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La dimensione spaziale della vita sociale

4. Lo spazio politico: territori, confini, potere

di Damiano Palano∗

1. “Mobilis in mobile”

«Il mare non appartiene ai despoti. […] Alla sua superficie essi possono ancora esercitare diritti iniqui e battersi, divorarsi, recarvi tutti gli orrori della terra; ma trenta piedi sotto il suo livello, il loro potere cessa, la loro influenza si estingue, tutta la loro potenza si estingue. […] Qui soltanto è indipendenza, qui non riconosco padroni, qui sono libero!»1. Quando dava alle stampe il suo memorabile Ventimila leghe sotto i mari – in cui erano contenute queste parole, pronunciate dal capitano Nemo – Jules Verne non sospettava probabilmente di fornire, con un secolo di anticipo, una sugge- stiva prefigurazione letteraria della fatale divaricazione fra lo spazio degli Stati e lo spazio dei flussi globali che avrebbe iniziato a palesarsi negli ul- timi decenni del Novecento. Se il motto del Nautilus – “Mobilis in mobile” – stava infatti a indicare la capacità del mitico sottomarino del capitano Nemo di muoversi all’interno di uno spazio fluido come quello marino, in qualche modo, esso prefigurava anche la realtà di quei flussi di merci, per- sone, comunicazioni, che oggi attraversano più o meno agevolmente le frontiere degli Stati. Il sogno anarcoide coltivato dal capitano Nemo antici- pava così l’idea, divenuta familiare soltanto alla fine del XX secolo, di sfruttare le conquiste tecnologiche per affrancarsi dal controllo degli Stati e dei loro apparati, tuffandosi – in un esodo definitivo dalla vita stanziale – nella mobilità assoluta di uno spazio fluido e tendenzialmente illimitato.

Benché Verne assegnasse al misterioso Nautilus il ruolo di alfiere della causa dei popoli in lotta per la loro indipendenza, il miraggio di una totale

∗ Damiano Palano è professore associato di Scienza politica presso la facoltà di Scienze politiche dell'Università Cattolica di Milano, dove insegna Sistemi politici comparati e Re- lazioni internazionali. Si occupa di questioni di teoria politica e delle trasformazioni politi- che e istituzionali legate ai processi di globalizzazione. Tra i suoi lavori, le due monografie

Il potere della moltitudine (Milano, 2002) e Geometrie del potere (Milano, 2005).

emancipazione dai poteri terrestri non ha trovato la prima concreta realiz- zazione nell’internazionalismo dei movimenti rivoluzionari novecenteschi, ma nell’assoluta libertà concessa ai flussi finanziari dallo sviluppo delle reti telematiche. L’emancipazione dallo Stato e la “definitiva” extraterritoriali- tà, che il Nautilus aveva raggiunto immergendosi nelle profondità degli o- ceani, si sono così materializzate nell’affrancamento del capitale dalle bri- glie dei controlli politici, nella sua liberazione dai vincoli territoriali e nella sua apparentemente inarrestabile mobilità. E, mentre il Nautilus – insieme ai segreti del suo capitano – era destinato a inabissarsi sul fondo del mare, colpito dalle flotte proprio dei vecchi Stati, le armi di questi ultimi appaio- no invece decisamente meno adeguate dinanzi alla sfida delle nuove dina- miche globali.

Nonostante il mare celebrato da Nemo non coincida certo con il nuovo spazio immateriale in cui fluttuano gli scambi finanziari e comunicativi, molte delle caratteristiche di questa dimensione – come l’estensione ten- denzialmente infinita, l’assenza di stabili geometrie, l’estrema fluidità e l’incessante movimento – hanno giustificato nell’ultimo decennio il fiorire di analogie centrate sulla millenaria iconografia della contrapposizione fra terra e acqua, fra la stabilità del territorio e l’inafferrabile mobilità del ma- re, fra la concretezza materiale del suolo e il fluido nomadismo delle cor- renti. In un suo noto lavoro, focalizzato sull’idea del passaggio dalla società industriale novecentesca a un nuovo ancora magmatico assetto, anche Zygmunt Bauman, per esempio, non ha potuto evitare la seduzione di que- sta immagine, ridefinendo la “società del rischio” proprio nei termini di una inedita “modernità liquida”, segnata dalla contrazione del tempo e dall’affrancamento dell’economia dalla stanzialità del luogo, la cui vittima principale sarebbe proprio la politica, irrimediabilmente ‘statica’, ‘incatena- ta’ al suolo e dunque incapace anche solo di imbrigliare temporaneamente i flussi economici. Con l’avvento della globalizzazione, il capitale, secondo Bauman, sarebbe infatti «diventato extraterritoriale, leggero e libero in una misura mai vista prima», mentre il suo livello di mobilità spaziale sarebbe ormai «quasi sempre sufficiente a ricattare gli organismi politici legati al territorio e a imporre la sottomissione alla loro richieste», proprio grazie alla minaccia di «rompere i legami locali e spostarsi da qualche altra par- te»2.

L’obiettivo di questo capitolo non è naturalmente formulare delle previ- sioni intorno agli sviluppi futuri della contrapposizione fra lo spazio degli Stati e lo spazio dei flussi. Più semplicemente, nelle prossime pagine verrà

considerato il processo di costruzione dello spazio che caratterizza, in modo specifico, la dimensione “politica” dei processi sociali. Come mostrano gli altri capitoli compresi in questo volume, la costruzione di uno “spazio” è sempre un fenomeno estremamente complesso, in cui le dimensioni simbo- liche si intrecciano anche con implicazioni di potere. Pertanto, sarebbe in- genuo ritenere che la “politica” incominci soltanto laddove si riconoscano l’azione dello Stato o delle organizzazioni ‘specificamente’ politiche. La prospettiva con cui in questo capitolo viene affrontato il problema dello “spazio” si focalizza però, in modo particolare, su quella dimensione che – nella storia della modernità europea – ha caratterizzato la sfera della politi- ca: la ricerca di un dominio stabile, esercitato sulla popolazione compresa all’interno di un territorio più o meno chiaramente delimitato da confini. In particolare, un simile problema – che nasconde molte più ambiguità di quanto non sembri – viene osservato a una serie di livelli differenti: in pri- mo luogo, viene ricostruito il legame fra la politica e il dominio di un terri- torio; in secondo luogo, sono delineate le tappe attraverso cui il processo di statalizzazione è giunto alla definizione della spazialità politica moderna; infine, lo sguardo si rivolge verso le trasformazioni che oggi sembrano por- re in crisi quell’assetto spaziale.

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