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Sociologie della città

4. Weber: modernità, disincanto e vita urbana

Ampiamente debitore nei confronti della sociologia formale di Simmel è Max Weber, i cui interessi, pure, sono ampiamente rivolti verso l’analisi della modernità. Diversamente dalla filosofia del mondo moderno di Sim-

16. Simmel G., Filosofia del denaro, 1901, ed. it.; G. Simmel, La metropoli e la vita del-

lo spirito, 1903, ed. it. Armando, Roma, 1995.

mel, tuttavia, quello che a Weber interessa costruire è un’analisi storica del- la sua genesi.

Centrale, nel quadro di tale analisi, è il ruolo del monoteismo delle reli- gioni rivelate, che avrebbero lasciato l’individuo solo con un Dio ultramon- dano, in un mondo fondamentalmente “disincantato”, cioè sprovvisto dei significati sacrali di cui la religiosità tradizionale impregnava ogni aspetto della natura. Il profetismo delle religioni rivelate si qualifica pertanto come forza “rivoluzionaria”, che rompe con il carattere magico delle cosmologie preesistenti. L’autorità del profeta, per sua natura, deriva dal carisma di chi ha ricevuto la rivelazione divina, caratterizzandosi come un’autorità “non legittima” agli occhi di un clero portatore di una visione del mondo “tradi- zionale”. Diversamente dal clero sacerdotale, che perpetuando la propria organizzazione perpetua altresì la più ampia comunità dei credenti, il profe- ta si caratterizza, su di un piano sociologico, come creatore (o rifondatore) di una nuova comunità. Al cospetto di quest’ultima, egli si qualifica altresì come portatore di una coerente visione del mondo, che si lega inscindibil- mente ad una coerente condotta di vita.

Tali elementi, sostiene Weber, bastano a spiegare l’estrema facilità con cui il fenomeno profetico attecchisce presso i ceti medi urbani (artigiani, piccoli commercianti). La città si qualifica come luogo di rottura dei tradi- zionali legami comunitari, fondati sulla prossimità o sul sangue18, generan- do l’esigenza di nuove fonti di senso del vivere aggregato. A tali requisiti rispondono le metropoli dell’oriente ellenistico-romano, che vedono attec- chire predicazione cristiana, come in seguito la Mecca e Medina o, più tar- di, i rinascenti comuni medievali della predicazione dei patari e le città mercantili cinque e seicentesche, dove si afferma la riforma protestante. Ar- tigiani e piccoli commercianti, peraltro, sono particolarmente propensi ad accogliere un’etica razionale fondata sull’idea della ricompensa, perché la loro fortuna è più intimamente legata al loro impegno lavorativo rispetto a quella dei contadini e dei grandi mercanti, maggiormente succube dell’alea19.

18. Quest’ultimo requisito trova immediata rispondenza in un “disincanto” che, eclis- sando i significati magici del mondo, avrebbe altresì allentato la forza dei legami tribali, fondati su tali significati. Il mondo arabo-islamico, osserva d’altro lato Weber, è rimasto parzialmente immune da questa rottura dei legami gentilizi e di sangue, per ragioni che sa- rebbero, a suo dire, meritevoli d’indagine.

19. Weber M., Economia e società, Comunità religiose, 1922, ed. cit. Donzelli, Firenze, 2006.

L’eclissi dei significati magici della natura avrebbe altresì allentato la forza dei legami di sangue, producendo una spinta in direzione dell’individualizzazione. Il dispiegarsi della logica secolarizzante del mes- saggio giudaico-cristiano, naturalmente, ha luogo soltanto nel corso di un lunghissimo processo storico. Momenti cruciali, in questo processo, sono la nascita dei comuni medievali e, poi, la Riforma protestante.

Nell’approfondire il ruolo della città, il maestro tedesco centra la propria attenzione sul comune dell’Europa medievale20. Quest’ultimo nasce anzi- tutto come borgo e come luogo di mercato. Si costituisce, pertanto, come articolazione attorno ad una sfera pubblica di libero incontro e di scambio. Il politicizzarsi della sfera pubblica dà vita al comune, che si qualifica anzi- tutto come coniuratio, cioè come patto, come legame contratto da liberi in- dividui attraverso il giuramento21. Nel comune medievale, per la prima vol- ta, si estrinsecano pertanto tutte le potenzialità individualizzanti del disin- canto operato dalle religioni giudaica e cristiana, che pongono le basi della moderna politica secolare22. Il secondo momento, cioè Riforma protestante, si caratterizza per la proposizione di quella che Weber definisce l’ascesi mondana: la virtù morale, nell’ottica del protestante, non si individua, in poche parole, nella fuga mistica o nelle manifestazioni esteriori della reli- giosità, ma nel quotidiano operare mondano (quindi, per esempio, nel suc- cesso economico, dove il protestante calvinista può al limite scorgere un segnale della predestinazione). L’ascesi mondana del protestante costituisce il diretto antecedente della razionalità formale dell’amministrazione buro- cratica e dell’economia capitalistica.

Il comune medievale si caratterizza, quindi, molto tipicamente, nella forma di una “comunità politica” che si è venuta articolando attorno ad un luogo di mercato. Estranea alla dimensione comunitaria sembra invece il prodotto delle dinamiche storiche che, nel comune medievale, hanno trova- to la propria origine – cioè la metropoli contemporanea, dominata dalle di- namiche capitalistiche e dalla razionalità burocratica, dove «soltanto nei ca- si di pericolo comune si può fare affidamento, con una certa probabilità, su

20. Weber M., Economia e società, La città, 1922, ed. cit. Donizelli, Firenze, 2003. 21. Anche se già il vincolo feudale si proponeva nella forma del giuramento personale 22. Mentre il suo più affine precedente storico, la polis greca, non esisteva se non come corpo politico, dove il cittadino godeva di diritti e prerogative in relazione con la propria funzione sociale.

di una qualche misura di agire in comunità … L’agire di comunità non è la norma, bensì l’eccezione, ancorché ritorni tipicamente»23.

L’analisi dei fenomeni urbani non costituisce il principale centro dell’attenzione di Weber che, tuttavia, ha lasciato, un suo retaggio nella so- ciologia urbana, esplicitamente raccolto, per esempio, da Rex e Moore alla fine degli anni sessanta24. Nell’interpretare la segregazione abitativa delle minoranze etniche, i due studiosi britannici prendono polemicamente le di- stanze dall’olismo ecologico della Scuola di Chicago, che esamineremo meglio nel paragrafo 5. Senza disconoscere i meriti dei precursori america- ni, Rex e Moore optano per un’analisi centrata sulle strategie degli attori (individui, famiglie, associazioni locali o etniche) che competono sul terri- torio per l’accesso a beni limitati (spazio e abitazione), utilizzando risorse di varia natura (economica, politica, cognitiva, relazionale). Di particolare interesse, nella proposta dei due sociologi, è il concetto di classe abitativa, weberianamente inteso come insieme di soggetti, determinato dal mercato e definito da omogeneità nella condizione e negli interessi. Sono pertanto classi abitative i proprietari dell’alloggio che abitano, piuttosto che i locato- ri, gli inquilini di un alloggio privato o gli assegnatari di case popolari (così come imprenditori, operai ecc. sono classi lavorative, cioè determinate dal mercato del lavoro).

Coerentemente con la teoria dell’azione proposta dal maestro tedesco, in poche parole, al centro dell’attenzione dei suoi epigoni non si colloca tanto il dove – cioè le modalità in cui la variabile territoriale e le strutture sociali influiscono l’una sulle altre – quanto, piuttosto, il chi – cioè il modo in cui gli attori individuali e collettivi (figure istituzionali, gruppi d’interesse ecc.), nonché le coalizioni degli stessi attori, influiscono sulle trasforma- zioni dei tessuti urbani25. Le coalizioni di attori che, attorno al XII secolo, erano costituite dai borghesi, dal vescovo e da una parte della nobiltà inur- bata, sembrano sostituite dai raggruppamenti di interessi istituzionali, eco- nomici, sindacali e culturali che concorrono a configurare le politiche urba-

23. Weber M., Economia e società, Comunità, 1922, ed. cit. Roma, Donzelli, 2005: p. 72. Possiamo anche rimandare, a tale riguardo, all’analisi “weberiana” di Hans Bahrdt, ri- portata nel primo paragrafo di questo capitolo.

24. Rex J. e R. Moore, Race, Community and Conflict, Oxford University Press, Oxford, 1967.

25. Vedi, a questo proposito, Le Galès P., La città europea, Il Mulino, Bologna, 2002; Bagnasco A. e P. Le Galès, Le città dell’Europa contemporanea, Il Saggiatore, Milano, 2000; Castells M., Il potere delle identità, 1997, ed. cit. Bocconi, Milano, 2004.

ne – allorché, di fronte ai processi di globalizzazione, la governance metro- politana assume un significato crescente nelle dinamiche planetarie26.

Proseguendo nell’esposizione, ci sembra impossibile evitare un qualche cenno all’analisi portata avanti da Hans Bahrdt27, richiamandosi a Max Weber piuttosto che non alla tradizione di Chicago. Proponendosi come «critico dei critici della metropoli»28, Bahrdt contesta, in particolare, un certo tipo di determinismo, che individua in tutta una serie di manifestazio- ni patologiche (l’atomizzazione sociale ecc.) l’inevitabile conseguenza dell’urbanesimo. Ripartendo invece dall’analisi di Weber (la città come «luogo di mercato»), Bahrdt identifica l’essenza del fenomeno urbano nella distinzione tra una sfera pubblica ed una sfera privata. La distanza tra gli individui, consentita dalla separazione tra pubblico e privato, ha l’effetto di «di rendere visibile soltanto un piccolo, casuale ed astratto squarcio della personalità». Ne deriva una forte autonomia per gli individui nella condu- zione delle relazioni interpersonali, che va da loro gestita attraverso apposi- te condotte di presentazione. Il più grave rischio consiste, agli occhi di Bahrdt, nella tendenziale rottura dell’equilibrio tra il pubblico e il privato, che può avere luogo in due antitetiche forme. La prima, è costituita dall’eliminazione della sfera privata e dal conseguente snaturarsi della sfera pubblica, trasformata in ambito d’irreggimentazione di soggetti spogliati della loro individualità (è quello che avviene nei sistemi totalitari). L’altra implica il ritrarsi degli individui dalla sfera pubblica e il conseguente snatu- rarsi della sfera privata, che si trasformerebbe in una sorta di rifugio da un mondo esterno estraneo ed ostile. È quello che avviene, a suo avviso, nel mondo capitalistico, allorché la vita cittadini si trova, in misura crescente, ripartita tra gli spazi privati della vita familiare e quelli falsamente pubblici del lavoro e del consumo di “tempo libero”. Il problema della città contem- poranea consisterebbe, in poche parole, non nell’esasperazione quanto nella perdita dei suoi caratteri tipicamente “urbani”.

26. Vedi, a questo proposito, Sassen S., Le città nell’economia globale, Il Mulino, Bolo- gna, 1994; Le Galès P., Op. cit..

27. Bahrdt H., Lineamenti di sociologia della città, 1961, ed. cit. Marsilio, Padova, 1968.

28. Ciò nondimeno, Bahrdt non menziona mai i principali esponenti della critica socio- logica dell’urbanesimo come modo di vita di cui si è appena detto, come Simmel e Wirth. Gli strali polemici si limitano al lavoro di Wihlelm Rihel, con la successiva puntualizzazione che, dopo la pubblicazione della sua Naturgeschichte des Volkes nel 1861, nulla di realmen- te innovativo si sarebbe aggiunto alle tematiche della letteratura antiurbana.

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