1° o obre 1949
Fa freddo, l’autunno si annuncia rigido, nonostante sia ancora il primo di o obre e l’estate sia finita da poco. Il sole però splende e l’aria è pulita. Mao è so o l’arco della porta della Pace Celeste (Tienanmen), guarda, rivolto verso sud, l’omonima piazza, mentre ha alle spalle la Ci à Proibita, l’antica sede del potere imperiale cinese. Lui e i suoi successori non varcheranno mai la porta di accesso alla Ci à Proibita, se antadue e ari di meraviglie, perché per i capi comunisti è il simbolo del potere feudale, contro il quale ci si è ba uti. Sarà Xi Jinping, decenni dopo, l’8 novembre 2017, a rompere il tabù in occasione della visita a Pechino del presidente americano Donald Trump.
Ma questa è cronaca recente. Torniamo al secondo dopoguerra.
Alto e robusto, il volto sorridente, Mao è vestito alla sua maniera tradizionale. Ha ormai cinquantasei anni, e sta per proclamare la nascita della Repubblica Popolare di Cina. Quel giorno, il 1° o obre 1949, entrerà nei libri di storia. È anche il momento in cui corona la sua leadership e sancisce l’inizio di un dominio incontrastato perché, come spiega Liu Shaoqui, numero due del regime, Mao è il «più grande rivoluzionario e statista della storia cinese, nonché il maggiore teorico e scienziato». Il culto della personalità è servito. La gente in piazza scandisce a ritmi regolari, come una voce sola:
«Lunga vita alla Repubblica Popolare Cinese! Lunga vita al Partito comunista cinese».
La piazza Tienanmen, arricchita ai lati dal Grande Palazzo del Popolo e dal museo della Rivoluzione, sarebbe diventata presto il teatro delle celebrazioni del nuovo regime. Un anno dopo, nel 1950,
Mao avrebbe lanciato un vasto programma urbanistico, che consisteva, sopra u o, nella distruzione sistematica dell’antica Pechino imperiale, a cominciare dalle mura e dai pai-lou, i tradizionali archi con piedri i di marmo e splendidi archivolti in legno intarsiato.
L’Armata Rossa è entrata a Pechino il 31 gennaio 1949, non c’è stata ba aglia come si temeva, perché il Kuomintang era in dissoluzione, i comandanti lasciati a difesa della ci à si sono arresi senza sparare un colpo, dopo che il vertice nazionalista è fuggito a Taiwan.
La Seconda guerra mondiale si era conclusa, dopo la vi oria degli Alleati in Europa, con le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki e la capitolazione del Giappone, il 2 se embre 1945. Gli Stati Uniti si erano illusi di poter instaurare in Cina una qualche forma di collaborazione tra nazionalisti e comunisti. È un errore che ripeteranno spesso: quello di pensare che sia possibile trapiantare la democrazia ele orale in contesti nei quali è venuto a mancare qualsiasi processo di modernizzazione politica, sociale e istituzionale. Insomma, dove non si sono ancora create le sufficienti condizioni storiche. L’ambasciatore Patrick Jay Hurley organizza, nel se embre del 1945, un incontro tra Mao e Chiang Kai-shek, a cui i due partecipano con somma ipocrisia; mentre si stringono la mano, pensano già allo scontro finale. Da Washington il presidente Harry Truman spedisce in Cina anche un pezzo da novanta, il generale George Marshall, per mediare fra le parti: ci resterà quasi un anno ma inutilmente, fino a quando non comprende che occorre fare una scelta di campo.
La guerra civile era cominciata nel 1946 per il possesso della Manciuria. Sulla carta, i nazionalisti dispongono di un esercito numericamente assai più consistente e ben armato, ma sopra u o godono del sostegno degli Stati Uniti. Tu avia, il Kuomintang ha da tempo perso fascino politico e nerbo ideale, i suoi capi sono divisi e corro i, mentre i comunisti sono spinti dall’onda del cambiamento, dalla capacità di a rarre consenso sociale e dalle speranze di giustizia che hanno suscitato. Inoltre, durante la guerra con i giapponesi sono stati accorti, le loro fila sono cresciute e si sono
g pppreservati per la ba aglia finale. Se nel 1937 la forza comunista ammontava a quarantamila iscri i e meno di centomila soldati, nel 1945 gli iscri i al Pcc sono saliti a un milione e duecentomila mentre l’esercito rosso ammonta a un milione e trecentomila unità.
Dopo qualche insuccesso iniziale, nel se embre del 1948 le truppe di Lin Biao riescono a sbaragliare ben qua rocentomila nazionalisti e nel corso della successiva «ba aglia di Huaihai», per la conquista della ci à strategica di Xuzhou, i nazionalisti perdono altri cinquecentomila uomini.1 In due ba aglie cruciali il Kuomintang vede dissolversi quasi un milione di soldati.
Nell’aprile del 1949 cade Nanchino, a maggio Shanghai e Wuhan, in agosto Xian, a o obre Canton e in novembre Chongqing. Chiang Kai-shek fuggirà nel mese di dicembre nell’isola di Taiwan, con tu o il gruppo dirigente nazionalista. La grande isola con altri arcipelaghi minori (Pescadore, Quemoy e Matus)costituirà, a partire dal 7 dicembre 1949, con capitale Taipei, lo Stato della Cina nazionalista, per molto tempo riconosciuto da parecchie nazioni nel mondo e titolare di un seggio alle Nazioni Unite fino al 1971. Solo a partire dal 1979, gli Stati Uniti non riconosceranno più Taiwan come Stato rappresentante di tu a la Cina, anche se vige ancora una legge del Congresso di Washington che impegna gli americani a difendere militarmente l’isola.
Negli ultimi mesi che precedono la fine della Seconda guerra mondiale, Mao fa convocare a Nayan il VII congresso nazionale del Partito comunista. Nel 1944 il Plenum del Comitato centrale aveva già tracciato le linee del congresso. Mao vuole spazzare via ogni ipotesi di collaborazione nazionale con il Kuomintang dopo la sconfi a dei giapponesi. Non ci sarà alcun governo di coalizione ma solo una guerra civile per portare il Pcc alla vi oria finale.
Il congresso elegge un Comitato centrale composto da 44 membri e 33 supplenti, quasi tu i fedelissimi di Mao. Al vertice del partito c’è un Ufficio politico composto di 13 membri: oltre al leader ne fanno parte Zhu De, Liu Shaoqi, Zhou Enlai, Ren Bishi, Chen Yun, Kang Sheng, Gao Gang, Peng Zhen, Dong Biwu, Lin Boqu, Zhang Wentian e Peng Dehuai. Nel Comitato centrale entra Deng Xiaoping.
Xi Zonghxun, il padre di Xi Jinping, viene ele o membro supplente del Comitato centrale, una posizione di assoluto rilievo perché significa essere tra le cento persone più influenti del Partito comunista. Il suo ingresso avviene grazie alla cordata capeggiata da Gao Gang, di cui fa parte anche Deng Xiaoping. Pur dichiarandosi fedelmente maoisti, esprimono l’ala riformista.
L’appartenenza a una determinata cordata è decisiva. «Le stru ure informali del potere hanno cara erizzato in modo decisivo la politica della Repubblica Popolare Cinese. A tu i i livelli le decisioni venivano prese in circoli informali, e le relazioni personali determinavano le possibilità di carriera e dire ive politiche. Le guardie del corpo e i segretari privati degli alti quadri, proprio come gli eunuchi dell’età imperiale, potevano rappresentare i loro padroni in ambiti importanti, o raggiungere essi stessi posizioni chiave: Chen Boda, per esempio, segretario personale di Mao, nel 1965 divenne membro del Politburo. Al livello più alto, i vecchi quadri dire ivi (Deng Xiaoping, Chen Yun, Li Xiannian) continuarono a determinare la politica anche dopo che avevano ceduto ad altri i loro incarichi grazie a una rete di relazioni personali.»2
A trent’anni dalla fondazione del Partito comunista cinese la sparuta minoranza delle origini era giunta al potere. Ora si tra ava di governare una nazione grande e popolosa, lacerata da decenni di guerre e massacri, estremamente povera.
Il nuovo asse o dello Stato socialista, dopo la proclamazione del 1949, sarebbe giunto con la Costituzione (se embre-o obre 1954) e la prima sessione dell’Assemblea nazionale del popolo, l’equivalente di un Parlamento che, però, si limiterà sempre a ratificare le decisioni del partito.
La Costituzione del 1954 sarebbe poi stata sostituita da una nuova nel 1975, una terza nel 1978, e infine una quarta Carta nel 1982, quella emendata di recente con l’inserimento del pensiero di Xi Jinping e con la possibilità, per quest’ultimo, di un mandato a vita.
La Cina si configura in termini costituzionali come uno «Stato unificato multinazionale». Nel censimento del 1953 vengono individuate ben cinquantasei minoranze etniche, a cui la
Costituzione riconosce, in astra o, un diri o all’autonomia. Si tra a di una previsione rimasta le era morta, mai a uata, anzi contradde a da un centralismo che nei decenni si è fa o via via sempre più marcato.
L’Assemblea nazionale del popolo alla sua prima riunione elegge Mao Zedong alla presidenza della Repubblica, Zhu De alla vicepresidenza, Zhou Enlai alla carica di primo ministro e Liu Shaoqi alla presidenza della stessa Assemblea. È questa la fotografia del vertice della nomenklatura all’avvio del nuovo Stato comunista.