata, secondo il sociologo francese, sulla svolta in senso

comunicativo dell’agire strumentale. Ecco come l’autore introduce l’argomento:

Il est certain, et personne ne pourrait sérieusement le contester, que se développent, dans les ateliers, sur les chantiers, des jeux de langage entre ouvriers, avec leurs règles, leurs mots, leurs significations. “Passe-moi le 23” (23 désigne un outil particulier). Ces jeux de langage sont engagés dans des actions, dans des actes de travail (Ivi, p. 30).

Sebbene nel taylor-fordismo sia in uso un gergo di fabbrica, l’esclusione dell’operaio classico dal linguaggio permane inalterata; il ruolo del linguaggio prima del divenire linguistico del lavoro, per Zarifian, non attenua la separazione tra programmazione ed esecuzione, perché si tratta di un linguaggio che si giustappone alla poiesis umana senza per ciò stesso modificarne la struttura: «l’existance du langage spécifique d’atelier se concilie parfaitement avec l’exclusion dont nous avons parlé» (Ivi, p. 31). In coerenza con le norme del paradigma taylor-fordista, Zarifian qualifica il linguaggio operaio come «lacunaire et clandestin» (Ivi, p. 30), per concludere affermando che «l’existence empirique de ce langage ne modifie pas le fait que le langage légitime de l’organisation, dans le modèle classique, se constitue, se déploie du coté de la direction» (Ivi, p. 31).

La formula con cui Zarifian sintetizza il gergo di fabbrica dell’operaio tradizionale – «Passe-moi le 23» – riporta alla mente il famoso esempio di

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Wittgenstein presentato nel § 2 delle Ricerche filosofiche; appare del tutto ragionevole analizzare l’esempio di Wittgenstein al fine non solo di gettare nuova luce su quello di Zarifian, ma anzitutto per disporre di un’immagine che aiuti ad afferrare il livello antropologico della relazione tra linguaggio e lavoro. L’orizzonte wittgensteiniano infatti trascende il concetto di lavoro nel senso capitalistico, ma diventa utile richiamarlo allorché si necessita di una teoria in grado di illustrare alcuni caratteri fondamentali del linguaggio umano. Attraverso questo rimando da Zarifian a Wittgenstein, torna a farsi strada l’idea già incontrata nelle lezioni jenesi del giovane Hegel (cfr. Infra, capitolo I) secondo cui il rapporto tra linguaggio e lavoro non è un’invenzione del capitalismo, bensì è un fenomeno che attiene al processo di umanizzazione42; ma, va aggiunto, nel capitalismo contemporaneo questo fenomeno antropologico assume una forma storicamente determinata perché sussunto sotto precisi rapporti di produzione.

L’esempio dei muratori del § 2 delle Ricerche si inscrive nella critica alla teoria della denotazione cui sono dedicati, secondo la scansione di Voltolini (1998, p. 11), i §§ 1-64; Wittgenstein muove dallo schema elaborato da Agostino di Ippona (Confessioni, I, 8) che assimila le parole ai nomi e i significati agli oggetti e vi contrappone un modello di tipo «prassiologico» (Voltolini, 1998, p. 40) in cui vale la costellazione giochi linguistici – prassi – forme di vita (cfr. Mazzeo, 2013, pp. 55-70). Il passo wittgensteiniano è il seguente:

Immaginiamo un linguaggio per il quale valga la descrizione dataci da Agostino: questo linguaggio deve servire alla comunicazione tra un muratore, A, e un suo aiutante, B. A esegue una costruzione in muratura; ci sono mattoni, pilastri, lastre e travi. B deve porgere ad A le pietre da costruzione, e precisamente nell’ordine in cui A ne ha bisogno. A questo scopo i due si servono di un linguaggio consistente delle parole: ‘mattone’, ‘pilastro’, ‘lastra’, ‘trave’. A grida queste parole; – B gli porge il pezzo che ha imparato a portargli quando sente il grido. – Considera questo come un linguaggio primitivo completo.

Per comodità l’esempio di Wittgenstein sarà indicato d’ora in poi con l’espressione «Lastra», essa provvede a sintetizzare l’attività linguistica e

42 Istruttivo fin dalla copertina è, in questo senso, il recente volume di Mazzeo (2016), dedicato alla nozione di uso in Wittgenstein, che reca il titolo Il bambino e l’operaio.

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lavorativa che si svolge sul cantiere tra il muratore A e il suo aiutante B; con ogni evidenza, nell’esempio, pronunciare la parola ‘lastra’ è «una forma abbreviata della proposizione ‘Portami una lastra’» (Wittgenstein, 1953, § 19), o anche delle proposizione ‘Passami una lastra’, ‘Portagli una lastra’ (cfr. Ivi, § 20). In questa ottica è lecito supporre che ‘Lastra’, ‘Passami una lastra’ e ‘Passe-moi le 23’ siano proposizioni apparentate, ovvero che tra esse sussistano «somiglianze di famiglia» (Ivi, § 67).

L’interpretazione di «Lastra» si articola in almeno due momenti che, con Wittgenstein (Ivi, § 23), possiamo designare come il livello dell’attività e il livello della forma di vita (cfr. Voltolini, 1998, pp. 40-41). Nella sfera dell’attività emerge sul piano dei comportamenti umani osservabili che il linguaggio non è separabile da una qualche pratica non direttamente linguistica, qual è quella del costruire case in muratura; la forma di vita si spinge invece in un luogo meno appariscente, cioè sulla soglia dell’antropogenesi, e consiste in un «gruppo concatenato di attività corporee e linguistiche» (Mazzeo, 2013, p. 66) tale da istituire la condizione di possibilità di ciascuna attività umana composita che intreccia compiti non linguistici e attività verbali come pesare o misurare la lastra prima di impiegarla nella costruzione della casa.

L’attività. «Lastra» è un gioco linguistico primitivo che non illustra un

comportamento basato sulla descrizione ma un’attività imperniata sul comando: «nella pratica dell’uso del linguaggio (2) – chiarisce lo stesso Wittgenstein (1953, § 7) in riferimento al § 2 – una delle parti grida alcune parole e l’altra agisce conformemente ad esse». Recentemente Lo Piparo (2014, p. 82), in uno studio dedicato al rapporto tra Wittgenstein e il Gramsci linguista su temi inerenti la filosofia della prassi e il linguaggio, ha commentato: «come definire le parole ‘mattone’, ‘pilastro’ ecc.? Non sono designatori, ma comandi ovvero norme di comportamento: a ciascuna di esse corrisponde un’azione». «Lastra» è nelle

Ricerche il gioco linguistico che raffigura sia il lavoro degli operai sia

l’apprendimento del bambino:

Tali forme primitive del linguaggio impiega il bambino quando impara a parlare. In questo caso l’insegnamento del linguaggio non è spiegazione, ma addestramento

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Possiamo anche immaginare che l’intiero processo dell’uso delle parole, descritto nel § 2, sia uno di quei giuochi mediante i quali i bambini apprendono la loro lingua materna (Ivi, § 7).

Nell’orizzonte wittgensteiniano l’operaio e il bambino rappresentano due figure di addestramento: «il linguaggio primitivo e operaio cui si riferisce Wittgenstein mette in evidenza questo fenomeno antropologico: per apprendere gli esseri umani fanno insieme cose parlando» (Mazzeo, 2013, p. 60). I termini della coppia operaio-bambino non sembrano però completamente sovrapponibili: nell’operaio, inclusi i muratori di Wittgenstein e il tipo classico descritto da Zarifian, il processo di addestramento è finalizzato alla poiesis; nel bambino, invece, il comando e l’attività a esso conforme sono orientati all’apprendimento di una lingua, ovvero anzitutto allo svolgimento di una praxis. Nel lessico di Wittgenstein (1953, § 7):

Nella pratica dell’uso del linguaggio (2) una delle parti grida all’altra alcune parole e l’altra agisce conformemente ad esse; invece nell’insegnamento del linguaggio si troverà questo processo: L’allievo nomina gli oggetti. Cioè pronuncia la parola quando l’insegnante gli mostra quel pezzo. – Anzi, qui si troverà un esercizio ancora più semplice: lo scolaro ripete le parole che l’insegnante gli suggerisce. – Entrambi questi processi somigliano al linguaggio.

Con Wittgenstein è verosimile concepire l’operaio classico come colui che si avvale nella sua attività delle forme linguistiche che impiega il bambino quando impara a parlare; la figura operaia tradizionale alla Zarifian – «Passe-moi le 23» – attinge nel suo lavoro ad alcuni processi tipici dell’apprendimento del linguaggio nell’infanzia.

Se il quadro delineato finora è adeguato allora bisogna dedurre che diverso è il panorama che si profila nel tardo capitalismo. Nel post-taylorismo il dato antropologico della relazione tra linguaggio e lavoro, che certo si adatta tanto all’operaio classico quanto al lavoratore di tipo nuovo, poiché entrambi seguono la linea filo e ontogenetica dell’Homo sapiens, è prelevato dall’antropogenesi e

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inserito nel divenire della storia. Nella nouvelle productivité il nesso originario linguaggio-lavoro appare sulla superficie dei fenomeni osservabili perché diviene il principale elemento intorno a cui è organizzata la produzione della ricchezza. Se è certo che «Lastra» si addice di più all’operaio tradizionale, ciò non implica che anche nella varietà dei giochi linguistici della fabbrica postfordista non ci si possa avvalere di espressioni di quel genere. Salvo però precisare che nel postfordismo il comando non è direttamente finalizzato alla poiesis, come invece accade nel taylorismo, ma anzitutto al miglioramento dell'attività linguistica messa al lavoro, è cioè finalizzato alla praxis. In questo senso, forse, l'operaio contemporaneo risulta ancora più simile al bambino di quanto già lo sia l’operaio classico.

La forma di vita. Mantenendo fissa l’attenzione su «Lastra» in quanto gioco

linguistico primitivo, può essere utile mettere in fila alcuni estratti assai noti e cruciali dei §§ 7, 19 e 23 delle Ricerche:

1. chiamerò giuoco linguistico […] tutto l’insieme costituito dal linguaggio e dalle attività di cui è intessuto (Wittgenstein, 1953, § 7).

2. Immaginare un linguaggio significa immaginare una forma di vita (Ivi, § 19).

3. la parola “giuoco linguistico” è destinata a mettere in evidenza il fatto il parlare un linguaggio fa parte di un’attività, o di una forma di vita (Ivi, § 23).

Un modo coerente di afferrare il concetto di forma di vita43 sembra essere

quello di intenderlo come lo strumento epistemologico in grado di mettere fine al circolo ermeneutico sul significato dei comportamenti linguistici e delle pratiche non verbali che sono loro connesse: «lo strato di roccia contro il quale la vanga delle giustificazioni e interpretazioni si piega non è una super-interpretazione o una super-regola ma una forma di vita» (Lo Piparo, 2014, p. 86). Per Mazzeo (2013, p. 67) «un buon esempio di cosa costituisce la forma di vita degli esseri umani è rappresentato dalle attività che questi sono in grado di fare: come parlano e come contano, ridono o piangono, giocano o muoiono, uccidono o perdonano».

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Tra forma di vita e attività si instaura un rapporto di tipo circolare secondo cui certe attività sono rappresentative di una certa forma di vita e, viceversa, una forma di vita è il presupposto per lo svolgimento di un complesso di attività. Nella forma di vita umana si danno attività come «Lastra» in cui, l’abbiamo visto, il linguaggio non è separabile da attività non linguistiche. Generalizzando si può proporre che nella forma di vita umana il linguaggio sia non separabile da attività non linguistiche tanto del genere della praxis (es. contare, andare in bicicletta, parare un calcio di rigore) quanto del genere della poiesis (es. ritrarre la persona amata, costruire una casa, fabbricare uno spillo).

Per ciò che concerne più da vicino la ricerca in corso, il linguaggio è, anzitutto, non separabile dalla poiesis. Questo rapporto di non separazione equivale a uno sfondo antropologico che si mantiene costante al variare della storia. Nel tardo capitalismo proprio questo sfondo invariante assume una configurazione storicamente determinata perché è organizzato secondo precise norme e precisi rapporti di produzione. In contraddizione con la formula rossilandiana del

linguaggio come lavoro (cfr. Rossi-Landi, 1968; Infra, capitolo IV) una delle

ipotesi di questo studio è che la forma assunta dal nesso linguaggio-poiesis nel post-taylorismo sia quella del lavoro come linguaggio.