Villa Condulmer è un lussuosissimo resort, un prestigioso golf club che sorge accanto a una splendida villa veneta. Si trova a Mogliano, in provincia di Treviso, non lontano da Venezia. Il 14 novembre 2003, un gruppo formato da una decina di uomini cinesi soggiorna nelle suite della villa; giocano anche una partita a golf, ma sono lì per affari. Vestono all’occidentale, con abiti di fa ura sartoriale. La delegazione è guidata da Xi Jinping, definito dalle scarne cronache di quell’episodio presidente del Comitato permanente del congresso della provincia di Zhejiang, e da Duan Yongkuang, presidente della China People’s Bank, la Banca di Stato cinese. Nessuno può ancora immaginare chi sarebbe diventato Xi.
L’atmosfera è rilassata, i cinesi sorridono e si godono le bellezze del luogo. Quel giorno so oscriveranno un importante accordo con la Sias, la società italiana che gestisce l’autodromo di Monza, per la costruzione di un circuito a Jinhua, ci à della provincia di Zhejiang ma collocata strategicamente a duecentocinquanta chilometri a sud di Shanghai, su un’area di oltre cinque milioni di metri quadrati. La pista che gli italiani realizzeranno in Cina fa parte di un proge o più vasto che prevede la nascita di una «ci à dell’auto», un complesso industriale che si sviluppa su 667 mila metri quadri, ricco di capannoni, aree espositive e uffici direzionali. Non a caso si parla di
«Detroit dell’Asia». L’autodromo da costruire non è destinato solo alle gare sportive ma anche alla sperimentazione di nuovi modelli di macchine, prodo i nelle fabbriche della zona.
All’affare partecipano due partner, da una parte il gruppo finanziario Chu’s Investment di Shanghai, che pur avendo sede legale nella metropoli è controllato dal governo della provincia di Zhejiang, che assume il 25 per cento dell’investimento, dall’altra la società Phoenix International di Milano, rappresentata da Alessandro Sghedoni e Barbara Zoccali, un archite o veneziano e una sinologa che vantano una lunga esperienza di a ività economiche in Cina e hanno già lavorato, in qualità di consulenti, con il governo di Pechino.3 Il proge o viene affidato a eccellenti professionisti: l’archite o Mario Bo a, l’ingegnere Giorgio Beghella Bartoli, responsabile tecnico dell’autodromo di Monza, Giuseppe Rapisarda e Angelo Sticchi Damiani.
Al termine di una riunione delle due delegazioni tenutasi in un salone riservato di Villa Condulmer, e dopo aver visitato l’autodromo di Monza, il gruppo fa una escursione a Venezia. Xi Jinping, come un qualsiasi turista, acquista nelle bo eghe veneziane foulard di seta per la moglie e qualche souvenir in vetro di Murano.
«Un po’ di Monza anche in Cina» scrive il quotidiano «la Repubblica», tra i pochi a dare la notizia ma solo nella sezione motori.4 Sono anni in cui Italia e Cina si guardano con interesse, in ballo ci sono reciproche opportunità economiche e di interscambio.
A pochi mesi da questo episodio sarebbe seguita la visita ufficiale dell’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi in Cina, accompagnato da una folta delegazione di industriali.
2007
Lunedì 15 o obre 2007 a Pechino fa già freddo, lo smog somiglia a una nebbia fi a. La ci à è insolitamente ordinata, lungo le strade si osservano tantissime bandiere rosse. Inizia il diciasse esimo congresso del Partito comunista cinese, un evento per tu a la nazione, che milioni di cinesi scrutano, oltre l’ufficialità della propaganda, con un misto di curiosità e preoccupazione, per capire cosa davvero succede. Dal «chi sale e chi scende» dipendono i destini di intere regioni, ci à, di gruppi e clan familiari, la perdita di
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un posto nel Politburo o nel Comitato centrale può significare una sventura per milioni di persone. Tu o è pronto nella Sala Grande del Popolo, l’edificio situato al margine occidentale di piazza Tienanmen, che dovrà accogliere i 2213 delegati. Sono tu i funzionari di altissimo rango, la nomenklatura del partito, ma tra loro, convocati a scopo propagandistico, spuntano anche alcuni
«lavoratori modello», persone con storie di impegno esemplare, lasciate intervistare dalla stampa a margine del congresso. Alcuni delegati, poi, sono stati pescati tra personalità di successo: il primo astronauta cinese, Yang Liwei, e la campionessa del mondo di ping-pong, Zhang Yining. Per la prima volta tra i delegati vengono inseriti una ventina di miliardari, uomini d’affari titolari delle loro compagnie societarie, una so olineatura del nuovo corso che apre all’arricchimento dei singoli. Nella prima fila, sul palco, sono seduti i membri del Comitato permanente del Politburo, la crème del potere in Cina, tu i vestiti uguali, in abito scuro e crava a rossa. Da tempo sono state abbandonate le casacche in stile maoista, presto arriveranno abiti di fa ura sartoriale. Tu o il mondo avrebbe guardato quella curiosa immagine in cui, a un certo punto, nella cornice di gigantismo stalinista, le hostess vestite di rosso entrano in sala, in file ordinatissime, per servire il tè ai delegati.
Non ci sono dubbi sul fa o che il congresso stia per confermare alla guida del partito, dunque del paese, per altri cinque anni, il sessantacinquenne Hu Jintao. La relazione del segretario ha richiesto mesi di lavoro, è stata elaborata da una commissione presieduta dal premier Wen Jiabao e della quale fanno parte tu i gli esperti di do rina del partito. Una volta completata, è stata emendata e poi approvata dallo stesso Hu, per essere poi consegnata ai delegati prima dell’apertura dei lavori. La sua le ura, trasmessa in dire a da tu e le tv della Cina ma anche da un gran numero di media di tu o il mondo, richiede più di due ore. La relazione si concentra su due contenuti do rinari: il «conce o di sviluppo scientifico» e la nozione – cui abbiamo già accennato – di «società socialista armoniosa», tu e idee che in futuro verranno riprese dallo stesso Xi Jinping.
Il diavolo – come si dice – è nei de agli, e il congresso va le o in filigrana. Gli analisti cinesi notano come durante la relazione di Hu,
Jiang Zemin, l’ultrao antenne ex segretario, ostenti la suag disa enzione, sbadigliando ripetutamente e addiri ura appisolandosi. All’assise c’è in qualità di delegato addiri ura il vecchissimo Hua Guofeng, successore di Mao, l’unico con cui Jiang Zemin decide di scambiare qualche parola.
In questo periodo, il mondo appare distra o da altre vicende. Il presidente americano George W. Bush è al penultimo anno di mandato, nell’agosto proprio dagli Stati Uniti è partita la bolla immobiliare dei subprime, che di lì a poco spalancherà le porte a una grave crisi finanziaria e poi a una delle più tremende recessioni nella storia dell’Occidente industrializzato. L’agenzia Moody’s declassa il rating di 2500 obbligazioni emesse nel 2006, seguita poi da Standard
& Poor’s. Un anno dopo, com’è noto, ci sarà il fragoroso fallimento della banca d’investimento Lehman Brothers. Quanto all’Europa, nel maggio del 2007 Nicolas Sarkozy è stato ele o presidente della Repubblica in Francia, in Italia c’è il governo Prodi II, mentre la Merkel è già da due anni cancelliera della Germania. In questo contesto geopolitico internazionale, la Cina viene giudicata una nazione stabile e a lei si guarderà per un aiuto finanziario all’Occidente.
La questione centrale del congresso non è tanto la riconferma di Hu Jintao, quanto gli asse i futuri perché, nella tradizione del Pcc, l’assemblea è chiamata a indicare anche i successori del potere a uale. Si tra a di individuare, tra dirigenti comunisti, le personalità di spicco della cosidde a «quinta generazione»: la prima è stata quella di Mao, poi sono venute quella di Deng Xiaoping, Jiang Zemin e Hu Jintao. Nei mesi che avevano preceduto il congresso, tu i avevano dato per scontata l’ascesa di Li Kegiang, ritenuto il delfino di Hu Jintao e già suo stre o collaboratore negli anni in cui il leader era stato capo della«Lega della gioventù comunista». Ora Li Kegiang è segretario del partito nella provincia di Liaoning, nel Nordest della Cina.
All’improvviso, un colpo di scena aveva ribaltato il quadro. Xi Jinping, sul fotofinish, nei giorni che precedono l’apertura del congresso, è diventato il più probabile candidato alla vicepresidenza del Comitato permanente del Politburo, la carica che prelude a
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quella di segretario generale del partito. In realtà, sia Xi Jinping che Li Kegiang sarebbero entrati comunque nel Comitato permanente, da sempre ritenuto il vero organo di governo della Cina, ma Xi ora è destinato a conquistarne il posto chiave. È una soluzione ina esa e sorprendente, che può essere spiegata solo alla luce di quanto era accaduto dietro le quinte negli ultimi mesi.
Il 2007 è l’anno d’oro per la carriera politica di Xi Jinping.
Nell’arco di dodici mesi, realizza un’ascesa che non ha precedenti nelle lente e meticolose liturgie del potere cinese. Un misto di circostanze fortuite, abilità, ma anche capacità nel cogliere le occasioni, giocano a favore di Xi.
Il momento decisivo è la nomina, a marzo, a segretario del Partito comunista di Shanghai. In realtà, come è sempre accaduto, viene concentrato un doppio ruolo nella stessa persona: capo del Pcc e nel contempo vertice amministrativo della metropoli, che è la capitale economica del paese. Da Shanghai sono già venuti alcuni importanti leader del partito, come Jiang Zemin, Zhu Rongji, Wu Bangguo.
Il modo con cui Xi Jinping giunge a occupare questo ruolo decisivo è alquanto occasionale ma rivela tu a la sua abilità e prontezza ta ica. A se embre del 2006, Hu Jintao, d’intesa con il capo della Commissione disciplinare, Wu Guanzheng, decide di a accare frontalmente l’allora capo del Pcc di Shanghai, Chen Liangyu facendolo arrestare con l’accusa infamante di corruzione.
Nel de aglio gli viene imputato, insieme al suo segretario personale Qin Yu, di aver so ra o 395 milioni di dollari dalle casse del fondo pensione dei dipendenti comunali. È un fa o clamoroso, anche per la cifra colossale, una sorta di «Mani pulite» cinese, che va a colpire il capo del partito in una ci à così strategica, un intoccabile. Per alcuni analisti, tu avia, è anche una mossa sospe a, che puzza di a acco politico. Dietro ci sarebbe il tentativo di annientare la cosidde a
«fazione di Shanghai», che all’interno del partito rappresenta il gruppo antagonista della dirigenza di Pechino, ramificato in tu o il paese e facente capo all’ex segretario Jiang Zemin. L’azione giudiziaria è supportata da una forte campagna di stampa che narra le malefa e della «cricca di Shanghai» e sopra u o me e in relazione gli accusati di corruzione con i loro prote ori politici. Le
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cronache indugiano sui de agli e descrivono i vizi di una specie di stru ura interna allo Stato, dedita alle malversazioni e guidata da Shanghai.
Chen viene destituito il 24 se embre, e occorre sostituirlo. Sulle prime, Hu Jintao prende in considerazione due personalità a lui vicine: Liu Yandong, una delle donne più in alto nella gerarchia cinese, presidente del dipartimento del Fronte Unito (diventerà poi vicepremier) e Li Yuanchao segretario del Pcc di Jiangsu. Ne scaturisce un lungo braccio di ferro con la corrente di Jiang Zemin che dura mesi. Nel fra empo, a Shanghai le funzioni di segretario del partito vengono affidate al sindaco della ci à, Han Zheng, il quale sa di non poter aspirare in prima persona a quel ruolo, essendo uscito da poco e a fatica indenne da uno scandalo su regali ricevuti dal magnate Zhou Zhengyi.
È necessario dunque avviare una mediazione, che richiede tempo.
Jiang Zemin, che formalmente è in pensione e non ha incarichi ufficiali, controlla ancora la maggioranza nel partito, i vertici nelle varie province sono quelli che ha nominato lui e gli sono quasi tu i fedeli. Vuole assolutamente evitare che la base storica e simbolica del suo potere, Shanghai, finisca nelle mani di qualcuno che non sia riconducibile alla sua fazione. Tu avia, sa bene di non poter proporre nomi della sua cerchia più ristre a. A quel punto, Zeng Qinghong, numero due della corrente di Shanghai e vicepresidente della Repubblica Popolare, gli propone il giovane Xi, suo amico per il tramite del fratello, che è nel giro del mondo dello spe acolo.
L’anziano Jiang lo aveva conosciuto in maniera molto formale a Hangzhou nel 2004, durante un incontro ufficiale, e al momento in cui gli fanno il nome di Xi Jinping si rende conto di non ricordarlo neppure troppo bene. Sapeva che apparteneva alla sua corrente perché era un prote o di Zeng, ma mentalmente lo aveva inquadrato più che altro come il marito della cantante Peng Liyuan.
È Zeng a organizzare l’incontro tra il vecchio leader e il giovane candidato. Accompagna Xi Jinping nella confortevole residenza a nord di Pechino, dove Jiang Zemin si è ritirato. Non è propriamente in pensione, anzi, l’ex segretario generale riceve fino a dieci dirigenti al giorno, provenienti da tu o il paese e per supportarlo è stato
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allestito all’interno della villa un ufficio con alcuni assistenti che funziona a pieno ritmo, quasi fosse un ministero. Jiang lo abbraccia come se tra loro esistesse una frequentazione confidenziale e, ricorrendo al plurale maiestatis, gli fa: «Abbiamo deciso di puntare su di te. Ti porteremo alla guida del partito a Shanghai. Il che significa, come sicuramente saprai, spalancarti le porte del Comitato permanente del Politburo».
Jiang gli parla solo di Shanghai, che di per sé è una posizione ambitissima e, probabilmente, non pensa a ulteriori esiti. Poi aggiunge: «Sappiamo di poter contare sulla tua fedeltà».
L’affermazione è ambigua. Fedeltà a chi? Alla Repubblica Popolare Cinese? Oppure fedeltà alla fazione di Shanghai? Jiang Zemin è nato nel 1926, appartiene alla generazione immediatamente successiva a quella del padre di Jinping, Xi Zhongxun. Jiang gli ricorda come il genitore fosse stato sempre fedele alla fazione di Deng Xiaoping, pagandone un pesante prezzo personale in tempi bui. Gliene parla con ammirazione, ma so intende che si aspe a da lui la stessa coerenza. Dovrà sopra u o impegnarsi a tutelare e a favorire l’ascesa di altri della cordata di Shanghai, secondo la regola «io oggi aiuto te, domani sarai tu a impegnarti per gli altri».
Xi affida le sue risposte a piccoli gesti del corpo, accenna spesso degli inchini in segno di assenso, moderati sorrisi, mostra il rispe o di un allievo verso il maestro. Non aggiunge mai una parola di troppo, né si sbilancia manifestando prese di posizione aperte ed esplicite. Insomma, parecchia forma e poca sostanza, si potrebbe dire. Sa che il vecchio Jiang non ha molte alternative. Alla fine, viene congedato con un altro abbraccio, il vecchio leader gli indica col dito un mo o che ha incorniciato e messo alla parete del suo ufficio:
«Chiku naia, fenfa tuqiang», che significa «lavorare duramente e sopportare le avversità, compiere ogni sforzo per rafforzare la nazione». Su questo non si può non essere d’accordo.
Grazie a questo incontro, il complesso puzzle del potere cinese si va componendo. Hu Jintao, dal canto suo, comprende che dopo aver colpito duramente al cuore la fazione avversa, non può pensare di occupare Shanghai con un suo fedelissimo, perché una mossa del genere avrebbe comportato una lacerazione troppo profonda nel
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partito, una specie di guerra civile a bassa intensità. Decide allora di acce are colui con il quale, tra gli uomini vicini a Jiang Zemin, intra iene i rapporti migliori e che, forse, giudica di poter a rarre, in futuro, nella propria orbita.
Tu o è affidato a un burocratico comunicato: «Pechino, 24 marzo.
Il Comitato centrale del Partito comunista cinese ha deciso che il compagno Xi Jinping assuma l’incarico di segretario e membro permanente del Comitato municipale di Shanghai; il compagno Hang Zheng non è più segretario del Comitato del Partito municipale di Shanghai». L’abilità estrema di Xi Jinping, nei mesi della tra ativa, era stata quella di rimanere saldo nella sua corrente di origine e, nel contempo, far capire al segretario Hu Jintao di essere un possibile elemento cerniera, pragmatico e aperto allo scambio.