• Non ci sono risultati.

Sociologie della città

4. Disaggregazione e reticoli planetari: territori urbani nella globaliz zazione

Dunque la nuova realtà della smisurata dilatazione di territorio dinami- camente urbanizzato, entro cui si formano spontaneamente aree di concen- trazione e congestione ed aree di rarefazione e dispersione, si sostituisce assai presto alla realtà della città chiusa e compatta ed agli ampliamenti per successive “addizioni” mono o pluridirezionali o per irraggiamento concen- trico a “foglie di cipolla”, che avevano regolato per secoli la sua crescita: nella rottura di fatto della città compatta lo spazio urbano tradizionale ne esce in ogni caso squilibrato ed incoerente, o eccessivamente frantumato per disaggregazione o, ancora, eccessivamente rassodato per conglomera- zione. Lo sviluppo successivo nell’evoluzione urbana ingloba i sobborghi, poi la dilatazione periferica investe villaggi e città in un raggio sempre più vasto, in breve si configura «uno spazio urbano, improntato alla casualità ed all’arbitrio, più o meno denso e rarefatto, che non potrà mai aspirare ad una coerenza e ad una stabile combinazione di parti, che appaiono, anche intuitivamente, come condizioni indispensabili per una configurazione for- malmente definita».

La disaggregazione spaziale determina non solo conseguenze formali, ma anche psicologiche, sociali ed economiche. Alla percezione visiva degli effetti formali della disaggregazione spaziale corrispondono varie reazioni psicologiche individuali di tipo repulsivo o non attrattivo, di fastidio o di indifferenza, o anche di attrazione, che agiscono forse anche nel profondo della psiche e che non possono comunque non influire sul comportamento psicologico di gruppo e collettivo e quindi sulle stesse relazioni sociali; in

ogni caso, intasamento, dispersione e casualità spaziali agiscono inevita- bilmente in senso diseducativo per il gusto della forma.

Il caso più emblematico, quello a cui si giunge con un processo conse- quenziale di evoluzione della forma e della struttura urbana, è quella “Me- galopolis” identificata da Gottmann, formata dai 50 milioni di abitanti delle decine di città (New York, Filadelfia, Baltimora) che si susseguono quasi senza interruzione da Boston a Washington. La giapponese “Tokaido me- galopolis” che ingloba Tokio, Yokoama, Nagoya, Osaka, Kyoto, Kobl su- pera già per popolazione la megalopoli americana. Altre megalopoli analo- ghe appaiono in corso di formazione in diversi posti del mondo, sia nei pa- esi industriali che nei paesi in via di sviluppo. La prospettiva è un crescente squilibrio tra aree impoverite e desertificate e aree urbane congestionate in misura ormai insopportabile. La situazione diventa decisamente drastica nei paesi in via di sviluppo, dove l’urbanesimo incontrollato ha fatto proliferare sterminate periferie di Bidonvilles. Ma, partendo da cause comuni, i fattori scatenanti lo sviluppo incontrollato dell’urbanesimo generano forme e or- ganizzazioni spaziali con qualche tratto singolare per ciascuna formazione. Il territorio urbano contemporaneo dell’Europa, come evidenzia Pavia, emerge da una lunga e complessa evoluzione. Esso è caratterizzato per lo più da città ingrandite dalla rivoluzione industriale e cresciute in un secolo assai più che in tutto il tempo delle loro storie millenarie. La crescita si è generalmente realizzata nell’ambito di un empirismo liberistico, che talvol- ta si è tradotto nella creazione di squallidi quartieri popolari, come gli Slums a Londra. Non mancano, tuttavia, interventi pianificati e ragionevoli nel rimaneggiamento dei vecchi quartieri, come le grandi realizzazioni di Hausmann a Parigi. Le creazioni ex novo solo in alcuni casi hanno raggiun- to dimensioni rilevanti: per lo più sono legate allo sviluppo economico mo- derno, alle industrie, alle attività estrattive, alla siderurgia (Ruhr, 70 città su 800 chilometri). Ma, sia nel centro che nella periferia della città, è proprio nella vasta quanto indefinita essenza del territorio urbano contemporaneo che si evidenzia la contraddizione, tipica del sistema liberale, tra la rendita economica e la necessità di pianificare lo sviluppo12.

12. «Questo dinamismo del paesaggio urbano, che si verifica in tutte le grandi aree me- tropolitane, apporta al paesaggio una omologazione architettonica … e fa si che paesaggi poco identificabili e assimilabili nella cultura locale e peculiare di una regione siano simili e riscontrabili a Milano come a Los Angeles, a Singapore come a città del Capo. Nei paesaggi urbani contemporanei più realtà differenti anche distanti come origine sociale culturale ed ideologica, sono avvicinate almeno visivamente, dal passare velocemente in automobile at- traverso paesaggi e luoghi - anche distanti fra loro diversi chilometri – in pochi minuti, co-

Oggi più che mai, però, il quadro economico interregionale (motore o volano, come si è visto della crescita urbana) appare caratterizzato da una situazione di relativa incertezza13 e dal possibile deteriorarsi delle prospet- tive di sviluppo dell’economia (urbana). Questa affermazione nasce dalla considerazione che la capacità di decentralizzazione, che sta emergendo grazie alla telematica ed alla “globalizzazione”14, porta all’obsolescenza delle tradizionali economie urbane15. In effetti, molti di quelli che un tempo erano i grandi centri industriali dei paesi più sviluppati stanno vivendo una fase di grave crisi. Tuttavia, un numero significativo di grandi città ha visto crescere la propria concentrazione di potere economico. Il nuovo e più si- gnificativo ruolo di queste città è il risultato dell’importanza assunta dai servizi nell’organizzazione dell’economia. Allora l’economia globale si

sicché la nostra esperienza di tali paesaggi è perlopiù sintetica. Risulta più difficile cogliere singoli elementi significativi, quali edifici pubblici, residenze, strade, parchi, oppure il senso di anonimia, gli spazi vuoti, il degrado ambientale» (G. Roditi, Geografia e paesaggi urba-

ni, in Il paesaggio tra ricerca e progetto, a cura di M.C. Zerbi, Giappicchelli, Torino, 1994:

p. 109.

13. «La città risulta il nodo più favorevole in cui si intrecciano le attività produttive, quelle di scambio quelle economico-direzionali. Secondo i dati del Lavedan, dal 1750 al 1850 Manchester passa da 12.000 a 400.000 abitanti; Glasgow da 30.000 a 300.000; Leeds da 17.000 a 170.000; Londra è la prima città europea che alla fine del Settecento raggiunge un milione di abitanti: I motivi che attraggono nella città la gente dalla campagna sono d’ordine economico: la possibilità di un salario più elevato e regolarmente corrisposto; tec- nico: una condizione di vita igienica e la fruizione di una maggiore assistenza; ricreativo: la città offre più occasioni d’incontro e di divertimento rispetto alla campagna. Questi vantaggi si accompagnano ad una notevole contropartita. La città con le sue antiche strutture non reg- ge alle spinte dei mutamenti e dell’ingente immigrazione; è il luogo dove più si verifica lo scontro di classe; diventa essa stessa con le sue aree fabbricabili e i suoi edifici oggetto di mercificazione capitalistica» (R. de Fusco, Storia dell’Architettura Contemporanea, Laterza, Bari, 1988.

14. «Secondo un’indagine del tempo, a Bristol su 2.800 famiglie il 46% disponeva di una sola stanza; in una zona di Londra, L’est End, vengono segnalate 1.400 case abitate da 12.000 persone; nella parrocchia di Saint-George, ad Hannover Square su 1.465 famiglie, 929 hanno una sola stanza, 408 vivono in due. Gli alloggi sotterranei sono numerosissimi a Londra, Manchester, Liverpool, Leeds.(…). Gli elevati indici di affollamento, le carenze dei servizi igienici, le difficoltà di approvvigionamento idrico e soprattutto quelle relative allo smaltimento delle acque nere sono tutte cause concomitanti delle ripetute epidemie pestilen- ziali.(..) Il quadro che abbiamo descritto trova un’interpretazione abbastanza fedele nella città che Dickens chiama Coketown nel suo libro Tempi Difficili, ma la città del carbone, del fumo, della macchina segna un processo irreversibile, ricco di contraddizioni, ma anche una tappa di una straordinaria vicenda umana e sociale. Peraltro dalla diagnosi e dalla terapia di questa città malsana nasce ad opera di tecnici, di legislatori, di amministratori, riformatori ed utopisti, l’urbanistica moderna» (R. de Fusco, Op. cit.).

materializza in una griglia mondiale di luoghi strategici, i più importanti dei quali sono rappresentati dai principali centri degli affari e della finanza in- ternazionali.

Possiamo immaginare questa griglia globale come ciò che costituisce la nuova geografia economica delle centralità – una geografia che attraversa i confini nazionali e la demarcazione nord-sud e che segnala, potenzialmen- te, l’emergere di una parallela geografia politica. Un aspetto di questo fe- nomeno è il rafforzamento delle reti internazionali di rapporti tra le città e fra i loro sindaci. La più potente di queste nuove geografie economiche del- la centralità a livello interurbano collega i grandi centri internazionali degli affari e della finanza: New York, Londra, Tokyo, Parigi, Francoforte, Zuri- go, Amsterdam, Los Angeles, Sydney, Hong Kong. Ma oggi tale geografia comprende anche città come Sao Paolo, Buenos Aires, Bankok, Taipei e Città del Messico. Questo passaggio da un’economia urbana a scala regio- nale locale ad una a scala mondiale (globale) ha fatto si che mutassero an- che i “paesaggi urbani”, segnandoli profondamente. Negli Stati Uniti, come in Giappone e nell’Europa Occidentale, gli utenti delle città hanno riconfi- nato a loro immagine spazi strategici (emblematico è il cosiddetto iperspa- zio degli affari internazionali con i suoi aeroporti, costruiti da famosi archi- tetti, palazzi per uffici e hotel di lusso, infrastrutture telematiche all’avanguardia e polizia privata)16.

16. «L’incoerenza della crescita urbana ha portato da tempo i governi a programmare nelle “cinture” delle grandi città insediamenti pianificati per conferire una certa razionalità all’espansione. Come primo tentativo può essere considerato quello dell’E.U.R. a Roma. A circa dieci Km a sud del centro della città, si doveva tenere nel 1042 l’esposizione universa- le, il cui svolgimento fu invece bloccato dalla seconda guerra mondiale; gli edifici già co- struiti (nello stile monumentale fascista) vennero utilizzati allocandovi dei ministeri, poco alla volta moltiplicandosi le attività e i servizi, si formò un insieme funzionante e vitale , il quartiere dell’E.U.R., in seguito raggiunto e inglobato dall’espansione urbana. Le città satel- liti sono la risposta spontanea al bisogno di avere in breve tempo una grande quantità di al- loggi per assorbire i flussi di inurbati. In un contesto di liberalismo e di speculazione immo- biliare, in diversi paesi sono stati costruiti blocchi di edifici sviluppati in altezza con elevata intensità abitativa, talvolta senza servizi primari e senza collegamenti pubblici con la città. È questo il caso della Spagna (Madrid, Barcellona, Siviglia), ma anche della Grecia (Atene e Salonicco) e dell’Italia (si pensi alle “borgate” romane e alle speculazioni dei “palazzinari” degli anni sessanta). Le città nuove sono il risultato di una politica pianificatoria che mira ad organizzare la crescita urbana integrando alloggi servizi e posti di lavoro in modo da rendere autonomo il nuovo insediamento. Il primo programma di questo tipo venne portato avanti in Gran Bretagna con una ventina di new towns, di cui 8 intorno a Londra. Lo scopo è stato raggiunto per quanto riguarda gli alloggi, gli spazi verdi, e la qualità della vita; un po’ meno per l’autonomia sul piano dell’occupazione. L’esempio inglese è stato poi imitato dalla Francia (regione parigina), mentre laSpagna tenta di trasformare le città satelliti in “città

Questo nuovo assetto morfologico del territorio urbano contemporaneo, secondo una definizione di Sassen17, è fragile perché basato sui “flussi” di un’economia ad alta produttività, legata a tecnologie avanzate e scambi sempre più intensi. Alla luce di questa nuova globalizzazione, in Europa come in altre parti del mondo, sono cambiati i nostri modi di categorizzare il mondo; per l’utilità di questa ricerca basta ricordarne almeno uno che è poi ciò su cui si basa la definizione tra centro e periferia. Anziché essere il luogo dell’attività e dell’innovazione, il centro tradizionale è imploso o si è dissolto e noi ci troviamo in una situazione di multicentralità o di assenza di centri. Questo fenomeno, più che in altri contesti geografici, è stato ed è sicuramente evidente in Europa, nel vecchio continente, dove la città aveva assunto caratteri e connotati economici e spaziali definiti e dove la con- gruenza tra morfologia architettonica e carattere rappresentativo della stra- da o di altri elementi strutturali erano parte integrante della strategia di ri- partizione urbana.

Documenti correlati