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Lavoro linguistico e call center

IV. Sul divenire poiesis della praxis: lo schema omologico della produzione in Ferruccio Rossi-Land

2. Per una critica alla tesi di Rossi-Land

2.3 Lavoro linguistico e call center

Un importante settore economico in cui, invece, la categoria di lavoro linguistico potrebbe funzionare è quello dei call center. Nei centri di chiamata si

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registra l’estensione dei criteri della poiesis nell’ambito della praxis, l’agire comunicativo diviene comportamento strumentale e perciò stesso si presenta come oggetto quantificabile. Seguendo il recente studio sociologico curato da Paolo Caputo (2013)68 sono evidenziabili le seguenti caratteristiche che tutto sommato qualificano tanto i call center inbound (chiamate in entrata) quanto le piattaforme outbound (chiamate in uscita):

• la comunicazione è sottoposta ad addestramento/formazione ed è comandata dalle macchine informatiche che gestiscono il flusso delle chiamate;

• la conversazione è standardizzata attraverso il rigido impiego di script (lo schema prevede un’apertura, la scoperta dei bisogni, l’argomentazione, la gestione delle obiezioni, la chiusura);

• il linguaggio verbale è il mezzo con cui produrre informazioni e conoscenze al fine chiudere contratti utili a scambiare beni e/o servizi. Nel saggio di apertura Caputo (Ivi, pp. 28-29), discutendo della «sussunzione reale del lavoro cognitivo-relazionale», riassume così gli attributi del lavoro linguistico degli addetti nelle fabbriche della comunicazione:

Il lavoro degli operatori è, generalmente, un’attività di routine e sottoposto ai rigidi canoni del taylorismo (al pari dell’operaio di linea di una fabbrica automobilistica, un operatore è facilmente sostituibile) a cui si affiancano nuove modalità di sfruttamento e controllo del lavoro tipiche della lean production (lavoro in team, partecipazione attiva dei lavoratori al processo produttivo, ecc.). In conclusione, le tecnologie elettronico-informatiche e i software impiegati all’interno dei contact center servono per sussumere, controllare e misurare il lavoro cognitivo-relazionale

68 Fin dal titolo, Call center. La morte della parole, il volume dà conto dello svilimento del linguaggio allorché funge da mezzo di produzione. La morte non è, tuttavia, l’immagine più adeguata con cui afferrare le trasformazioni in atto nel lavoro contemporaneo. Se è vero che la poiesis abbisogna di agire comunicativo allora le parole sono chiamate a un surplus di attività, ora più che mai esse sono vive e operose mantenendo fede ai caratteri che qualificano il loro essere, a cominciare dall’assenza di prodotti esterni al loro agire. Il volume, realizzato da un gruppo di sociologi dell’Università della Calabria, ha, tra gli altri, il merito di raccogliere saggi di autori che lavorano o hanno lavorato nelle fabbriche della chiamata presenti sul territorio regionale. In Italia, secondo le stime di Assocontact (Associazione Nazionale dei Contact Center in Outsourcing), si contano 80mila addetti; 15mila solo in Calabria. I media italiani hanno soprannominato Catanzaro la «Bangalore d’Italia», a causa della massiccia presenza di aziende di servizi delocalizzate in una zona depressa e con forza-lavoro a basso costo proprio come avviene nella megalopoli indiana.

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degli operatori. Così che la sussunzione reale del lavoro intellettuale al capitale, in questo caso, passa attraverso i vari software, gli script, l’adeguamento e la costante pressione del flusso informatico. In poche parole, l’espropriazione del sapere professionale e delle conoscenze pratiche del teleoperatore passa attraverso la creazione di software e di procedimenti (attuati per mezzo della tecnologia e della scienza applicate alla produzione) che eliminano, a poco a poco, il contenuto comunicativo comprensivo che caratterizza la relazione di servizio.

L’aspetto più interessante sottolineato da Caputo arriva proprio nelle ultimissime righe allorché connette il divenire poiesis della praxis con la creazione di opere intellettuali separabili dal lavoratore e dall’attività che egli esegue: «le conoscenze si oggettivano, si reificano, si autonomizzano, si separano dal lavoratore e gli si contrappongono come sapere estraniato, come prodotto e mezzo di produzione del capitale: il prodotto del lavoro intellettuale non è più inseparabile dal produttore e dall’atto del produrre» (Ivi, p. 29). Nei call center il virtuosismo della comunicazione verbale non solo è produttivo di valore e plusvalore, poiché è organizzato capitalisticamente, ma è anche fonte di prodotti che sopravanzano l’operatore e il suo processo lavorativo. Contrariamente allo schema marxiano presentato nel Capitolo VI inedito (cfr. Marx, 1933, pp. 61-71), in cui i lavori intellettuali – che comprendono tra gli altri gli insegnanti, gli oratori, i preti ma anche i medici, i ballerini, i pianisti, i camerieri – proprio perché senza opera risultano essere le attività meno produttive per il capitale, nelle più avanzate aziende specializzate in servizi di comunicazione la mente linguistica diventa produttrice di saperi che si sostanziano in contratti di compravendita. E più il linguaggio produce contratti in tempi sempre più brevi, allungando la giornata lavorativa oltre il tempo necessario alla riproduzione della forza-lavoro a mezzo di salario, più la produzione di valore e plusvalore aumenta.

Il call center, inteso come luogo in cui si taylorizza il linguaggio69, non svolge però il ruolo della parte per il tutto, non è cioè la sineddoche del lavoro nel tardo

69 Sulla taylorizzazione del linguaggio nei call center sono molto utili gli studi di Josiane Boutet (1998; 2001; 2008), condotti nell’ambito della linguistica del lavoro in Francia (cfr. Infra, capitolo secondo, § 4). In Boutet (2008, p. 143) l’autrice scrive: «L’activité langagière des conseillers y est généralement organisée de façon taylorienne par un encadrement strict des dialogues professionels au moyen de scripts, par un strict contrôle de temps – généralement une moyenne située entre 60 secondes et 3 minutes par appel dans tels centres – et par une surveillance rigoreuse des appels.

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capitalismo. Per comprendere la metamorfosi del lavoro vivo negli ultimi trenta o quarant’anni occorre prestare la massima attenzione alla linguisticizzazione del taylor-fordismo, ovvero ai lavori che prendono a modello il linguaggio anziché al linguaggio che si omologa al lavoro. Vero banco di prova per l’esame della svolta in senso linguistico dell’economia non è l’industria dei servizi né l’industria culturale, bensì sono le fabbriche di automobili e il settore dell’agroalimentare.

L’emblema del superamento del taylor-fordismo è lo stabilimento Fiat di Melfi70, una delle più avanzate fabbriche integrate del panorama capitalistico contemporaneo, sorta agli inizi degli anni Novanta nel Sud d’Italia, in Basilicata, con l’obiettivo di produrre auto facendo interagire umani e robot di ultima generazione secondo la dottrina del toyotismo (cfr. Ohno, 1978; Coriat, 1991; Infra, secondo capitolo, § 1). Nel suo Viaggio a Melfi. La Fiat oltre il fordismo Domenico Cersosimo (1994, p. 87) non ha solamente visto «dialogare gli operai», ma ha documentato come

la catena produttiva […] si alfabetizza. Agli operai è adesso richiesto di scrivere e leggere, di saper interpretare un istogramma, una tabella a doppia entrata, un diagramma. Ma anche di segnalare per iscritto difetti, suggerimenti e soluzioni migliorative dei prodotti, della qualità della produzione e dell’ambiente di lavoro […] La fisicità come valenza esclusiva del lavoro operaio, a Melfi è così tramontata per sempre (Ivi, p. 91).

Nel paragrafo che segue sarà interessante provare a individuare nello scrittore italiano Luciano Bianciardi (1962) l’attendibile apripista dell’inchiesta sul divenire linguistico del lavoro. Il merito di Bianciardi sta, infatti, nel cogliere la sovrapposizione tra linguaggio e lavoro nel segno del divenire praxis della poiesis e nel connettere tale modello con il virtuosismo del lavoratore, ovvero con l’immagine inedita e contraddittoria del lavoro senza opera.

L’activité verbale et le pratiques langagières des conseillers sont triplement contraintes: par la durée, par la nècessité de suivre pas à pas le script imposé, et par la surveillance des ‘coachs’». 70 Dal 2014 facente parte del gruppo FCA (Fiat Chrysler Automobiles).

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