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La tesi del capitalismo cognitivo: l’omissione della praxis

II. Lo sviluppo delle forze produttive e la vita della mente messa a valore Alcuni studi di economia, sociologia e

2. La tesi del capitalismo cognitivo: l’omissione della praxis

2.1 La nuova natura del lavoro

Negli anni Novanta del secolo scorso un gruppo italo-francese di economisti marxisti, riunito nel laboratorio I.Sy.S (Innovation-Systèmes-Stratégie) sotto la guida di Bernard Paulré, pone all’attenzione della Scuola della regolazione32

alcuni elementi teorici con cui rendere conto della rottura delle norme, delle convenzioni e delle procedure proprie del fordismo33. Uno dei temi contenuti nel

nuovo programma di ricerca, che va sotto il nome di capitalismo cognitivo, concerne le recenti trasformazioni nell’organizzazione della produzione e consiste nel sottolineare la sempre più massiccia inscrizione della conoscenza viva all’interno del processo di lavoro.

Tra i principali studi dedicati a questo programma teorico vanno certamente menzionati quelli in cui ne va della sua stessa elaborazione: Corsani et alii (2001), Corsani, Dieuaide, Azais (2001), Moulier Boutang (2002; 2007), Vercellone (2003, 2006). Insieme a questi volumi fondanti vanno indicati almeno due numeri della rivista Multitudes che hanno svolto un ruolo determinante nella progettazione e nella diffusione del progetto di ricerca: il numero 2 del 2000 dal

32 Il testo che fonda l’École de la régulation è Aglietta (1976). Per un primo approccio alla ricezione italiana della teoria della regolazione si può fare riferimento a Fumagalli e Lucarelli (2007), che proprio all’inizio del loro contributo affermano: «Per teoria della regolazione si intende un programma di ricerca nel campo della teoria economica e della politica economica, sorto in Francia all’inizio degli anni ‘70. Fu allora che alcuni economisti osservarono la rottura delle principali regolarità riguardanti le tendenze di lungo periodo del sistema economico fordista. Il modo di regolazione rappresenta il concetto cardine di questa programma di ricerca; pertanto l’attenzione del ricercatore è rivolta innanzitutto all’insieme delle regole e delle procedure (norme, consuetudini, leggi) che assicurano il funzionamento e la capacità di durare del processo di accumulazione in un sistema capitalistico di produzione» (Fumagalli e Lucarelli, 2007, p. 2). 33 Così Fumagalli e Lucarelli (2007, p. 21) tratteggiano il profilo della linea di ricerca sul capitalismo cognitivo: «Il tipo di approccio che caratterizza tale analisi è così un insieme di teoria regolazionista e metodologia post-operista: esso si colloca nell’alveo di quel pensiero marxiano eterodosso che si rifà al filone operaista della sociologia italiana degli anni ’60 e che ha consentito un rinverdimento dei concetti tradizionali del pensiero marxiano alla luce della lettura dei Grundrisse di Marx e alla ripresa del concetto di general intellect. In tal senso definiamo i teorici del capitalismo cognitivo dei regolazionisti conflittuali, in quanto a differenze dei regolazionisti istituzionali, pongono l’accento sul ruolo motore del rapporto capitale/lavoro per spiegare la mutazioni delle strutture su cui poggia l’accumulazione del capitale e delle istituzione che ne assicurano la riproduzione allargata».

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titolo Nouvelle économie politique e il numero 10 del 2002 interamente rivolto al

Capitalisme cognitif. A valle e a monte di questo blocco di opere, sebbene non

necessariamente collegate con le tesi del capitalismo cognitivo ma comunque facenti parte del medesimo milieu, si collocano le inchieste di Bologna e Fumagalli (1997) sul lavoro autonomo e di Lazzarato (1997) e Gorz (2003) su lavoro e capitale immateriali; poi ancora i contributi di Fumagalli (2007) su bioeconomia e capitalismo cognitivo e di Fumagalli (2015) sulla vita messa al lavoro (La vie mise au travail nell’originale francese).

Un modo appropriato di intendere la tesi del capitalismo cognitivo in relazione alla metamorfosi del ciclo lavorativo equivarrebbe a considerare non tanto e non solo l’incremento dei modelli scientifici oggettivati nelle macchine né il potenziamento della parte intellettuale del lavoro a discapito di quella manuale, bensì innanzitutto e perlopiù l’esborso sempre maggiore della generale capacità conoscitiva umana che consegue un’immediata realtà empirica nelle attività vive e faticose dei soggetti lavoratori. In questa prospettiva una delle definizioni34 più mature del concetto di capitalismo cognitivo connesso con la nuova natura del lavoro è fornita da Vercellone e Lucarelli (2014, p. 21):

In sum, the concept of cognitive capitalism can be defined as follows: a new “historical system of accumulation” in which the cognitive of dimension of labor becomes the dominant principle of value creation, whereas the main form of capital becomes the so-called immaterial and intellectual one.

34 Una delle primissime esposizioni della tesi del capitalismo cognitivo è contenuta in Corsani et alii (2001, p. 9): «Par capitalisme cognitif nous désignons un régime d’accumulation dans lequel l’objet del’accumulation est principalement constitué par la connaissance qui tend à être soumise à une valorisation directe, et dont la production déborde les lieux traditionnels de l’entreprise. Ce régime se manifeste empiriquement par la place importante de la recherche, du progrès technique, de l’éducation, de la circulation de l’information, des systèmes de communication, de l’innovation, de l’apprentissage organisationnel et du management stratégique des organisations». Un esempio di definizione presa dalla letteratura anglosassone è quella formulata nell’introduzione al volume curato da Peters e Bulut (2011, p. XXXII): «In the new regime of labor processes, knowledge and skills occupy the central place with an accent on education, training, and retraining and infrastructures that promote and facilitate new forms of learning and sharing ides with greater worker individualization, discretion and judgement […] Worker subjectivities are intricately related to creation of value through a new political economy of knowledge and learning that ephasizes consuption (e.g., reading, browising, searching) as much as production, and personal investment in one’s own cognitive labor».

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Classico è ormai lo schema con cui Vercellone (2006, p. 22) analizza ciascuno dei due termini – ‘capitalismo’ e ‘cognitivo’ – preso singolarmente, insistendo sull’aggettivo ‘cognitivo’ come ciò che qualifica il lavoro nel postfordismo:

1) Il termine capitalismo designa la permanenza, nella metamorfosi, delle variabili fondamentali del sistema capitalistico: in particolare, il ruolo guida del profitto e del rapporto salariale o più precisamente le differenti forme di lavoro dipendente dalle quali viene estratto il plusvalore;

2) l’attributo cognitivo mette in evidenza la nuova natura del lavoro, delle fonti di valorizzazione e della struttura di proprietà sulle quali si fonda il processo di accumulazione e le contraddizioni che questa mutazione genera.

In questo orizzonte la teoria del capitalismo cognitivo mette in evidenza una doppia dialettica che si sviluppa all’interno del sistema dominante di produzione: i rapporti tra sapere vivo e sapere morto e tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro. Entrambe queste opposizioni sono intese come l’esito della metamorfosi del capitale che dalla fine degli anni ’70 sarebbe entrato in una terza fase, quella appunto del capitalismo cognitivo, dopo aver attraversato uno stadio mercantile tra il XVI e la fine del XVIII secolo e uno stadio industriale in senso manchesteriano nel 1800 e fordista-taylorista fino al secondo dopoguerra (cfr. Vercellone, 2006; Moulier Boutang, 2007). Riprendendo due argomenti marxiani (cfr. Vercellone, 2006, pp. 39-57), la terza età del capitalismo è detta del general

intellect (cfr. Marx, 1856-1857, p. 403) e/o della sussunzione formale (Marx,

1933, pp. 42-61). Nella tappa cognitiva il capitale assoggetterebbe a sé fattori dotati di teorie e tecniche lavorative essenzialmente indipendenti da quelle capitalistiche e li sottometterebbe solo in virtù di un rapporto salariale; questi elementi fanno capo al complesso di attitudini ed energie intellettuali che dimorano nella sfera della riproduzione o tempo di non-lavoro e che istituiscono il terreno su cui la cooperazione cognitiva si oppone al sapere morto della scienza incorporata nelle macchine.

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2.2 Tre problemi intorno alla nozione di lavoro cognitivo

La nozione di lavoro cognitivo, intesa come ciò che meglio denoterebbe la nuova natura del processo lavorativo nel tardo capitalismo, sembra lasciare aperte tre questioni il cui merito non è quello confutare la tesi del capitalismo cognitivo bensì di mirare a un’idea più coerente di conoscenza come fattore produttivo. Ciascuno dei tre problemi qui elencati ruota intorno alla parola ‘cognitivo’ di cui non viene messa in dubbio la centralità nel registrare alcuni dei più vistosi mutamenti dell’operosità umana dai primi anni Ottanta a oggi; un dato che è censito non solo dal pensiero critico di radice marxista ma anche da esponenti delle scienze economiche non eretiche come l’economia della conoscenza35 (Howitt, 1996; Foray, 2000; 2004). Il dubbio che invece sorge al cospetto del termine ‘cognitivo’, nell’uso che ne fa lo schema di ricerca qui in esame, riguarda il contenuto semantico della parola, cioè il suo significato nella misura in cui si mostrerebbe ambiguo, indeterminato, se non addirittura ellittico.

1) Più che essere una questione la prima è una provocazione e attiene al rischio – evidentemente corso senza volerlo – di confermare attraverso la categoria del lavoro cognitivo il primato del lavoro intellettuale sul lavoro manuale. Anziché andare «verso un XXI secolo postsmithiano», come evoca Vercellone (2006, prima parte), l’inconveniente sembra essere precisamente quello di riproporre la classica divisione tra mente e mano, assegnando alla prima un posto di priorità sulla seconda.

2) Il secondo argomento muove dall’interrogativo formulato da Caffentzis (2011, p. 38) a proposito della mancanza di una definizione adeguata della nozione di conoscenza:

35 Così Fumagalli e Lucarelli (2007, p. 18) riassumono il cuore del dibattito che oppone il programma di ricerca sul capitalismo cognitivo agli studi sull’economia della conoscenza: «Si dimentica che la novità dell’attuale congiuntura storica non sta tanto nella semplice diffusione delle nuove ICT, né nella rilevanza degli intagibles, quanto piuttosto in una struttura socio- economica in cui la conoscenza è sempre più subordinata e inquadrata nelle forme istituzionali che definiscono l’accumulazione del capitale. Proprio da questa “dimenticanza”, secondo i teorici del capitalismo cognitivo, deriva la difficoltà di definire con precisione la nozione di economia fondata sui saperi e il senso e l’importanza della transizione postfordista». In questa ottica i teorici del capitalismo cognitivo rilevano il tenore affatto apologetico delle conclusioni cui giungono gli specialisti dell’economia della conoscenza.

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The problem is that this problematic notion is not problematized […] What, indeed, is knowledge? […] Is truth a necessary condition of knoweldge? What is a true proposition? Is induction a knoweldge producing process? Is any scientific theory ever completely falsified or confirmed? Are mathematical propositions necessarily true? Is scientific knoweldge the paradigm of all knoweldge; if not, what, in anything, is?

Nell’esemplificare l’indeterminatezza semantica del concetto di conoscenza impiegato dai teorici del capitalismo cognitivo, Caffentzis ricorre all’immagine di un libro di cucina sui sughi italiani che presenta ricette del tutto disgustose oppure al modello di una trappola per topi cui sistematicamente sfugge ogni singolo ratto. L’istanza critica risiede, dunque, nel chiedersi quali sono le procedure gnoseologiche mobilitate dall’odierna produzione capitalistica: il ragionamento controfattuale, l’induzione, la deduzione, l’abduzione? La tesi del capitalismo cognitivo, lasciando il quesito senza risposta, fornirebbe una nozione vuota di conoscenza, inefficace tanto quanto il manuale di cucina e la trappola per topi, ovvero incapace di individuare la tipologia di schemi e processi mentali che competono alla nuova natura del lavoro36.