Per un intero giorno e un’intera no e, piazza Tienanmen era stata tenuta chiusa al pubblico, e migliaia di turisti stranieri, non informati, erano stati respinti. «Non si passa, non si passa» si era ripetuto fino alla noia. In piazza e nei paraggi è previsto un imponente schieramento di forze di sicurezza, oltre duemila tra polizio i e militari. Il 21 marzo 2008 è un gran giorno per la Cina della nuova era, il momento in cui ci si può mostrare al mondo, con tu e le ambizioni. Pechino vuole stupire, rinnovare i fasti imperiali.
Da qualche giorno il Water Cube – la gigantesca stru ura che ospita
la piscina olimpionica per le gare di nuoto – è stato illuminato a festa, gli altri impianti stanno per essere inaugurati a tempo di record. È sopra u o pronto lo stadio nazionale di Pechino, con quella sua particolare archite ura a «nido d’uccello», costato tre miliardi e mezzo, disegnato dallo studio di archite i svizzeri Herzog
& de Meuron, costruito con 45.000 tonnellate di acciaio.
L’inizio della cerimonia è fissato la sera alle 20.08 per esaltare la fiaccola nel buio e perché 20.08 sono le cifre uguali a quelle dell’anno 2008. L’aria è fredda ma limpida, un’eccezione rispe o al cronico inquinamento da smog della capitale, per se imane è stata limitata la circolazione degli automezzi e le emissioni da riscaldamento proprio per abbassare l’intensità della cappa grigiognola che asfissia Pechino.
Al centro della piazza, tradizionale scenario del comunismo cinese, la sobrietà rivoluzionaria ha ceduto il posto a un festoso palco bianco. La kermesse è maestosa, vi partecipano in quindicimila tra atleti e volontari, il regista Zhang Yimou ha lavorato per mesi alla sua perfe a messa in scena, il coreografo Zhang Jimgang ha realizzato uno spe acolare gioco di luci.
Un impacciato Hu Jintao, col solito abito scuro e la crava a rossa, accende la torcia olimpica e la passa all’atleta Liu Xiang, famoso ostacolista, che dà inizio al più lungo e ambizioso giro, che toccherà venti nazioni in 137 giorni, fino al ritorno a Pechino per l’apertura ufficiale dei giochi.
A prendere la parola, poco prima del momento solenne dell’accensione della fiaccola, è Xi Jinping, un intervento per la comunità sportiva internazionale ina eso ma che, invece, è legato a un motivo preciso. Da qualche mese ha sommato, infa i, ai suoi ormai molteplici incarichi, quello di presidente del Comitato statale che sovrintende all’organizzazione dei Giochi. Xi è stato chiamato a cose già avviate, quando la nomenklatura di Pechino, accortasi che erano stati accumulati imperdonabili ritardi e inefficienze, è entrata nel panico. Si decide di commissariare l’organizzazione, chiedendo al leader emergente Xi di assumere la guida del comitato, come vice gli vengono affiancati il capo della polizia Meng Jianzhu e il membro del Comitato permanente dell’Ufficio politico Zhou Yongkang. Per i
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tre, e sopra u o per Xi Jinping, è un rischio immenso. Si sono assunti la grave responsabilità di piani e proge i iniziati anni prima e di cui non sanno nulla. Se le Olimpiadi riescono, Xi ne guadagnerà enorme visibilità e una sorta di consacrazione. Se qualcosa va storto, la sua corsa verso la leadership – che non dipende da questo evento – subirebbe una brusca frenata.
Sul palco c’è un gioco di sguardi con Hu Jintao. È stato il segretario a passargli la «patata bollente». Xi sembra volergli dire:
«Avete provato a farmi fallire ma io ci sono riuscito». In realtà, dichiara poche cose: «Oggi si corona il nostro sogno di ospitare questa manifestazione. La torcia e il suo viaggio uniranno la forza di tu a la nazione, che insieme renderà i Giochi unici e ben gestiti».
Nessun accenno alla fratellanza mondiale, allo spirito olimpico, e alla possibilità di unire in un momento di pace. No, c’è solo spazio per so olineare la «forza di tu a la nazione» cinese.
Il ruolo effe ivo di Xi Jinping è quello di adoperare il pugno di ferro sia per imporre il perfe o svolgimento dei Giochi sia per evitare che possano essere il palcoscenico delle proteste da parte dei gruppi che rivendicano i diri i umani. Le Olimpiadi di Pechino 2008 si svolgono senza particolari problemi organizzativi, la Cina riesce a offrire al mondo intero la vetrina di un paese moderno che corre in economia, come volevano i suoi capi. Dietro la facciata ci sono le violente repressioni, sopra u o in Tibet, gli arresti, le persone scomparse. In realtà, il regime pone pesanti limitazioni nei movimenti ai tanti giornalisti presenti. L’Occidente inoltra proteste, in verità assai blande e formali; per l’Europa e l’America di Obama gli affari con la Cina valgono molto di più. Solo il regista Steven Spielberg compie un a o concreto e si dime e dall’incarico di consulente artistico per le cerimonie di apertura e chiusura. Per Xi Jinping la scommessa è vinta.
Anzi, le Olimpiadi si rivelano anche l’occasione di nuove esperienze politiche e diplomatiche da parte di un dirigente che, fino ad allora, si era occupato esclusivamente di questioni amministrative territoriali. Dal 17 al 19 maggio, Xi si reca in Corea del Nord, e per lui si tra a della prima presa di conta o con il più ortodosso e pericoloso dei regimi comunisti al mondo, che la Cina sostiene e
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utilizza nei suoi rapporti con l’Occidente. Studia con a enzione il dossier e si lascia istruire da Zhang Liangui, l’esperto della Scuola centrale del Partito comunista. In quel periodo Xi assume anche un altro incarico di peso, la direzione dell’Ufficio che si occupa degli affari di Macao e Hong Kong. Per la Cina, le due ex colonie (portoghese la prima, britannica la seconda), sono affari interni, ma al di là delle posizioni formali, sopra u o per il secondo caso, sono innegabili i risvolti internazionali.
De o questo, per Xi Jinping la strada per la leadership assoluta è ancora lunga. A se embre del 2009, a due se imane dalle celebrazioni per la fondazione della Repubblica Popolare di Cina, si tiene il quarto Plenum del partito, che raccoglie duecento membri del Comitato centrale. L’ordine del giorno è vago quanto generico:
«Rafforzare e migliorare la costruzione del Partito in nuove situazioni». L’incontro è rigorosamente a porte chiuse, nessun giornalista è ammesso e non è previsto neppure lo scialbo e controllato briefing a fine giornata. Ci si limiterà a un comunicato finale. Tu i si aspe ano la nomina di Xi Jinping a vicepresidente della Commissione militare centrale, il cuore del potere sostanziale in Cina. Sarebbe la definitiva consacrazione per Xi Jinping. Nel 2012, quando Hu Jintao lascerà l’incarico per aver esaurito il secondo mandato, il successore sarà lui. Del resto, era stato così per lo stesso Hu, nominato alla vicepresidenza della Commissione militare nel 1999 e poi salito al vertice nel 2002. I tempi dunque coincidono.
Accade, invece, qualcosa di assolutamente imprevisto, il Plenum si chiude senza l’annuncio della nomina di Xi.
Le interpretazioni da parte degli analisti di tu o il mondo si susseguono, tu i convergono nel ritenere questa mancata decisione una lampante ba uta d’arresto per la carriera politica di Xi Jinping.
Qualcuno la legge come l’ultimo, disperato tentativo di Hu Jintao di rilanciare l’ascesa del suo delfino Li Keqiang, e me ere in discussione quello che sembrava già scri o.
Xi incassa il colpo, anzi, scrive una le era a Hu Jintao e al Comitato centrale nella quale ringrazia per la mancata nomina, si dichiara ancora impreparato a ricoprire un ruolo così decisivo e chiede tempo per studiare. In realtà, nei mesi successivi si dedica a
un intenso lavorio di relazioni con le forze armate e i loro capi, perp p conquistarne il consenso. Si presenta come il figlio di Xi Zhongxun, eroe della Rivoluzione, e questo richiamo muove le giuste suggestioni.
La questione sarebbe stata risolta un anno dopo, il 18 o obre 2010, con la nomina di Xi Jinping a vicepresidente della Commissione militare centrale. A questo punto non ci sono più dubbi su chi sarà il successore di Hu Jintao.