Definirlo un ponte è davvero arduo. In realtà, è una passerella lunga circa cento metri e larga tre, fa a con catene di ferro sospese nel vuoto. È percorribile solo a piedi, al massimo con un carre o e qualche animale. Appena lo scorgono, da lontano, gli ufficiali comunisti agli ordini del generale Lin Biao si accorgono subito che alcune assi di legno sono state tolte, creando dei buchi enormi. Chi percorre il ponte rischia di precipitare nel nulla. Sul lato opposto è stato pure appiccato il fuoco ad alcuni cespugli. L’unico modo per andare avanti è aggrapparsi alle catene, anche perché, so o, le acque corrono torbide e furiose tra le rocce ed è impensabile poterle a raversare a nuoto.
Il ponte Luding era stato costruito nel 1705, quando l’amministrazione imperiale cinese era un modello di efficienza, collocato su una delle più importanti strade della Cina: quella che dal Sichuan va verso il Tibet. Nelle successive, violente contese tra i
«signori della guerra» che avevano accompagnato la lenta decadenza dell’Impero nessuno si era preso cura di custodirlo, tantomeno sostituirlo con uno in muratura. Erano i trafficanti di oppio che percorrevano quel tra o di strada, tra Kanding e Moxi, a provvedere di tanto in tanto a qualche intervento di manutenzione.
Dopo un lungo, freddo e tragico inverno, finalmente il clima si era fa o più mite. Era solo un piccolo sollievo per la I Armata, rispe o a una marcia fa a di morte e dolore. O o mesi in fuga dai nazionalisti, senza sostegni e tra mille insidie.
È la ma ina del 29 maggio 1935 quando le avanguardie rosse giungono in vista del fiume Dadu, un affluente del fiume Min, situato lungo i confini del Sichuan e della provincia dello Xikang. Il corso d’acqua si muove come un serpente a raverso una stre a gola, tra due montagne ripide. Per passare dall’altra parte c’è solo quel passaggio pericolante e rischioso. I nazionalisti hanno intuito le intenzioni dei comunisti e hanno occupato la zona, sistemando sul lato destro alcuni nidi di mitragliatrici.
Dal comando della I Armata è arrivato un ordine perentorio e chiaro: «Il ponte va conquistato a ogni costo, non importa quante perdite subiremo».
Lin Biao, giunto anche lui in vista del fiume, chiede agli ufficiali di organizzare un gruppo di assalto, soldati agili e capaci di passare nei punti privi di assi aggrappandosi alle sole catene. Nessuno crede che l’impresa sia praticabile, chiunque finirebbe per diventare un facile bersaglio dei nazionalisti pronti a sparare. «Chi è così pazzo da fare questa cosa?» pensano quasi tu i.
La narrazione dominante e ammantata di retorica di quei momenti vuole che in venti si siano offerti volontari. La metà muore so o la gragnola di colpi che arrivano dalle mitragliatrici ma gli altri passano, velocissimi, arrampicandosi tra le catene, armati di bombe a mano, colpendo le prime postazioni del Kuomintang. Dietro di loro, arriveranno gruppi più nutriti. Lin Biao aveva però avvertito i
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suoi uomini: «Potete solo avanzare, non si torna indietro» ordinando alla polizia, in caso contrario, di fare fuoco.
Questa storia, riprodo a in decine di libri, ogge o di documentari e ricostruzioni cinematografiche, diventerà un capitolo irrinunciabile nella narrazione epica della Lunga Marcia. Non solo. Il passaggio del fiume Dadu è il sogge o di quadri, poster, murales e rimane uno degli episodi più celebri e rappresentativi dell’iconografia comunista del Novecento.
Tu avia, secondo il parere di autorevoli storici, si tra a di un falso clamoroso. Il passaggio del fiume Dadu non fu teatro di alcuno scontro né vide a i di eroismo da parte dell’esercito comunista. Su questo punto, Jung Chang e Jon Halliday sono molto ne i e scrivono: «È pura invenzione. Sul ponte Dadu non avvenne alcuna ba aglia. Molto probabilmente la leggenda è stata creata per via del luogo stesso: il ponte di catene sospeso sulle acque torbide era perfe o per ambientarvi gesta eroiche. Infa i, il 29 maggio, sul ponte non c’era alcun soldato nazionalista quando arrivarono i rossi».6
La tesi viene argomentata con una serie di circostanze e riferimenti, con citazioni da documenti ufficiali del Partito comunista. «La prova più schiacciante che confuta completamente il mito della lo a “eroica”» argomentano i due studiosi, «poggia sul fa o che non ci furono caduti in ba aglia. L’Armata Rossa a raversò il ponte senza contare una sola vi ima tra le sue file. L’avanguardia era composta da ventidue uomini che, sempre secondo il mito, si sarebbero ge ati sul ponte in un a acco suicida; tu avia, durante una celebrazione che si tenne subito dopo, il 2 giugno, i ventidue non solo erano vivi e vegeti, ma riceve ero ciascuno un abito “alla Lenin”, una penna stilografica, una ciotola e un paio di bacche e.
Non vi fu nemmeno un ferito.»7
Decisivo appare il racconto del passaggio sul ponte di Zhou Enlai:
«La guardia del corpo di Zhou Enlai raccontò che Zhou, addolorato perché un cavallo era finito nel fiume, verificò di persona le perdite umane. “Nessun caduto?” domandò a Yang Cheng-wu, il comandante dell’unità che aveva preso il ponte, il quale rispose:
“Nessuno”. Di certo, la più incapace difesa avrebbe causato almeno
un morto». Per suffragare la loro tesi, gli autori si rifanno anche a una fonte insospe abile (in un paragrafo che stranamente è stato omesso dalla versione italiana del testo). Si tra a di una dichiarazione dello stesso Deng Xiaoping che nel 1982, parlando dell’a raversamento del ponte sul fiume Dadu, pronunciò queste testuali parole: «Be’, questo è il modo in cui l’avvenimento è stato presentato dalla nostra propaganda [...] In realtà, si tra ò di un’operazione militare molto semplice. Non ci fu molto da fare.
Dall’altra parte c’erano solo pochi soldati del Signore della Guerra locale armati di vecchi mosche i e non si tra ò di un’impresa eroica ma noi pensammo che sarebbe stato meglio drammatizzarla».8
È più probabile che nei pressi del ponte Luding sia accaduto un fa o che si ripete sovente durante la Lunga Marcia. Sulla carta, il leader nazionalista Chiang Kai-shek dispone di un grande esercito, oltre un milione di uomini. In realtà, le sue forze sono un aggregato di milizie guidate da comandanti locali che spesso provvedono a loro spese al mantenimento delle proprie unità. Si tra a di signori della guerra che si tramandano da generazioni, di padre in figlio, questi potentati militari. In linea di massima, sono tu i ferventi anticomunisti, ma all’epoca, quando una vi oria dei nazionalisti era ritenuta più che verosimile, in tanti temono di perdere spazi di autonomia con il ritorno di un forte potere centrale. In particolare, dubitano che Chang Kai-shek possa interrompere i loro traffici, a cominciare da quello, ricchissimo, della droga. In effe i, coloro che avrebbero dovuto sbarrare il passo ai comunisti, i comandanti nazionalisti Li Quanshan e Yuan Guorui, rispe ivamente capo di brigata e di divisione, sono sopra u o due ricchi trafficanti di oppio.
L’area geografica in cui ricade il ponte appartiene al signore della guerra Liu Wenhiu, impegnato in una lunga contesa con suo nipote, Liu Xiang, un altro signore della guerra. Un contesto dunque assai complicato, cara erizzato da alleanze strumentali che si fanno e si disfano nello spazio di pochi giorni, a seconda delle esigenze ta iche dei comandanti e degli eserciti locali. Su tu o, domina il traffico di oppio ed eroina.
Pur dichiarandosi dalla parte di Chiang Kai-shek, i «signori della guerra» in fondo pensano che sia meglio mantenere la situazione aperta, senza un vincitore finale, proprio perché credono, così facendo, di poter neutralizzare gli obie ivi politici del leader del Kuomintang, che vuole restaurare un marcato potere centrale, come quello dei fasti dell’Impero, ed è un feroce oppositore degli affari legati al mercato degli stupefacenti.
I comunisti avrebbero potuto essere fermati agevolmente sullo scalcinato ponte Luding ma alla fine i capi locali delle forze nazionaliste avevano pensato che era meglio lasciarli passare.
Nel fra empo, va ricordato che a complicare l’esito della Lunga Marcia interviene un ostacolo ulteriore, le Grandi Montagne Nevose, per scalare le quali parecchi uomini moriranno assiderati.
Ciononostante, a fine giugno, Mao riesce finalmente a incontrare la IV Armata di Zhang Guotao a Mao’ergai, nel Sichuan se entrionale.
L’incontro è all’apparenza cordiale, fa o di abbracci e sorrisi. Oltre i convenevoli, però, tra i due ci sono visioni molto diverse e una so erranea rivalità.
La I Armata di Mao arriva all’appuntamento con soli quindicimila uomini, tu i gli altri sono stati falcidiati dalle condizioni estreme e proibitive incontrate lungo il cammino, mentre Zhang Guotao dispone di un esercito di o antamila soldati. A dispe o di questa situazione, però, l’intero apparato politico del partito, dal Politburo al Comitato centrale, ai segretari territoriali di tu a la Cina, è saldamente controllato da Mao. C’è una profonda divergenza sulla strategia da porre in essere: Mao ritiene che quel che resta dell’esercito comunista debba portarsi nel Nordovest, al ridosso dei confini, per creare una nuova repubblica con il sostegno dei sovietici.
Zhang, invece, è convinto che ci si debba spostare verso est e cominciare la guerra contro gli invasori giapponesi. Al termine dell’incontro, i due capi rossi non riescono però a superare la soglia di una reciproca rispe abilità formale e ciascuno rimane convinto della propria opinione. Il risultato è che Mao riprende la marcia verso nord e nell’agosto del 1935 a raversa le terribili paludi delle Grandi Praterie, un altopiano a tremilacinquecento metri di quota, nella regione di Gansu. In autunno, finalmente, quello che rimane
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della I Armata rossa raggiunge lo Shaanxi se entrionale, un’area dove da qualche anno alcuni comba enti comunisti avevano costituito un Soviet e un territorio indipendente, con a capo il generale Gao Gang, carismatico comandante militare, l’uomo che negli anni Cinquanta sarà ferocemente invidiato da Mao, fino a diventare protagonista di un delicato scontro ai vertici del partito.
Senza il «porto sicuro» costituito da Gang, la marcia di Mao sarebbe finita in rovina perché la sua forza si era rido a a poche unità senza sostegni. Lui e i suoi uomini sarebbero stati spazzati via da qualche signore della guerra locale.