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Sociologie della città

Appendice 2 – Ogni giorno in Europa

4. Movimenti, conflitti urbani e il futuro della città

Da questo excursus, pur con gradazioni differenti secondo il tipo di so- cietà a cui facciamo riferimento, i territori urbani appaiono caratterizzarsi sempre più dall’istituzionalizzazione di processi segregativi e auto- segregativi che alimentano simbolicamente e realmente una progressiva di- stanza tra i luoghi e le persone che in essi vivono.

Il problema sul quale è opportuno soffermarsi riguarda le conseguenze di tale segmentazione socio-territoriale sul piano politico, ovvero sulla pre- senza o assenza di istanze conflittuali che possano rivendicare un progetto di città diverso. È del tutto scontato affermare che la società urbana sia sempre stata il luogo per eccellenza del conflitto sociale, indirizzato a met- tere in discussione la legittimità di un determinato ordine socio-spaziale. Abbiamo considerato come la conflittualità sorta nelle fabbriche si estende- va al fuori di esse, ponendo al centro del dibattito la questione del diritto alla città, nel suo significato di miglioramento delle condizioni di vita e di contrasto alla marginalità, attraverso la diffusione e la qualità dei servizi, l’intervento a ridurre i costi degli alloggi, la richiesta di avere voce in capi- tolo sui contenuti delle politiche urbanistiche. I nuovi movimenti sorti alla fine degli anni ’70, quello ecologista e femminista, hanno contribuito ulte- riormente a riformulare i caratteri delle società urbane, ampliando gli ambi- ti d’intervento, le aree verdi, la mobilità e i trasporti, la strutturazione degli orari urbani e dei servizi secondo la dimensione di genere.

Passata questa stagione, le successive trasformazioni sociali, economi- che, culturali hanno di fatto ridotto la capacità di organizzazione e mobili- tazione. Le ragioni addotte per comprendere la situazione attuale, tra le quali la fine delle ideologie, il prevalere di politiche neo-liberiste, la fram- mentazione delle identità collettive, la precarizzazione delle forme lavorati- ve, l’aumento della vulnerabilità sociale, sono tutte valide sul piano analiti- co e riflettono gli stessi meccanismi all’opera nei processi di esclusione so- ciale discussi precedentemente.

Individuando la metamorfosi della questione sociale in questione urbana abbiamo richiamato la crescente importanza assunta dagli interventi pub- blici localizzati nelle aree degradate che sottolineano la difficoltà di costrui- re un processo autonomo di aggregazione e rivendicazione collettiva. Negli ultimi anni, inoltre, a rimarcare la differenza rispetto al passato gran parte

delle politiche di riqualificazione urbana avviate in alcuni paesi Europei pongono la partecipazione degli abitanti come risorsa per l’attuazione dei progetti. Questa prospettiva assume un valore indiscutibile nel momento in cui sono condivise le finalità degli interventi, allo stesso tempo però evi- denzia implicitamente la scomparsa della dimensione politica in grado di rappresentare gli interessi degli esclusi e di avanzare nuovi modelli di citta- dinanza urbana al di fuori di una logica assistenzialitica. In una ricerca sulle forme partecipative nei quartieri di edilizia pubblica nelle periferie francesi, l’autore sintetizza in maniera efficace la situazione scrivendo che oramai al militante politico si è sostituito l’assistente sociale47. Le esperienze promos- se in alcune realtà urbane relative alla realizzazione e alla diffusione di strumenti di partecipazione locale sono assai importanti per orientare le scelte verso una più estesa inclusione sociale, ma spesso non sono in grado di mutare la direzione verso un’accentuazione delle distanze socio-spaziali e il primato delle logiche di mercato

Lo svuotamento nella sfera pubblica di movimenti e identità collettive ha favorito l’ampliarsi di pratiche conflittuali violente prive di finalità di cambiamento e nello stesso tempo il progressivo ritiro volontario o forzato di parte della popolazione urbana dagli spazi pubblici diventa causa ed ef- fetto del diffuso sentimento d’insicurezza e paura.

In tale cornice frammentata e dominata da dinamiche centrifughe, i mo- vimenti e i conflitti interni alle società urbane assumono caratteri specifici e localizzati. Prendendo spunto dalle riflessioni di Manuel Castells, emergo- no due distinte tipi di mobilitazione: l’una fondata su contenuti difensivi e di reazione a eventi localizzati, ben esemplificata dalla cosiddetta sindrome NIMBY48, l’altra che enfatizza una dimensione progettuale ovvero indivi- dua obiettivi generali di miglioramento delle condizioni di vita49. Nel primo caso, i temi del conflitto si esprimono attraverso il rifiuto di scelte ammini- strative che vanno dalle lotte contro insediamenti inquinanti o contro l’insediamento di soggetti stigmatizzati (es. campo nomadi), nel secondo troviamo un indirizzo più universalistico che tenga conto delle differenze in gioco al fine di condividere il più possibile le possibili soluzioni.

47. Vedi Dubet F., Les figures de la ville et la banlieue, in Sociologie du Travail, n. 2, 1995.

48. Not In My Back Yard, che si può tradurre in italiano “non nel mio giardino”. 49. Castells M., Il potere delle identità, 1997, ed. cit. Università Bocconi Editore, Mila- no, 2003.

A queste due polarità, sempre secondo il sociologo catalano, vi è da ag- giungerne una terza la quale si esprime con modalità di resistenza ai pro- cessi di esclusione sociale e/o di omologazione culturale. Gli esempi sono riconducibili in gran parte alle forme di mutuo-aiuto presenti nei quartieri deprivati sia delle metropoli del Terzo Mondo sia delle nostre città, ai mo- vimenti degli squatters (occupanti abusivi), alle prassi di autogestione di servizi sociali.

La linea rossa che unifica questi modelli rivendicativi, pur nella loro va- sta e articolata espressione e delle differenti soggettività che li sostengono, è la mancanza di una visione comune che possa aprire un dialogo tra le ri- spettive motivazioni e aspettative al fine di costruire quella che Bauman de- finisce agorà, ovvero un nuovo spazio dove i problemi privati, locali si connettono in modo significativo consentendo di generare e sostenere idee quali “bene pubblico”, “società giusta” e “valori condivisi”. Questo spazio ideale deve necessariamente trovare dei riferimenti empirici, associazioni, istituzioni che spingano alla sua formazione nei diversi livelli di rappresen- tanza e di intervento senza di per sé negare il conflitto come base per il cambiamento. In parte ciò sta avvenendo, come detto poc’anzi, attraverso l’implementazione di politiche urbane nelle aree più svantaggiate incentrate sul coinvolgimento attivo dei residenti. Certo è molto più facile immagina- re che ciò possa accadere nelle società occidentali, nei quali i meccanismi di democrazia più solidi hanno contribuito a dar vita a un fitto e denso tes- suto rappresentativo, piuttosto che in altri paesi del Sud del pianeta. Tutta- via non è scontato che in tali realtà segnate da povertà e segregazione diffu- se non si possano sperimentare forme di rappresentanza inedite e inclusive, come dimostrato dall’esperienza di Porto Alegre e il suo modello di bilan- cio partecipativo divenuto un punto di riferimento nelle politiche urbane.

In conclusione, nell’era della globalizzazione paradossalmente il territo- rio, e le pratiche sociale locali che contribuiscono a dargli forma e sostanza, torna ad essere il centro della riflessione.

L’emergere di nuovi bisogni, di nuovi attori sociali, di nuove forme pos- sibili di giustizia sociale trovano quindi nella città un laboratorio significa- tivo dove ricercare soluzioni che possano, se non eliminare le distanze so- ciale e fisiche, almeno ridurle.

8. Tra marginalità e sviluppo urbano:

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