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Sociologie della città

Appendice 2 – Ogni giorno in Europa

4. Tecnologie, vita quotidiana e diritt

La tecnologia ha sicuramente contribuito a favorire questo “cambiamen- to di rotta”. I dispositivi di controllo attualmente utilizzati rispondono alle caratteristiche sulle quali ci siamo già soffermati. In particolare, si riscontra una notevole enfasi posta sull’utilizzo di mezzi sempre più sofisticati e sul prevalere dello spazio elettronico su quello “fisico”. La tecnologia ha fatto in modo che i limiti spaziali, genericamente riferibili alla caratteristica della “fissità”, siano stati superati attraverso lo sviluppo di telecomunicazioni in- centrate sulla velocità e sulla struttura reticolare. Le città diventano perciò quelle che Sortkin18 definisce cyburbia, composte da sciami di bit e caratte- rizzate da un’ossessione per la sicurezza che si traduce in un notevole in- cremento della sorveglianza nonché nel sopravvento dell’approccio “geo- grafico-territoriale” su quello sociologico. Studiare le città odierne significa andare oltre le analisi incentrate sui mezzi di comunicazione oramai dati per scontati, quali i telefoni cellulari o persino internet. Il villaggio globale è una realtà della quale siamo consapevoli. Ciò che invece pare sfugga all’ampia letteratura dedicata alle cybercities, tranne rare eccezioni come gli sforzi di Graham e Marvin19, sono gli occhi elettronici che scrutano i nostri spostamenti e che controllano aree a rischio. In altre parole, non c’è stata unicamente un’evoluzione in termini concettuali che ha portato a un certo tipo di controllo sociale, ma anche un tangibile inserimento dei mezzi tecnologici nel contesto urbano.

18. Sorkin, M., a cura di, Variation on a Theme Park, Hill and Wang, New York, 1992. 19. Graham S. e S. Marvin, Telecommunication and the City: Electronic Spaces, Urban

Places, Routledge, London, 1996; S. Graham, a cura di, The Cybercities Reader, Routledge,

Installare una telecamera all’interno di un parco cittadino o lungo una via del centro, significa allo stesso tempo cercare di proteggere i cittadini dai numerosi rischi ai quali sono quotidianamente esposti, e rischiare che un diritto fondamentale non venga pienamente rispettato: il diritto di non lasciare tracce. Anche se non ne siamo pienamente consapevoli, lasciamo le nostre tracce ovunque. I segni del nostro passaggio sono rintracciabili sia all’interno delle nostre abitazioni, sia nelle vie delle città. La memoria del computer registra i siti che abbiamo visitato rendendo possibile una rico- struzione fedele delle navigazioni virtuali, tanto fedele quanto i movimenti catturati dalle telecamere di sorveglianza installate agli angoli delle città. Tutti noi abbiamo oramai un corpo elettronico che affianca e “completa” quello fisico; lo “completa” nel senso che, grazie alle nuove tecnologie, è possibile “seguire” gli spostamenti virtuali e non del corpo fisico comple- tando quella mappa dei movimenti e delle azioni ritenuta inviolabile e ri- masta sconosciuta fino a pochi decenni fa. Il passaggio da un controllo che nasce e si sviluppa all’interno delle comunità a uno esterno imposto dall’alto attraverso le nuove tecnologie, comporta una riflessione intorno al delicato equilibrio tra controllo e privacy. Un equilibrio che sembra essere contraddistinto da molte sfumature, soprattutto all’interno delle grandi città. Proviamo a soffermarci, per esempio, sul rapporto tra il diritto alla privacy e la videosorveglianza in modo da approfondire alcune aspetti che caratte- rizzano la vita quotidiana all’interno del tessuto urbano.

La videosorveglianza fa parte delle nuove tecnologie di telecomunica- zione, le stesse che negli ultimi anni hanno stimolato un dibattito intorno al cambiamento del concetto di tutela dei dati personali. Nonostante ciò, essa presenta sia dei punti in comune sia degli aspetti che si pongono in contra- sto con i dispositivi di sorveglianza elettronica. Gli elementi in comune so- no le medesime potenzialità di registrazione, archiviazione ed eventuale trattamento dei dati raccolti, nonché di collegamento con altri mezzi. Il “va- lore aggiunto” degli elaborati elettronici sta proprio in questa capacità di razionalizzazione e comparazione tra dati di diversa natura. In questo sen- so, la videosorveglianza non è soltanto inserita all’interno delle ICT (infor- mation and communications technology), ma anche all’interno di quei “ne- tworked systems” in grado di collegare mezzi differenti e di confrontare i dati provenienti da computer diversi. Il network è ben visibile nella struttu- ra stessa del mezzo: le telecamere riproducono delle immagini visibili sui monitor. Il risultato è una “rete” di telecamere connesse a un numero varia- bile di monitor. Inoltre, esse possono essere implementate grazie all’uso di strumenti biometrici che rendono possibile il riconoscimento facciale, op- pure semplicemente associate con mezzi simili a macchine fotografiche di-

gitali che permettono di “zoomare” e fotografare tramite la telecamera uno o più soggetti. In generale, si può affermare che la videosorveglianza sia un mezzo che offre notevoli margini di miglioramento, si tratta dunque di un dispositivo che può raggiungere un’elevata sofisticazione tecnologica e, di conseguenza, può essere più invasivo di altri nei confronti della privacy20.

I dati raccolti attraverso questo mezzo sono confrontabili o trasferibili ad altri database. A quali dati ci riferiamo? Si tratta di dati di tipo visuale, non di informazioni testuali o numeriche. Le immagini sono di per sé rive- latrici di tratti ascritti, quali l’etnia di appartenenza o il genere. Tuttavia an- che la religione potrebbe essere dedotta da un’immagine: molti individui, infatti, vestono seguendo i dettami del loro credo. Non si tratta di profili senza volto, come quelli che si possono ottenere tracciando i consumatori all’interno del World Wide Web, al contrario la videosorveglianza identifi- ca in modo preciso associando una qualsiasi immagine al genere, alla razza, all’età e, potenzialmente (per esempio nei casi di criminali segnalati dalla polizia) a un nome. Siamo d’accordo con Norris, il quale fa notare che la molteplicità di immagini riprodotta tramite le telecamere rende impossibile associare il nome ad un volto21. Questa caratteristica avvicinerebbe il mez- zo ad altri appartenenti alla sorveglianza elettronica: è probabile che in un database contenente migliaia di informazioni l’anonimato sia quasi una ga- ranzia. È però indubbio che dati di questo tipo siano più “sensibili” di altri perché i soggetti non sono in grado, cosa invece possibile in altri ambiti, di nascondere il genere né tantomeno l’etnia. La videosorveglianza è dunque qualitativamente diversa da altri mezzi di controllo elettronici, perché per- mette un controllo più invasivo e penetrante di altri: l’identificazione e la localizzazione sono inequivocabilmente contenuti nell’immagine registrata. I comportamenti monitorati, inoltre, possono anche non riferirsi a un ambito preciso, come quello delle transazioni finanziarie in Internet o dei siti visitati dai lavoratori a un terminale, ma comprendono una gamma mol- to ampia che va dalle persone frequentate (per esempio le telecamere poste nei pressi di un bar o all’entrata di un condominio), alla fede calcistica (nel caso delle sempre più numerose telecamere installate all’interno e all’esterno degli stadi), dalle preferenze sessuali (per esempio se le teleca-

20. Il Consiglio d’Europa ha infatti stabilito che la videosorveglianza deve essere utiliz- zata solo se altri mezzi meno invasivi nei confronti della privacy non possono essere utiliz-

zati (“Guiding Principls for the Protection of Individuals with regard to the collection of processng of personal data by means of video surveillance”).

21. Lyon D., a cura di, Surveillance as social sorting: privacy, risk, and digital dis-

mere si trovano nei pressi di luoghi di incontro di omosessuali), alle scelte di vita convenzionalmente ritenute “estreme”. Inoltre, se le telecamere sono numerose e distribuite in modo capillare, è piuttosto semplice ricostruire fedelmente gli spostamenti di una o più persone all’interno di una qualsiasi area cittadina. L’opportunità di muoversi liberamente nello spazio urbano non può essere fortemente limitata dallo sguardo di chi ci controlla. Le a- bitudini o i comportamenti suscettibili di controllo appena accennati, sono solo alcuni esempi di casi riguardanti informazioni strettamente personali che possono essere monitorate dalla videosorveglianza. I rischi di invasione dello spazio personale sono di conseguenza maggiori.

La telecamera interrompe un flusso di persone in movimento, tiene sotto controllo uno o più spostamenti nello spazio, oppure, attraverso i potenti zoom digitali, isola una parte del corpo o la targa di un’automobile. Così facendo, opera in un ambito che non è più quello inafferrabile e mutevole della realtà, ma seleziona i pezzi di quella mutevolezza per renderli statici, significativi e analizzabili in un secondo tempo. Questo significa che i no- stri corpi elettronici possono trasformarsi in qualcosa di diverso da ciò che siamo: attraverso le telecamere è possibile esaminare il movimento di una parte qualunque del nostro corpo senza fare alcun riferimento al contesto. Le conseguenze hanno inoltre una concreta ricaduta sulla vita degli indivi- dui, e possono tradursi in una spiacevole “negoziazione” dell’identità.

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