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Sociologie della città

Appendice 2 – Ogni giorno in Europa

7. Territorio, stratificazione e conflitti: distanze fisiche e distanze social

di Alfredo Alietti∗

1. Premessa

Appare scontato affermare che il territorio, in quanto fatto sociale, sia l’esito di continui processi storico-sociali relativi alle dinamiche di stratifi- cazione e dei conflitti conseguenti ad esse. Le forme urbanistiche e i carat- teri sociologici propri delle città, nel passato come nel presente, mostrano con chiarezza la costruzione simbolica e materiale della divisione per clas- se, etnia e, in alcuni contesti come ad esempio quello statunitense, per razza delle popolazioni insediatesi. Il problema dunque non sta nel pronunciarsi sull’ovvio, ma nell’analizzare i meccanismi attraverso i quali in un deter- minato territorio s’inscrivono specifiche, e spesso sovrapposte, distanze fi- siche e sociali conseguenti alla struttura delle disuguaglianze socio- economiche tipiche di una società. Tali meccanismi svelano logiche e prati- che sociali collegabili alla genesi e allo sviluppo del capitalismo moderno e all’importanza crescente del territorio quale ambito privilegiato di analisi sul processo di globalizzazione, sul potere politico ed economico, sulle modalità amministrative di gestione e controllo dello spazio, sulle relazioni tra gruppi diversi che convivono in esso.

La sociologia urbana, fin dalla sua fondazione come disciplina grazie al lavoro della Scuola di Chicago negli anni ’20 e ’30, ha problematizzato l’idea, propugnata da una delle sue figure più rappresentative, Robert E. Park, per cui le distanze fisiche riflettono le distanze sociali. La classica fi- gura a cerchi concentrici rendeva graficamente tale idea, mostrando come

∗ Docente di Sociologia e Sociologia urbana presso l’Università di Ferrara, Alfredo A- lietti è autore di numerose pubblicazioni e monografie di carattere sociologico, in particolare sul tema delle migrazioni e della convivenza interetnica. Ricordiamo in particolare, tra i suoi lavori, La convivenza difficile, L’Harmattan Italia, Torino, 1997 e, da lui curato, Milano

ad uno specifico cerchio corrispondesse uno specifico gruppo sociale isola- to dagli altri e distribuito lungo l’asse centro-periferia1. Il fatto che i gruppi meno abbienti con minori risorse sociali ed economiche, quali migranti e/o la minoranza afro-americana, siano posti negli spazi più fatiscenti e centra- li, rispetto ai ceti operai e borghesi bianchi situati in zone più qualificate e lontane, esemplifica in maniera netta questa corrispondenza tra i due tipi di distanza, fisica e sociale.

La sostanza della proposta analitica di Park e dei suoi collaboratori, fon- data sui principi dell’ecologia umana, accorda una preminenza alla visione darwinista e al modello biologico nella divisione territoriale delle differen- ze, assumendo implicitamente una sorta di meccanica sociale dalla quale sono, in gran parte, esclusi i processi socio-economici e istituzionali che contribuiscono a modellare lo spazio urbano. Tale approccio, inoltre, risen- te in maniera particolare della situazione storica in cui si trovava all’epoca Chicago, caratterizzata da un flusso consistente di migrazioni interne afro- americane e internazionali. Quindi, l’avvicendamento dei differenti gruppi e le rapide trasformazioni dei quartieri favoriva una lettura “naturalistica” della realtà.

Tuttavia, la questione posta non ha mai perso la sua intrinseca validità e, come vedremo nel corso della discussione, ancora oggi è al centro del di- battito sulle società urbane e i suoi mutamenti2.

Riflettendo sulla genesi storica di tale fenomeno, vi è da ricordare come già Engels, a metà dell’ottocento, nel descrivere le miserabili condizioni di vita dei lavoratori in Inghilterra, culla della rivoluzione industriale, sottoli- neava la netta separazione spaziale tra i quartieri operai e quelli borghesi e la qualità abitativa assai scadente dei primi3. Il progressivo inurbamento di una vasta massa di lavoratori agricoli espulsi dalle terre, privi di mezzi, consentiva di sostenere le necessità di manodopera del sistema industriale a scapito dell’assenza, o quasi, di una politica abitativa che rispondesse ai re- quisiti minimi di vivibilità. L’esito di tale razionalità capitalista, orientata esclusivamente a creare un surplus di manodopera urbanizzata, contribuiva alla concentrazione della nascente classe operaia in aree particolarmente

1. Park R., E. Burgess e R. D. McKenzie, La città, 1925, ed. cit. Comunità, Milano, 1967.

2. Il merito dei ricercatori della Scuola di Chicago di aver evidenziato tale problematica è stato riconosciuto anche dai loro critici, vedi Flanagan W., Contemporary Urban Socio-

logy, Cambridge University Press, 1994.

3. Engels F., La situazione della classe operaia in Inghilterra, 1845, ed. cit. Rinascita, Roma, 1955.

degradate e isolate, definite eufemisticamente “quartieri brutti”. In riferi- mento alle metropoli industriali inglesi dell’ottocento, il geografo Emrys Jones mette in evidenza quanto lo slancio vitale prodotto dall’industrializzazione abbia permesso l’accumulo di ingenti di ricchezze e favorito la crescita del ceto medio, ma al contempo abbia contribuito all’incremento della distanza sociale che separava la classe imprenditrice e la classe operaia dal resto della società4. La polarizzazione sociale e spazia- le tra una zona ricca e una zona povera diventa un dato strutturale della cit- tà industriale nel suo formarsi, e viene legittimata da un discorso con cui le classi laboriose, costituite da operai e lavoratori manuali in genere, vengo- no definite pericolose in ragione della loro relegazione in spazi urbani rite- nuti incontrollabili5.

Lo sguardo sul territorio urbano che proviene da questa tradizione socio- logica appare ripresentarsi nella riflessione contemporanea. Le dinamiche sociali ed economiche, pur differenti nella loro sostanza e nelle forme con cui si esprimono, non hanno modificato il processo di differenziazione ter- ritoriale e sociale: anzi, per alcuni autori siamo di fronte ad una sua accen- tuazione, che ripropone simbolicamente la città industriale di fine ottocen- to6.

Di là delle considerazioni sulla validità di questa rappresentazione nega- tiva, la quale in ogni caso è rinviata ai paragrafi successivi, rimane il fatto specifico che, per quanto le condizioni storiche entro cui si sviluppa la so- cietà urbana siano mutate, i meccanismi che producono e riproducono la distanza fisica e sociale tra individui e gruppi mantengono intatta la loro forza.

La persistenza del fenomeno invita, come detto all’inizio, a riflettere in modo articolato sui modelli esplicativi adottati per comprendere il rapporto tra i processi di stratificazione sociale e spaziale.

La discussione, per motivi di sintesi, sarà innanzi tutto rivolta al dibatti- to attuale, riferito esclusivamente all’analisi delle società occidentali, dove opportunamente saranno richiamati i contenuti delle riflessioni svolte dagli autori classici.

4. Jones E., Metropoli, Donzelli, Roma, 1993.

5. Chevalier L., Classi laboriose, classi pericolose, Il Mulino, Bologna.

6. Su questo punto vedi l’analisi di Magnier A. e P. Russo, Sociologia dei sistemi urba-

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