• Non ci sono risultati.

«Questa sarà la madre dei partigiani.» Dalle cime che dominano la provincia dello Shaanxi, Mao guarda in basso e indica con la mano il Fiume Giallo, dove le vallate si allargano per cedere il posto al secondo corso d’acqua dopo il Fiume Azzurro. È giunto lì con o omila uomini, stremati e demotivati. L’acqua sembra immobile, poi all’improvviso penetra in un canyon e assume forza fino alle cascate di Hukou. Il colore dominante dei luoghi è il giallo ocra, per effe o delle sabbie portate dal vento della Mongolia.

La Lunga Marcia è terminata. L’altopiano di Loess per dieci anni sarà la «casa» del Partito comunista, Yanan la capitale. Un’area di trentamila chilometri quadrati, più grande della Sicilia, con una popolazione di quasi un milione di abitanti.

La mitologia che fiorirà negli anni a venire sosterrà la tesi che in questo luogo inizia la storia della Cina, quasi a voler creare un legame tra il capo comunista e la grande storia nazionale. A parte le esagerazioni, c’è un fondo di verità, perché qui nel 2100 a.C. emerge la dinastia Xia e qui, nel Neolitico, le tribù nomadi imparano a coltivare il miglio e diventano contadini stanziali. Qui giunsero anche, o o secoli fa, le orde dei cavalieri di Gengis Khan.

Yanan gode di una posizione strategica e per questo Mao la sceglie. La chiamerà il «culo della Rivoluzione», altri, meno volgari, la «Mecca del comunismo». È circondata da colline e montagne,

alcune delle quali sono state scolpite nei secoli dai fenomeni di erosione geologica e per questo hanno assunto la dimensione di un’alta barriera naturale. È come se la ci adina potesse contare sulle possenti mura di una fortezza. L’esercito comunista prende infa i subito posizione su queste alture, che nel tempo doterà di infrastru ure militari in grado di renderle inespugnabili. Yanan, inoltre, ha un’altra peculiarità: dispone di centinaia di yaofang (case-gro e), ricavate da cavità naturali, che diventano in breve tempo confortevoli alloggiamenti per i capi del partito e sopra u o rifugi sicuri per sfuggire alle incursioni aeree dei nazionalisti, che hanno il predominio militare dell’aria.

Questa ci adina, fino ad allora un centro agricolo di appena diecimila abitanti, è insignificante per la Cina dell’epoca, ma sarebbe diventata la «capitale rossa» al punto di ospitare negli anni le missioni degli eserciti alleati (sovietici, americani e britannici). Alla fine del 1935 e nei mesi successivi, una volta riorganizzato il suo esercito, Mao si sarebbe aperto un varco verso il confine controllato dai sovietici, in modo da avere una via di approvvigionamento ed eventualmente di fuga. A ogni capo comunista viene assegnata una gro a, chiusa con una parete di ma oni e intonacata all’interno, quella personale di Mao viene dotata di vari comfort. Nelle gro e viene scavato un sistema di cunicoli e di camere, dove vengono stipate le munizioni e gli armamenti per so rarli ai bombardamenti nemici.

Una delle testimonianze sulla «base di Mao», che diventerà famosa nel tempo, è quella resa dal giornalista americano Edgar Snow, che nell’estate del 1936 riesce a raggiungere Yanan penetrando a raverso le linee dei nazionalisti, pronti a chiudere la loro morsa a orno alla regione. Snow è nato nel 1905 a Kansas City, in Missouri, e sin da giovanissimo ha maturato una passione per la Cina. Dopo la laurea e un breve periodo di lavoro nel se ore della pubblicità a Manha an, a ventitré anni arriva a Shanghai per conoscere il paese che ha sognato e apprenderne la lingua. Giornalista ma ancor di più avventuriero, scrive per importanti quotidiani americani, «Chicago Tribune», «The New York Sun» e trova lavoro a «China Weekly Review».

All’inizio Snow è favorevolmente colpito da Chiang Kai-shek e dai nazionalisti, nei quali vede un tentativo di modernizzare la Cina e guadagnare la democrazia. Ma resta sconvolto dalle disparità sociali e dalla povertà. «Per la prima volta in vita mia» scrive «mi trovai di fronte a esseri umani moribondi perché non avevano niente da mangiare. Ne vidi a migliaia morire di fame davanti ai miei occhi.

Avete mai visto un uomo – un uomo onesto che ha sempre lavorato duro, che rispe a la legge, che non fa del male a nessuno – quando non ha mangiato niente da più di un mese? È lo spe acolo più sconvolgente che ci sia. Ha venduto moglie e figlie. Ha venduto anche l’ultimo straccio di decenza e barcolla so o il sole cocente, con i testicoli che penzolano come noccioli di oliva: l’ultima sinistra beffa per ricordarvi che una volta quello era un uomo. Il peggio è che in quelle stesse ci à c’erano ancora i ricchi, gente che accaparrava grano, usurai e proprietari terrieri che accumulavano enormi profi i.»9

Col tempo, il giovane giornalista americano matura una voglia di conoscere, indagare e raccontare questi misteriosi guerriglieri comunisti. A Pechino frequenta gli ambienti dei sostenitori clandestini dei comunisti e grazie all’amicizia con Soong Qing-ling, persona che tiene i conta i tra la base e le ci à cinesi, riesce a o enere l’autorizzazione a raggiungere il comando dei rossi. Il viaggio è rocambolesco e rischioso ma Snow riesce nel suo intento.

Da una delle gro e di Yanan, scrive del suo incontro con l’allora semisconosciuto leader comunista, Mao Zedong. «Il 16 luglio 1936 ero seduto su uno sgabello in casa di Mao. Erano le nove di sera, il

“silenzio” era già suonato e fuori le luci erano spente. Le pareti e il soffi o della casa erano di roccia, il pavimento di ma oni. La signora Mao era nella stanza accanto, occupata a preparare una compote di pesche selvatiche. Mao sedeva con le gambe accavallate in un profondo sedile scavato nella parete di roccia e fumava una sigare a Chien Men.»

Mao già all’epoca è un abile comunicatore e utilizza Snow per diffondere notizie e raggiungere così il mondo esterno: la Cina sta per subire la definitiva aggressione giapponese, e gli Stati Uniti sono

l’unica vera potenza in grado di aiutare il grande paese asiatico. Mao vuole accreditarsi come l’interlocutore privilegiato non solo per l’Urss, con cui ha una comunanza ideologica, ma anche per l’Occidente liberale, allo scopo di ricevere soldi e armamenti.

Per qua ro mesi il giornalista americano vive con i guerriglieri rossi, mangia e dorme insieme a loro. La sera cena con Mao, conversa con lui, prende appunti. Anche se dichiarerà di non aver mai subito pressioni, i suoi testi saranno rivisti minuziosamente dai collaboratori di Mao e dal leader stesso. Gli articoli cominceranno a essere pubblicati negli Stati Uniti non appena Edgar Snow riapparirà a Pechino dopo un misterioso viaggio di ritorno e saranno la base di Stella rossa sulla Cina (Red Star Over China), libro destinato a diventare un bestseller mondiale, una le ura cult dei radical chic occidentali infiammati dal maoismo durante il Sessanto o e che renderà Snow famosissimo. Fino al 1944 nessun altro giornalista riuscirà ad avere conta i con il grande capo comunista. La critica accuserà Snow di essersi lasciato volutamente manipolare, di aver concluso un pa o:

una descrizione benevola della leadership comunista in cambio di uno scoop assoluto. In effe i, i toni usati in certi passaggi tradiscono un cedimento alla retorica: «Mao viveva con sua moglie in una yaofang dalle pareti nude, povere, tappezzate con qualche carta geografica. Una zanzariera era l’unico lusso che la coppia si era concessa. Possedeva solo le coperte da le o e due uniformi di cotone.

Era presidente del governo e uno dei comandanti in capo dell’Armata Rossa, ma sul risvolto della giacca portava il distintivo di qualsiasi soldato semplice […] Aveva un senso profondo di dignità personale».10 Snow esalta anche l’organizzazione sociale creata dai comunisti nelle zone di loro influenza: «La corruzione dei funzionari era una cosa quasi impossibile e l’acca onaggio e la disoccupazione sembravano quasi essere stati liquidati… Durante tu o il mio viaggio nelle zone rosse non ho visto un solo mendicante».11

Queste descrizioni idilliache sono state smentite dalla storiografia, che negli ultimi decenni ha raccolto sull’argomento numerose testimonianze. Nelle zone controllate dai rossi, per esempio, si vive

nel terrore e il ricorso a una ferrea disciplina lascia presagire le future espressioni totalitarie della Cina comunista. Lo storico tedesco Kai Vogelsang scrive: «Le condizioni di vita a Yanan erano dure, e il sistema non era né egualitario (i quadri di partito avevano vestiti più caldi, pasti più nutrienti, abitazioni più grandi, Mao aveva perfino una limousine) né particolarmente umanitario».12 E aggiunge:

«Sopra u o, il regime di Yanan non era liberale o democratico ma l’opposto: era totalitario. A Yanan il Partito comunista esercitò il potere con le tecniche delle quali si sarebbe servito anche più tardi…».13

La cosidde a Lunga Marcia era durata 370 giorni, più di un anno, e tu o quel tempo era stato impiegato per percorrere la distanza, di dodicimila chilometri, che separa lo Jiangxi dallo Shaanxi, a raversando montagne senza strade, aree desertiche e insalubri, fiumi poderosi, come lo Yang e, foreste, zone infestate dalla malaria. Fu certamente un’impresa, ma non sempre la narrazione ex post corrisponde ai fa i realmente accaduti. La storiografia ha ormai accertato l’errore fatale commesso da Chiang Kai-shek, che non volle assestare il colpo definitivo all’esercito rosso, pensando di poterlo utilizzare contro i vari signori della guerra.

La scri rice cinese Sun Shuyun ha so olineato che «ogni nazione ha bisogno di un mito fondatore e per la Cina comunista questo mito è la Lunga Marcia. Per noi è una storia che ha lo stesso valore dell’Esodo dall’Egi o so o la guida di Mosè per gli ebrei. Ogni cinese sa raccontare a memoria questa storia: sa che i primi duecentomila comba enti comunisti furono cacciati dalle loro basi meridionali negli anni Trenta; sa che incalzati e braccati dai nazionalisti scelsero la sola via di salvezza: andare dove nessuno avrebbe potuto inseguirli, sopra montagne così alte che neppure gli uccelli vi arrivano a volare, a raverso fiumi dove ponti e ba elli erano stati bruciati, dentro paludi e trappole mortali».14