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Sociologie della città

Appendice 2 – Ogni giorno in Europa

10. Città, spazi e dispositivi di controllo

di Chiara Fonio∗

1. Introduzione

Il problema del controllo sociale in ambito urbano dovrebbe essere ora- mai considerato come parte integrante non solo dei “surveillance studies”, ma anche della sociologia urbana. Quest’ultima, infatti, è chiamata a dover approfondire una tematica erroneamente associata a un unico ambito di studi, quello della sicurezza. In questa sede dimostreremo, invece, che il rapporto tra l’utilizzo delle nuove tecnologie e il tessuto urbano al fine di ottenere un maggior controllo sociale va inserito a pieno titolo all’interno di un percorso eminentemente sociologico. Per comprendere come questo rapporto sia cambiato durante il XX secolo, occorre infatti partire dal mo- mento in cui lo spazio è diventato il protagonista principale di alcune spe- culazioni teoriche dirette a fornire risposte concrete riguardanti l’annoso problema della criminalità all’interno dei grandi agglomerati urbani. Occor- re, cioè, individuare un continuum, la logica di fondo che si è di volta in volta manifestata e imposta. La domanda alla quale ci proponiamo di ri- spondere è infatti la seguente: come si è arrivati a una specifica elabora- zione dei concetti di spazio urbano e di controllo sociale che ha privilegia- to l’utilizzo dei dispositivi di controllo elettronico per arginare il problema della criminalità? Chiariamo fin da ora che ci occuperemo dei mezzi tec- nologici più utilizzati in questo ambito, ovvero le telecamere di videosor- veglianza. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un forte aumento delle telecamere all’interno delle nostre città: riteniamo sia arrivato il momento di riflettere attentamente intorno a che cosa sia diventato il controllo oggi. Per rispondere alla domanda poc’anzi formulata, ci sembra opportuno sof- fermarci brevemente sui presupposti culturali che hanno causato alcune im- portanti trasformazioni nel controllo della criminalità.

∗ Dottoressa di ricerca in Sociologia e Metodologia della Ricerca Sociale, Chiara Fonio collabora con il Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano.

I cambiamenti macro sociali che hanno contraddistinto i decenni succes- sivi alla seconda guerra mondiale, hanno avuto un impatto anche sull’approccio nei confronti del controllo sociale. Il benessere materiale, che ha investito larghe fasce di popolazione nella maggior parte dei paesi occidentali, ha infatti aumentato le opportunità di commettere degli atti de- vianti: nel ventennio compreso tra gli anni ’60 e gli anni ’80 il numero di reati è aumentato vistosamente1. Un esempio può essere individuato nelle automobili che sono diventate contemporaneamente status symbol del nuo- vo benessere e appetibili bersagli di reato. L’aumento della criminalità, le violenze del terrorismo di matrice politica e le lotte per i diritti civili della fine degli anni ’70, hanno indirizzato le risposte istituzionali verso un’interpretazione specifica del “nuovo stato di cose”2. Gardland sottolinea che la criminalità incomincia a essere considerata come un evento atteso, un “fatto sociale normale”3, un aspetto ineludibile della tarda modernità. Questo cambiamento di prospettiva ha stimolato delle risposte adattative da parte delle istituzioni che hanno appoggiato politiche di prevenzione più incentrate sulle conseguenze dei crimini che sui devianti, e maggiormente attente alle vittime nonché al nuovo clima di incertezza e paura causato dai reati4. Le risposte politiche non si sono fatte attendere e, nell’ambito del controllo sociale, hanno avuto pieno sviluppo proprio all’interno delle cri- minologie della vita quotidiana. Queste ultime possono considerarsi la con- seguenza più evidente dei cambiamenti sociali ai quali si è accennato pre- cedentemente e hanno come presupposto teorico ciò che viene considerato come un dato di fatto: gli atti devianti non hanno un’origine patologica ma si inseriscono piuttosto nella normale routine quotidiana all’interno delle “tendenze motivazionali comuni”5. Il soggetto principale della giustizia pe- nale non è più il criminale, bensì le vittime potenziali, le situazioni che fa- voriscono la criminalità - le cosiddette situazioni criminogenetiche -, ovve- ro le occasioni che “fanno l’uomo ladro”. Il controllo entra, come mette ben in evidenza Gardland, nelle interazioni di tutti i giorni, per esempio attra- verso l’installazione di telecamere nelle vie delle metropoli contemporanee.

In questo clima sociale e con questi presupposti culturali e politici, le celebri proposte del criminologo Ronald Clarke trovano ampio seguito. In

1. D. Gardland, La cultura del controllo. Crimine e ordine sociale nel mondo contempo-

raneo, Il Saggiatore, Milano, 2004: p. 178.

2. Ibid.: p. 199. 3. Ibid.: p. 200. 4. Ibid.: p. 209. 5. Ibid.: p. 228.

un articolo significativamente pubblicato negli anni ’80, lo studioso affer- ma che gli approcci criminologici incentrati sulle predisposizioni individua- li nei confronti di atti devianti hanno causato alcuni problemi6. L’approccio “psicologico” nei confronti della criminalità può risultare poco utile in ter- mini di prevenzione. Sia l’esame delle condizioni sociali sia l’analisi psico- logica fanno parte di un processo delicato che non garantisce, proprio a causa dell’intrinseca complessità, dei risultati tangibili. Clarke suggerisce piuttosto di esaminare quelle che chiama le “immediate situational varia- bles”, ovvero le variabili spaziali e temporali connesse a specifici atti cri- minali, come i furti all’interno delle case. Questi aspetti potrebbero essere modificati in due modi: attraverso la riduzione di opportunità legate all’ambiente fisico, e con l’aumento del rischio per il deviante di essere col- to sul fatto. Successivamente7, Clarke specificò ulteriormente le sue rifles- sioni proponendo molteplici misure (1995) che agiscono direttamente sull’ambiente; tre di esse sono connesse a pratiche di sorveglianza: la sor- veglianza formale (per esempio guardie di sicurezza), la sorveglianza attra- verso del personale specializzato (per esempio gli operatori alla videosor- veglianza), e quella spontanea, come quella che può derivare dallo sguardo attento del vicino di casa. Le altre tecniche hanno che fare con pratiche di controllo informale, come i controlli sulla vendita di armi. Dopo una de- scrizione dei vantaggi che possono essere ottenuti con questi mezzi in di- versi paesi del mondo, Clarke non nasconde gli aspetti negativi identificati nello spostamento dei crimini in altri luoghi, il cosiddetto “crime displace- ment” e i “dilemmi etici” legati alla privacy. Se questo approccio può, quindi, migliorare le cose, non è sicuramente in grado di risolvere l’annoso problema della criminalità, anche perché non è del tutto privo di rischi ine- renti alla sfera personale degli individui coinvolti.

Le proposte di Clarke hanno aperto la strada a un approccio specifico nei confronti dello spazio e del controllo sociale. Va messo in evidenza che senza la “cornice” spaziale questo approccio non sarebbe mai stato conce- pito. Senza una specifica filosofia dello spazio e del controllo sociale incen- trata sulla possibilità di modificare il primo per avere degli effetti concreti sul secondo, le nostre città avrebbero un aspetto diverso rispetto a quello

6. R. Clarke, Situational Crime Prevention, Theory and Practice, in British Journal of

Criminology, 20, 1980: pp. 136-147.

7. R. Clarke, Situational Crime Prevention in Torny, M. e Farrington, P., a cura di,

Building a Safer Society: strategic approaches to crime prevention. Crime and justice: a review of research, Chicago University Press, Chicago, 1995.

che hanno assunto negli ultimi anni. Abbiamo quindi deciso di incomincia- re dal momento in cui il controllo sociale, in connessione con l’ambiente fisico, ha iniziato ad avere un ruolo di primo piano all’interno delle teorie sociologiche, in particolare, negli apporti teorici della scuola di Chicago.

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