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Il triangolo della comunicazione

II. Lo sviluppo delle forze produttive e la vita della mente messa a valore Alcuni studi di economia, sociologia e

3. La prospettiva sociologica di Philippe Zarifian: l’identità tra comunicazione e lavoro

3.2 Il triangolo della comunicazione

Con la figura geometrica del triangolo Zarifian (1996) intende rappresentare il flusso comunicativo che si instaura all’interno delle nuove organizzazioni del lavoro. Con un suo gesto tipico il sociologo francese alimenta le proprie tesi ricorrendo ai dati empirici che raccoglie grazie a inchieste condotte sul campo; più nello specifico qui si tratta di uno studio eseguito nel 1992 in collaborazione con Didier Claysen, nell’ambito di una missione dell’ANACT (Agence Nationale

pour l’Amélioration des Conditions de Travail), presso un’azienda del settore

agroalimentare. Col triangolo della comunicazione Zarifian riassume le maggiori novità che ha potuto rilevare analizzando il processo produttivo e confrontandosi direttamente con i soggetti lavoratori.

Prima di darne conto sembra opportuno fornire alcune informazioni preliminari utili a contestualizzare la figura medesima nel quadro degli argomenti che più interessano questa ricerca. Il triangolo della comunicazione è, innanzitutto, il

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risultato di uno studio condotto su un’azienda la cui riorganizzazione del ciclo lavorativo, risalente alla metà degli anni ’80, è da inserire a pieno titolo tra i tentativi pioneristici di ristrutturazione del lavoro nel capitalismo contemporaneo. Nonostante la sua precocità il modello era carico di futuro tanto da indurre Zarifian ad avvertire il lettore invitandolo a non cedere allo scetticismo e a riconoscere l’importanza storica di simili cambiamenti (cfr. Ivi, p. 70). Il triangolo della comunicazione offre, inoltre, uno schema applicabile a qualsivoglia settore della produzione, ovvero non dipende dalla specifica tipologia del processo produttivo bensì ha valore generale. Infine, la figura mostra – rende spazialmente osservabile secondo punti e linee – l’inserzione di attività connesse con il linguaggio all’interno della sfera del lavoro e, in conseguenza di ciò, esibisce l’attitudine dello scienziato sociale a descrivere l’agire strumentale con il vocabolario dell’agire comunicativo.

Il triangolo della comunicazione non è illustrato fin da subito ma è introdotto dopo quasi quindici pagine usate per presentare i nuovi obiettivi della produzione e la tipologia degli attori coinvolti nel loro conseguimento. Tra gli obiettivi, oltre a elementi propriamente economici come il binomio diminuzione dei costi & aumento della produttività, Zarifian individua anche l’allestimento di circuiti atti alla circolazione delle informazioni e «le dévoleppement d’un nouveau mode de management, le dialogue, la concertation, le sens du travail en équipe, aux différents niveaux de la hiérarchie, devenant la façon normale d’élaborer et de suivre les décisions» (Ivi, p. 72). Quanto agli attori del processo l’autore distingue l’agent de maîtrise d’exploitation (AM), il pilote de ligne e il responsable

technique de groupe (RTG). Sono essi a occupare ciascuno dei vertici del

triangolo (Ivi, p. 82):

AM

AM e RTG AM e Pilotes

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Ognuno dei tre segmenti di cui si compone la figura equivale a un flusso comunicativo bidirezionale, mentre la funzione dei soggetti posti ai vertici è assimilabile a una condotta linguistico-relazionale.

Il ruolo del responsabile tecnico, pur essendo inserito in una dimensione interattiva tanto con l’AM quanto con il pilote, è quello che, nella nuova organizzazione del lavoro, subisce meno trasformazioni perché continua a fare affidamento su abilità e conoscenze direttamente connesse con la scienza oggettivata nelle macchine. L’AM e il pilote, al contrario, includono nel loro operare anche capacità e saperi non formalizzati che attengono alla sfera dell’interazione dialogica. Così per ciò che concerne l’AM, in quanto vero e proprio caposquadra, è certamente indispensabile che egli possieda sia la competenza tecnica finalizzata a migliorare l’efficacia della linea produttiva sia la l’esperienza necessaria in materia di gestione del budget e programmazione degli investimenti, ma innanzitutto e perlopiù egli è chiamato a svolgere «un rôle essentiel d’animation et de développement des hommes, de gestionnaire des ressources humaines et de réalisation d’arbitrages en cas de tensions entre les individus, rôle qui peut à l’avenir se complexifier si l’on va vers une gestion plus fine des compétences» (Ivi, pp. 81-82).

Il principale interlocutore dell’AM è il pilote, cioè colui su cui riposa la maggiore novità registrata dallo schema di Zarifian. Il pilote rappresenta l’evoluzione dell’operaio base impegnato nella produzione diretta: nel nuovo processo lavorativo, in larga parte automatizzato e informatizzato, con lo strumento di lavoro e con il suo oggetto egli tende a non aver più un rapporto monologico basato sulla catena dei mezzi e dei fini. Due sono infatti le sue principali caratteristiche. In primo luogo il pilote si misura costantemente con ciò che in Zarifian (1990) è l’événement, cioè l’imprevisto – un guasto alle macchine, un problema segnalato dal cliente, l’eccessiva perdita di materia prima – difronte al quale occorre attivarsi ricorrendo più agli espedienti della praxis che alle procedure della poiesis41. In secondo luogo il pilote, oltre a essere un esperto

41 In un volume successivo a Travail et communication l’autore distingue tra l’attività finalizzata all’operazione produttiva (nel senso di poiesis) e l’attività che si compie nell’azione (nel senso di praxis) (Zarifian, 2001, pp. 209-214). Sotto questa luce egli sostiene che nel tardo capitalismo l’operazione produttiva è assorbita dai dispositivi tecnici automatizzati; al contrario, il lavoro vivo umano trova nell’azione il suo carattere essenziale: «Or, lorsqu’on observe factuellement la réalité

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mécanicien-machiniste, «est en permanence exposé à la publicité de ce qu’il fait,

il agit et parle dans une sorte de micro-espace public […] Il ne doit pas simplement argumenter, il doit justifier» (Zarifian, 1996, p. 79). Il soggetto lavoratore abita la sfera dell’interazione, lungi dall’essere isolato egli vive nella relazione con gli altri, sicché il suo comportamento è di nuovo ascrivibile all’ambito della praxis anziché a quello della poiesis.

L’operatività che contraddistingue il pilote pare perciò poter essere descritta attraverso alcune categorie da inscrivere nella filosofia della prassi: in particolare conviene richiamare tanto la costellazione concettuale di origine aristotelica possibile-contingente-phronesis quanto l’immagine arendtiana dello sguardo

altrui.

La modalità del possibile e la phronesis. È noto che, a partire da Aristotele

(Analitici Primi, 25a1-2), la logica classica ha descritto tre ambiti ontologici e insieme logico-linguistici: la modalità del reale, la modalità del necessario e la modalità del possibile. Il primo modo, detto anche categoriale o assertorio, esprime una concezione denotativa del rapporto tra linguaggio e mondo, attribuendo il primato all’affermazione anziché alla negazione (cfr. Aristotele,

Dell’espressione, 17a7-8). Il secondo e il terzo modo esprimono due prospettive

differenti definibili per opposizione: ‘è necessario essere’ equivale a ‘non è possibile non essere’ e ‘è possibile essere’ equivale a ‘non è necessario non essere’ (cfr. Ivi, 22a15-30; cfr. Hughes e Cresswell, 1968, p. 23). L’enunciato, dunque, la modalità logica e ontologica che sembra meglio designare il nuovo contesto di lavoro illustrato da Zarifian è l’‘è possibile che’. L’événement, ovvero l’imprevisto, lungi dal registrare una corrispondenza reale tra parole e cose, o più in generale tra schemi d’azione e ambiente, non è neanche sinonimo di ‘necessario’ perché è votato alla contingenza, cioè a ciò che può essere

diversamente da come è. Poiché l’agire e il fare, secondo lo schema aristotelico

dell’Etica Nicomachea, non vertono su ciò che non può essere diversamente,

du travail moderne, quel que soit le secteur, on constate un mouvement de fond de longue période consistant: à faire absorber les séquences d’opérations routinisables, et à haut débit, par des dispositifs techniques automatisés et/ou par des applications informatiques; à déplacer la réalisation du travail humain, de l’opération vers l’action. Il ne s’agit pas plus d’opérer, mais d’agir. On puet vérifier, empiriquement, qu’un des problèmes majeurs auquel les directions d’entreprise son aujoud’hui confrontées est de parvenir à controler, non plus des suites d’opérations, mai des réseaux d’agir» (Ivi, pp. 201-201).

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l’événement, proprio perché è contingente, si inscrive a pieno titolo nel regno in cui risiedono tanto la praxis quanto la poiesis. Tuttavia, al cospetto dell’imprevisto il lavoratore delineato da Zarifian, in primis il pilote, non sembra poter replicare con un comportamento di tipo strumentale o produttivo (poiesis), bensì è chiamato a deliberare su ciò che può essere diversamente da come è, adottando i mezzi propri dell’agire comunicativo (praxis). Sotto questa luce Zarifian pare autorizzare l’impiego del concetto aristotelico di phronesis per qualificare l’azione che si svolge sul posto di lavoro. La phronesis è il sapere guida della praxis il cui scopo non è la produzione di un oggetto esterno ma l’«agire con successo», l’eupraxia, (Aristotele, Etica Nicomachea, 1140b4) secondo l’orthós lógos, il discorso corretto (Ivi, 1144b23).

Lo sguardo altrui. «Agli occhi degli altri» secondo Hannah Arendt (1958, p.

131) appare solamente colui che fa uso di discorsi e di azioni. Nel quinto capitolo della Vita activa, collocandosi nella semantica aristotelica relativa alla circolarità tra le definizioni dell’animale umano in quanto zoon politikon e zoon logon echon (Politica, 1253a3, 9-10), l’autrice evidenzia l’essenziale sinonimia tra parlare e agire e situa entrambe le facoltà nella sfera dell’azione, ovvero della praxis: «I processi dell’agire e del discorso non possono lasciare dietro di sé risultati o prodotti finali» (Arendt, 1958, p. 133). Il modello ricalca quello dell’Etica

Nicomachea e, dunque, l’azione non è dello stesso genere della produzione:

L’azione, diversamente dalla fabbricazione, non è mai possibile nell’isolamento; essere isolati significa essere privati della facoltà di agire. Azione e discorso necessitano della presenza degli altri, allo stesso modo in cui la fabbricazione necessita della presenza della natura e dei suoi materiali, e di un mondo in cui collocare il prodotto finito. La fabbricazione è circondata dal mondo con cui è in costante contatto; l’azione e il discorso sono circondati dall’intreccio e dalle parole di altre persone con cui sono in costante contatto (Ivi, 1958, p. 137).

Nella prospettiva di Arendt «agli occhi degli altri», nel «micro-espace public» dove Zarifian colloca il pilote, appare colui che parla e agisce; ma in Arendt un soggetto che parla e agisce non è affatto chi lavora, è invece un soggetto politico, la cui modalità di comportamento si conforma al concetto di praxis anziché a

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quello di poiesis. Al contrario, requisito necessario dell’operare, che in Arendt è la categoria cui ineriscono tanto l’homo faber quanto l’animal laborans, è «l’isolamento dagli altri» (Ivi, p. 156): colui che lavora non appare allo sguardo altrui perché elementi definitori della sua attività sono il materiale naturale da manipolare e l’oggetto finale in cui si esaurisce il processo; per entrambi questi elementi tanto il parlare quanto l’agire risultano superflui.

In questo quadro risalta come la descrizione del soggetto lavoratore fornita da Zarifian attinga precisamente al lessico che Arendt impiega per illustrare i comportamenti politici anziché quelli lavorativi. In più, nell’orizzonte di Zarifian non si tratta di assimilare la praxis alla poiesis, come propone Arendt (Ivi, pp. 161-169) allorché discute della «tradizionale sostituzione del fare all’agire», atta a contenere i rischi derivanti dall’azione – l’innovatività, l’imprevedibilità dell’esito, l’irreversibilità del processo –, bensì trattasi dell’esatto contrario e cioè di trasformare il fare in una modalità dell’agire.