Zhongnanhai è un luogo che suscita timore nei ci adini di Pechino. È il nome del quartiere dei «funzionari», adiacente la Ci à Proibita, collocato a ovest. La qualifica di «funzionario», in Cina, non assume lo stesso significato burocratico che ha in Occidente ma indica una vera e propria casta di ele i, quella degli alti dirigenti del Partito comunista. Il regime ha diviso i funzionari in diciasse e categorie, regolando per ciascuna, in maniera minuziosa, i privilegi e le concessioni, dal numero delle finestre e delle porte delle abitazioni, al diri o alla macchina con autista, al posto in treno e a teatro, all’abbigliamento, al cibo, alle ferie.
La principale porta di accesso a Zhongnanhai si chiama, non a caso, porta della Nuova Cina (Xinhua Men), e sopra il cancello d’ingresso, con la grafia di Mao, si può ancora leggere il suo mo o preferito: «Servire il popolo!». Appena varcato, ci si inoltra lungo viali alberati, si incontrano aiuole fiorite e ben curate, mentre ai lati troviamo i vari palazzi del potere: quelli del Consiglio di Stato e dell’articolata burocrazia del Comitato centrale. Più avanti, a raversati altri ampi spazi verdi, ci sono le residenze private.
La più imponente, va da sé, è quella di Mao, un insieme di edifici tanto maestosi quanto impenetrabili, un complesso chiamato
«giardino della generosa beneficenza», voluto dall’imperatore del XVIII secolo Qianlong. Nell’immenso parco della villa Mao ha fa o
costruire una piscina coperta, riscaldata d’inverno. C’è anche una magnifica biblioteca e un salone per le feste.
Il leader ha tante altre residenze in tu o il paese, a cominciare da una sulle «Colline della primavera di giada», la più bella località appena fuori Pechino. Le parole in Cina hanno sempre un significato e Zhongnanhai si traduce in «laghi centrali e meridionali», con riferimento ai due specchi d’acqua artificiali che sono al centro della vasta area, uno chiamato Beihai e l’altro Shichahai, realizzati con un sistema di irrigazioni all’epoca della costruzione della Ci à Proibita.
Sono anche chiamati «mare centrale e meridionale», ed erano stati luogo di svago della corte imperiale, uno ha addiri ura un isolo o al centro.
Nel 1930 lo storico britannico Arnold Toynbee aveva definito Pechino come «una ci à che incute rispe o». La leggenda vuole infa i che un misterioso monaco taoista, proveniente dal cielo, luogo immaginifico per i cinesi, abbia portato all’imperatore un proge o accurato per l’edificazione della ci à.
A partire dal 1949 Mao aveva fa o costruire una serie di ville, per lui e i big del partito, ordinate in una stru ura urbanistica che teneva conto della gerarchia e del rango del funzionario che l’abitava.
Quella a igua alla sua era del primo ministro, poi veniva quella del ministro degli Esteri, del vicesegretario del partito, del segretario del Comitato centrale e a seguire tu i gli altri. Accanto a Mao vivevano Zhu De, Liu Shaoqi, Zhou Enlai, Peng Dehuai, Deng Xiaoping.
L’intera zona, una ci à nella ci à, è presidiata dalle guardie armate, che devono assicurare, ancora oggi, una condizione di assoluta inviolabilità. C’è un ospedale, il più a rezzato di tu a la Cina, accessibile solo ai residenti, scuole per i figli della nomenklatura, piscine e impianti sportivi.
La villa di Xi Zonghxun è collocata appena dopo il primo cerchio, quello gerarchicamente più «esclusivo». In ogni caso, a partire dal se embre del 1952 è diventato pur sempre il capo del dipartimento della Propaganda del partito, una stru ura chiave per la politica di Mao, dalla quale dipendono l’educazione nazionale e la cultura. A voler rievocare una terminologia in voga ai tempi del fascismo italiano, potremmo dire che è una sorta di Minculpop (ministero
p p p
della Cultura popolare). Nel 1956, con l’VIII congresso nazionale del Partito comunista, l’ascesa di Zhongxun viene consacrata con l’elezione a membro del Comitato centrale, autentico fulcro del potere comunista. Nel 1959 diventa vicepremier, con Zhou Enlai alla guida del governo, facendo ingresso nell’olimpo dei primi trenta uomini più importanti della Cina. In quest’ultimo ruolo il compagno funzionario Xi Zonghxun si occupa di guidare l’ufficio legislativo del Consiglio. Il suo compito consiste nel tradurre in leggi e decreti le volontà del partito. Certo, non si può dire che sia un trascinatore di folle, ma Zonghxun è un burocrate efficiente e scrupoloso, capace di districarsi nella complessa macchina amministrativa comunista, piena di insidie e trabocche i.
Già in passato Zonghxun ha dimostrato di non essere un uomo a cui affidare il lavoro più sporco. Fa a eccezione per la breve partecipazione alla Lunga Marcia, si è tenuto lontano dalle a ività propriamente militari, preferendo lasciarle a quei comba enti e militanti che, a raverso prove muscolari, intendevano scalare i vertici del partito.
C’è da dire, però, che nel luglio del 1951, prima di trasferirsi a Pechino, il partito aveva chiesto anche a lui di sporcarsi le mani, partecipando ad a ività repressive. Di cosa si era tra ato? Ad appena due anni dalla proclamazione della Repubblica Popolare, la vi oria comunista sui nazionalisti non ha ancora definitivamente sedato i fermenti nelle regioni più remote della Cina. A essere refra arie ad assogge arsi al partito sono le tribù tibetane e alcuni
«signori della guerra» musulmani. Mao ordina una vasta
«Campagna di repressione». Xi Zonghxun viene mandato come commissario politico ad affiancare le unità dell’Armata Rossa che hanno il compito di reprimere la tribù Nganglha, nella zona orientale del Qinghai. I rivoltosi sono guidati da un capo carismatico, Xiang Qian, che riesce a unificare vari gruppi in nome della difesa di tradizioni millenarie. Nelle prime se imane i comunisti si muovono in maniera brutale: incendiano villaggi, uccidono mediante fucilazioni indiscriminate, nei migliori casi arrestano gli uomini e li spediscono come forza lavoro in remote comuni, a migliaia di chilometri di distanza. Zonghxun condivide la
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linea dura ma nella fase immediatamente successiva si preoccupa di insediare le stru ure del partito nella regione. Si comporta come il polizio o buono, tra a con i capi tribù meno ostili. Fa rilasciare alcuni prigionieri e o iene anche la resa di Xiang Qian, che verrà perdonato, dandogli un posto di amministratore locale. La biografia ufficiale racconta che Mao abbia personalmente elogiato la politica di Xi Zhongxun, ossia la sua scelta di adoperare il bastone e la carota, paragonandolo a un personaggio di un classico della le eratura cinese, il Romanzo dei Tre Regni, composto nel XIV secolo.
I fa i del 1951, però, non rappresentano l’unica zona d’ombra nella sua carriera di alto funzionario di partito. C’è dell’altro. Una foto del giugno 1949 mostra Xi Zhongxun in piedi, davanti a due microfoni, mentre legge il suo discorso alla conferenza di Xi’an sulla mobilitazione permanente. In quel momento, occupa la delicata posizione di commissario politico dell’esercito adde o all’Armata dello Shaanxi-Gansu-Ningxia-Jinhua, la più importante unità militare del Nord della Cina. Non ha compiti di comando ma, sostanzialmente, di polizia interna. In quel ruolo, è chiamato a reprimere chiunque ostacoli l’a ività del partito. Organizza infa i delle retate contro tu i coloro che vengono definiti proprietari terrieri anche se, in realtà, si tra a di contadini con un modesto appezzamento, più o meno come la famiglia da cui lui stesso proviene. Ordina anche la repressione della protesta di un gruppo di minatori, sfiancati dalle terribili condizioni in cui sono costre i a lavorare.
Il 19 marzo 1947, nella prima fase della guerra civile, i nazionalisti erano riusciti a o enere una parziale vi oria, conquistando addiri ura la capitale comunista di Yanan. L’operazione a sorpresa, un vero e proprio smacco per Mao, era stata condo a dal generale Ho Zongnan, brillante ufficiale del Kuomintang che Chiang Kai-shek, per gelosia, non avrebbe poi rifornito adeguatamente, comme endo un grave errore strategico. In questa fase, Zhongxun viene assegnato allo staff del generale Peng Dehuai, destinato a diventare maresciallo della Repubblica Popolare Cinese, l’unico in grado di riconquistare le posizioni. L’esercito comunista va sferzato e
occorre terrorizzare quei se ori della popolazione che possono simpatizzare con i nazionalisti.
Le biografie ufficiali insistono molto sul comportamento assunto da Xi Zhongxun in queste vicende. Viene so olineata non solo la sua posizione moderata nei confronti delle minoranze etniche, ma anche un a eggiamento saggio e prudente in materia di politica economica, testimoniato dal telegramma che il 4 gennaio del 1947 avrebbe inviato a Mao per invitarlo a ripensare alcune scelte di politica agraria. In particolare, secondo Zonghxun, i contadini che possedevano un po’ di terra non potevano essere equiparati a proprietari terrieri contro i quali scatenare la furia rivoluzionaria.
Era un «errore», capace di danneggiare i livelli di produzione.
Sembra che Mao Zedong, almeno in questa fase, abbia accolto i rilievi di Zonghxun, giudicandoli opportuni e ordinando di modificare le linee dire ive seguite durante le espropriazioni, distinguendo i grandi proprietari dai piccoli.
Non sempre, tu avia, il racconto di uno Zhongxun avveduto e moderato risponde alla realtà. Nel 1954 il Dalai Lama, autorità politica e sopra u o religiosa del Tibet, si era recato a Pechino, soggiornandovi per alcuni mesi, nel disperato tentativo di convincere le autorità cinesi a rispe are l’indipendenza politica e la libertà religiosa della sua nazione, che era già stata invasa da quarantamila soldati dell’esercito cinese il 7 o obre 1950. Il mondo era distra o dalla guerra di Corea e il colpo di mano non suscitò particolari reazioni nella comunità internazionale. A Xi Zhongxun era stato affidato l’incarico di fare da balia al XIV Dalai Lama, il giovane Tensin Gyatso, di intra enerlo durante il suo soggiorno. Tra i due era sorta una certa amicizia, quantomeno una consuetudine, che il Dalai Lama aveva suggellato regalando a Zhongxun un orologio Omega, una rarità per la Cina dell’epoca. L’aspe o curioso da so olineare è che nelle foto ufficiali dei primi anni O anta che mostrano il fratello del Dalai Lama in visita diplomatica a Pechino, Xi indossa ancora quell’orologio.
In realtà, all’epoca delle dispute sull’indipendenza del Tibet, tanta cortesia cerimoniosa non doveva trarre troppo in inganno. Quando il Dalai Lama fece ritorno a Lhasa, prese a o della dura realtà:
l’Armata Rossa cinese aveva iniziato una violenta repressione,p depredando i monasteri, arrestando migliaia di monaci buddhisti, poi uccisi o deportati. Xi Zhongxun conosceva i piani degli apparati comunisti e si era prestato a inscenare una commedia di rassicurazioni per evitare che il Dalai Lama si recasse in Occidente e denunciasse le brutalità subite.
La casa di cui dispone la famiglia Xi nel complesso di Zhongnanhai non è neanche lontanamente paragonabile alla residenza principesca di Mao e a quelle della sua cerchia ristre a, ma rispe o alla miseria e al degrado delle abitazioni della quasi totalità dei cinesi, costituisce pur sempre un grande privilegio.
La villa dispone di oltre dieci stanze e un ampio giardino, ha il riscaldamento (provvidenziale, considerati i gelidi inverni di Pechino…), acqua corrente, luce ele rica. In tempi in cui in Cina anche solo possedere una bicicle a era un lusso, a Zonghxun viene assegnata un’auto, di fabbricazione russa, con autista mentre in casa vivono una cuoca e alcune collaboratrici domestiche che faranno da babysi er ai figli.
Un grande studio a vetrata guarda sul giardino, all’interno c’è un’enorme libreria, piena di volumi, i classici del comunismo, a cominciare dalle opere di Mao, ma anche alcuni vietatissimi libri della le eratura occidentale, sopra u o in lingua francese. La scrivania in legno massiccio è ricolma di carte, Xi lavora spesso anche a casa e un adde o del ministero provvede a far viaggiare le pratiche tra l’ufficio e lo studio privato.
D’estate, per sfuggire all’opprimente calura di Pechino, la famiglia Xi, come tu e quelle dei «funzionari» di un certo livello, si trasferisce nella località balneare di Beidaihe, sulla splendida costa del Bohai.
Mao ha fa o costruire ville e, infrastru ure e palazzi amministrativi, in modo che il paese possa essere governato d’estate anche da qui.
Nei primi anni Cinquanta le giornate della famiglia Xi scorrono felici. Scrive lo storico Kai Vogelsang: «I quadri del Partito comunista, che prescrivevano al popolo di risparmiare, facevano tu i la bella vita, a partire da Mao Zedong; ufficialmente demonizzavano la cultura occidentale, ma in privato ballavano il
tango; ordinavano roghi di libri, ma accumulavano tesori dap bibliofili; vivevano in ambienti feudali, e contemporaneamente facevano giustiziare dei poveracci come “proprietari feudali”;
facevano condannare a morte le prostitute, ma ne richiedevano i servizi; e mentre tra il popolo milioni di persone morivano di fame, i loro tavoli si piegavano so o le portate. L’unica cosa da proletario che aveva Mao Zedong erano le maniere».3
All’indomani della sua vi oria, Mao è impaziente di conoscere Stalin, la guida del comunismo mondiale, quasi volesse consegnargli il trofeo di milioni di persone entrate nell’orbita comunista grazie alla sua affermazione in Cina. Il capo incontrastato dell’Urss non è però altre anto impaziente di incontrarlo, forse comincia già a intravedere una possibile, futura concorrenza tra il sistema sovietico e quello cinese. Sta di fa o che non gli concede una visita di Stato ma la partecipazione, insieme ad altri leader rossi, ai festeggiamenti per il suo se antesimo compleanno, il 21 dicembre 1949.
Così, il 6 dicembre, Mao Zedong intraprende il primo viaggio all’estero della sua vita, raggiungendo Mosca in treno. Jung Chang sostiene che Mao decise volutamente di non portare con sé esponenti di primo piano del Partito comunista cinese ma solo una corte di segretari e a achés, perché, in questo modo, «non ci sarebbero stati testimoni cinesi […] nel momento in cui Stalin l’avesse umiliato».4
Appena giunto nella capitale sovietica, Mao viene brevemente ricevuto da Stalin al Cremlino, ma non è quel denso incontro sui temi più sco anti del comunismo e della geopolitica internazionale che aveva preparato. È poco più di un saluto, fa o di convenevoli e sorrisi. Meno di una mezz’ora. Poi viene spedito in una lussuosa dacia a ventise e chilometri da Mosca, impenetrabile dall’esterno e piena di microspie, dove per giorni resta parcheggiato. «Mi trovo qui soltanto per mangiare, cacare e dormire?» sbo erà Mao dopo qualche giorno rivolto all’ambasciatore russo Kovalev, venuto a rabbonirlo. Mao chiede di poter incontrare l’italiano Palmiro Toglia i, che nell’arcipelago del comunismo mondiale occupa un posto di primo piano ma, come racconterà lui stesso alcuni anni dopo la morte del leader sovietico, «Stalin riuscì a impedirmelo con
mille stratagemmi».5 Di tanto in tanto arriva a fargli visita qualche dirigente sovietico che, al di là della deferenza e dei sorrisi, non è abilitato a tra are su nulla e finisce per sorseggiare il tè e conversare.
In realtà, Stalin ha dato ordine ai suoi di relazionare sul profilo dell’ospite e sull’idea che si sono fa i del «cinese».
Mao, invece, era giunto a Mosca con grandi proge i, sopra u o quello di siglare un nuovo tra ato tra la nuova Repubblica Popolare Cinese e l’Unione Sovietica che sostituisse il vecchio accordo stipulato tra Chiang Kai-shek e Mosca. Era pronto a riconoscere a Stalin qualcosa di significativo: la potestà su quei territori cinesi di cui i sovietici si erano appropriati in maniera fraudolenta durante la guerra civile e il secondo confli o mondiale. In cambio, vuole un vasto programma di assistenza militare ed economica che aiuti la Cina a diventare una potenza strategica dell’Asia.
Mao rivede Stalin solo in occasione dei festeggiamenti del compleanno, insieme agli altri capi comunisti. Entrambi recitano bene la parte dei «fratelli comunisti», Mao viene fa o accomodare sul palco alla destra di Stalin, mentre allo spe acolo di gala serale al teatro Bolshoi, il leader cinese viene accolto da una lunga ovazione a cui risponde urlando: «Lunga vita al compagno Stalin!». Del nuovo tra ato non si parlerà affa o.