• Non ci sono risultati.

Sociologie della città

Appendice 2 – Ogni giorno in Europa

2. Lo spazio, il controllo sociale e la città nella scuola di Chicago

La scuola di Chicago ebbe, tra il 1914 e il 1940, una grande influenza sia sulle speculazioni teoriche, sia nel campo più spiccatamente empirico della ricerca sociale. La crescita di Chicago e la varietà umana presente nel- la città nordamericana ne facevano, come ribadì spesso Robert Park, un la- boratorio sociale che doveva essere esplorato, descritto e decodificato. Sarà proprio questa nuova e complessa realtà urbana a ispirare gli approcci teo- rici che offrirono le basi per gli studi empirici esaminati nelle pagine se- guenti.

I primi derivano da due apporti fondamentali: l’articolo di Park The City (1915), e il saggio di Burgess intitolato The growth of the city: an introduc- tion to a research project (1926), apparso in The Urban Community.

Per studiare la complessa varietà umana della grande metropoli ameri- cana, Robert Park, uno degli indiscussi protagonisti della scuola, ci prospet- tò un’immagine dello spazio urbano del tutto peculiare, ovvero esaminan- dolo come se fosse il risultato del legame tra la struttura fisica e le azioni umane. Il tessuto urbano è considerato l’habitat degli uomini, ed è compo- sto da molte aree naturali «ognuna delle quali ha una specifica funzione all’interno dell’intera comunità urbana»8.

La “posizione” di una comunità è l’espressione di una forma di associa- zione elementare: il vicinato. Per quanto il vicinato non sia un’organizzazione di tipo formale, le relazioni tra gli attori sociali possono essere molto intime, ed è proprio il risultato tra queste relazioni e quelle tra l’ambiente fisico, che produce una “regione morale”. Se gli agglomerati ur- bani sono di notevoli dimensioni c’è il rischio che si verifichino delle di- stanze morali tra gli abitanti. È in questo contesto vulnerabile e precario che le relazioni sociali secondarie o indirette prendono il sopravvento su quelle interpersonali, provocando una netta diminuzione dei processi di controllo

8. R. Park, Urban Communities; the city and human ecology, Free Press, Glencoe, 1952: pp. 73, 79.

sociale9. È interessante notare come il controllo sociale sia considerato un tutt’uno con la comunità di appartenenza. Park non analizza il problema del controllo come se fosse un elemento esterno da imporre attraverso misure istituzionali, al contrario il controllo ha le sue radici all’interno della co- munità, e gli sforzi che possono essere fatti per rafforzare la coesione tra i membri passano attraverso istituzioni quali le chiese, le scuole e le fami- glie. L’unica politica che può essere perseguita è perciò intimamente con- nessa alla vita comunitaria, ragion per cui l’autore suggerisce che vengano condotte specifiche analisi empiriche per comprendere come affrontare questo problema utilizzando le istituzioni sopra citate.

La stessa preoccupazione nei confronti di uno studio specifico delle ca- ratteristiche fisiche dei grandi agglomerati urbani è al centro del saggio di Burgess10, che si propone di spiegare, con l’aiuto di un modello ideale di riferimento, il processo di espansione delle città. Egli descrive un modello a espansione radiale partendo dal presupposto che ogni metropoli tende ad allargarsi in modo concentrico dal nucleo centrale dove si trova il “business district”. Ogni zona, attraverso un processo di successione, circonda e inva- de l’area successiva.

Shaw e McKay11 utilizzano il modello di Burgess applicandolo alla città di Chicago per comprendere la distribuzione della criminalità nelle diverse aree della metropli. Secondo Shaw e McKay, il modello da lui proposto ri- fletteva la segregazione degli abitanti in diverse zone che corrispondevano ad altrettante condizioni economiche. La popolazione delle prime due aree urbane era composta, a causa di un ambiente fisico deteriorato e dai bassi costi di affitto, dalle classi sociali con i redditi più bassi, mentre le zone re- sidenziali erano popolate dalle classi più alte. Questa teoria, definita “teoria del gradiente”, mette in luce che un progressivo allontanamento dal centro della città equivale anche a un innalzamento del livello socio economico degli abitanti.

I due autori sostengono che la distribuzione dei soggetti devianti fosse collegata, sia all’ubicazione delle aree industriali, sia alla composizione et- nica della popolazione. Le caratteristiche fisiche dell’area, il livello econo- mico e i diversi gruppi etnici dovevano essere studiati in connessione con le

9. R. Park, The City, Chicago University Press, Chicago, 1915: pp. 41, 25.

10. E. W. Burgess, The Urban Community: selected papers from the proceedings of the American Sociological Society, Greenwood Press, New York, 1926.

11. C.R. Shaw e H.D. McKay, Juvenile Delinquency and Urban Areas, University of Chicago Press, Chicago, 1969.

differenze attribuite ai valori sociali all’interno delle comunità locali12. Il loro studio sottolinea la bassa percentuale di criminalità nelle zone caratte- rizzate da comunità organizzate. Al contrario, nelle aree prive di coesione sociale, mancava la forma più elementare di controllo, ovvero quella spon- tanea. Di conseguenza, i giovani e i bambini erano esposti a una notevole varietà di modi d’agire diversi e contrapposti e non erano in grado di di- scernere quali fossero i comportamenti devianti e quali, invece, gli atteg- giamenti che potevano prendere come esempio; mancando delle “linee gui- da”, l’influenza del gruppo dei pari prendeva il sopravvento rispetto al con- trollo esercitato da parte dei genitori, soprattutto nei casi di famiglie immi- grate.

È interessante soffermarsi sulla soluzione che Shaw e McKay propon- gono per tentare di fronteggiare la criminalità in alcune aree. L’unico me- todo possibile sembra essere quello di utilizzare i membri della comunità locale, le risorse umane presenti all’interno dell’area degradata in modo da coinvolgerli in specifici programmi sociali. L’utilizzo delle “human resour- ces available in every local community”13 costituì la logica di base sulla quale Shaw decise di creare nel 1930 il cosiddetto “Chicago Area Project”, caratterizzato dal tentativo di coinvolgere e responsabilizzare i membri del- le comunità in difficoltà al fine di prevenire la criminalità. I comitati locali del “Chicago Area Project” erano composti da autoctoni che agivano in modo del tutto indipendente e assumevano il controllo diretto sulle attività promosse dal progetto; in questo modo l’autonomia della quale godevano era totale. Assumendo che la criminalità derivasse direttamente dai proble- mi interni alla comunità, solo i membri della stessa avrebbero potuto agire attivamente per cambiare le cose. Le vulnerabili regioni morali nelle quali erano situati i comitati locali, non potevano fare affidamento su istituzioni esterne né si poteva pensare di migliorare le precarie condizioni di vita at- traverso un controllo sociale imposto “dall’alto”; tuttavia sarebbe stato ri- schioso non avvalersi di operatori sociali professionisti, per questo motivo sono state seguite entrambe le strade in modo complementare: i professio- nisti lavoravano insieme ai residenti in modo da coinvolgerli da offrire loro opportunità di lavoro. Gli autori si riferiscono al loro progetto come a un vero e proprio “movimento sociale”14, per sottolineare il profondo coinvol- gimento dei cittadini all’interno del “Chicago Area Project”.

12. Ibid.: p. 79. 13. Ibid.: p. 321. 14. Ibid.: p. 387.

Il progetto aveva un vasto programma di attività che comprendeva cam- pi estivi e interventi sull’ambiente per migliorare la zona in questione anche dal punto di vista estetico. Shaw e McKay avevano infatti notato come spesso il degrado dell’ambiente urbano fosse collegato ad alti tassi di cri- minalità. Il “Chicago Area Project” è ancora esistente e la logica di base è rimasta la stessa, anche se si può facilmente immaginare che il passaggio da una prima fase di “spontaneità” a quello di una naturale tensione verso “l’istituzionalizzazione”, accompagnato dal cambiamento dei problemi da affrontare nella città, abbia in parte modificato gli intenti iniziali. Tuttavia, il fatto che il trascorrere del tempo non ne abbia decretato la morte, denota la primaria importanza assunta dal progetto nell’affrontare il problema della devianza.

Documenti correlati