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Cittadinanze nel diritto dell’integrazione europea

Collegamenti con lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel diritto dell’integrazione europea

4 Cittadinanze nel diritto dell’integrazione europea

In quella principale estrinsecazione del diritto dell’integrazione europea che è rappresentata dall’Unione e dalla Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali si è dunque prestata particolare

20 Decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (oltre, alla fine del par. 5).

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attenzione alla persona, nella prospettiva della varietà di discipline che la riguardino in termini tanto di diritto pubblico quanto di diritto privato. La «teorica della cittadinanza dal punto di vista del diritto internazionale»21 non è ovviamente estranea a tale centralità (Nascimebene 2013, pp. 9 sgg.).22

Gli Stati membri dell’Unione Europea si sono «[d]ecisi ad istituire una cittadinanza comune ai cittadini dei loro Paesi» (considerando 10 pream-bolo TUE) nell’ambito del «processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini» (art. 1 co. 2 TUE). Ciascun ordinamento nazionale di tali Stati qualifica il proprio status

civitatis – anche modulandolo a fronte della disciplina dell’Unione23 – sulla base di criteri che determinano tale «massimo “attacco sociale”» (Con-forti 2013a, p. 241). Gli artt. 9 TUE e 20 TFUE, ripetendosi letteralmente e riprendendo identica formulazione del Trattato CE (art. 17), fondano la «cittadinanza dell’Unione» e definiscono «cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro»: cosicché tale cittadinanza co-stituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non la soco-stituisce (Draetta 2009, par. 68). Alla cittadinanza dell’Unione si estende anche la disciplina della Carta dei diritti fondamentali, puntualmente agli artt. 39 e seguenti (Gianniti 2013).

Quanto specificamente al diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, ne va ad esempio rimarcata attuazione e approfondimento ad opera della direttiva n. 2004/38 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, intervenuta a modificare e consolidare varia disciplina precedente (Rinol-di 2010, par. 2): essa prende atto del fatto che il (Rinol-diritto (Rinol-di circolare non può essere pienamente realizzato senza tener conto delle necessità familiari del cittadino dell’Unione, necessità in riferimento alle quali deve disporsi appropriata disciplina. Così l’atto sopraddetto fornisce la definizione di

21 Vedi supra, par. 3, nel testo tra gli esponenti di note 20 e 21.

22 Del resto la «persona umana» è valorizzata, sul piano del diritto internazionale più am-piamente inteso, dall’«emergere sempre più evidente nell’ambito della Comunità [internazio-nale] in origine rigorosamente interstatuale, di interessi individuali, a livello collettivo, che provoca gradualmente il superamento del tradizionale concetto di sovranità, nella ricerca di modalità di gestione e tutela di detti interessi collettivi tali da garantire effettivamente una fruizione comune e sostenibile al di là della contrapposizione tipica tra ambiti assoluti ed insuperabili di sovranità statale ed ambiti di libertà […]. In tal modo il diritto interna-zionale, pur disciplinando ancora rapporti tra Stati, ha sempre più per oggetto la tutela dei diritti e degli interessi degli individui»: così Leanza, Caracciolo 2012, pp. XVIII sg. Sul concetto di Comunità internazionale, di cui nella riprodotta citazione si parla, vedi i rinvii contenuti in Rinoldi 1988, par. 1.1 anche per la contrapposizione del termine in questione a quello di Società (internazionale).

23 Vedi la Dichiarazione del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, allegata ai Trattati col n. 63, relativa alla definizione del termine «cittadini».

«familiare», rispetto al quale si organizza il diritto del cittadino dell’Unione di non separarsi a motivo di ostacoli dovuti al transito attraverso le fron-tiere politiche statali. Beninteso, il familiare in questione circola a titolo di tale propria caratteristica e può trattarsi sia di cittadino di Stato terzo rispetto all’Unione, sia di cittadino di Stato membro, ma in quest’ultimo caso l’esercizio della circolazione deriva o, per un verso, direttamente e automaticamente da un diritto conferito dal Trattato ai cittadini dell’Unio-ne; o, per altro verso, dalla qualità di familiare del «cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza» (dunque eserciti una libertà garantita dall’Unione).24

Il fine di fare dell’Unione uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia si articola del resto, più ampiamente, in una serie assai ricca di obiettivi spe-cifici e di relativi poteri d’azione conferiti all’Organizzazione nelle materie indicate dall’art. 67 TFUE e puntualmente precisati nella disposizione di apertura di ciascuno dei quattro titoli che regolano le singole competenze, successivamente alle «disposizioni generali». Va così anzitutto conside-rato che il presupposto per il funzionamento di tale spazio è che tutte le persone possano circolare liberamente e liberamente esercitare le proprie legittime attività nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali. Vie-ne da questo punto di vista in rilievo la competenza dell’UnioVie-ne ai fini di garantire la libera circolazione delle persone entro lo spazio europeo. Tali libertà sono anzitutto riconosciute proprio al cittadino dell’Unione, a colui che – per avere lo status di cittadinanza di uno degli Stati membri – gode dunque, come si sottolineava, anche della cittadinanza europea e dei diritti a essa connessi. Esse, tuttavia, non possono essere considerate patrimo-nio esclusivo del cittadino dell’Upatrimo-nione: proprio le tradizioni dello Stato di diritto, consustanziali all’Unione, impongono che ne possa godere ciascun individuo e, a maggior ragione, colui che si trovi a ottenere accesso a questo spazio comune a motivo di esigenze legittime le più varie; esigenze di natura economica, dovute a motivi personali, ma anche motivate dalla necessità di trovare rifugio da situazioni persecutorie.25

Ciò comporta un primo ordine di conseguenze, capaci di attribuire speci-fiche competenze all’Unione: «che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne» indipendentemente dalla nazionalità (art. 67 n. 2 e 77 n. 1, TFUE), e che l’Unione provveda a «[…] garantire il controllo delle per-sone e la sorveglianza efficace dell’attraversamento delle frontiere esterne; […] [nonché] instaurare progressivamente un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne». Tutto ciò va conseguito tramite misure quali: a) la politica comune dei visti e di altri titoli di soggiorno di breve durata; b) i controlli ai quali sono sottoposte le persone che attraversano le frontiere

24 Vedi art. 3, n. 1, direttiva 2004/38, cit.

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esterne; c) le condizioni alle quali i cittadini dei Paesi terzi possono cir-colare liberamente nell’Unione per un breve periodo; d) qualsiasi misura necessaria per l’istituzione progressiva di un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne; e) l’assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne (art. 77 n. 2, TFUE) (Rinoldi 2010, par. 2).

Ancillare a questo primo ambito di competenze dell’Unione ai fini del conseguimento di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia è quanto com-porta l’adozione di misure in materia di cooperazione giudiziaria civile. Nel Capo 3 del Titolo V della Parte III del TFUE (che si esaurisce in una sola disposizione: l’art. 81 TFUE) si prevede che tale cooperazione «nelle materie civili con implicazioni transnazionali [è] fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali […] [e] può includere l’adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni le-gislative e regolamentari degli Stati membri» (n. 1); misure le quali devono essere indirizzate a garantire: «a) il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali e la loro esecuzione;

b) la notificazione e la comunicazione transnazionali degli atti giudiziari ed

extragiudiziali; c) la compatibilità delle regole applicabili negli Stati mem-bri ai conflitti di leggi e di giurisdizione; d) la cooperazione nell’assunzione dei mezzi di prova; e) un accesso effettivo alla giustizia; f) l’eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati membri; g) lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie; h) un sostegno alla formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari» (art. 81 n. 2, TFUE) (Rinoldi 2010, par. 3).

Peraltro, la permeabilità delle frontiere nazionali interne all’Unione si traduce in una condizione effettiva di libertà se quest’ultima si accompagna alla consapevolezza di vivere e operare in un contesto di legalità: spazio di sicurezza è quello entro il quale le autorità pubbliche, separatamente e congiuntamente, sono in grado di utilizzare gli strumenti legittimi per combattere e limitare l’azione di chi si propone di negare tali libertà o ne abusi;26 e, conseguentemente, entro il quale alle persone viene assicurato un alto livello di protezione. A questo titolo l’Unione si vede così conferite le competenze necessarie a «garantire un livello elevato di sicurezza attra-verso misure di prevenzione e di lotta contro la criminalità, il razzismo e la xenofobia, attraverso misure di coordinamento e cooperazione tra forze di polizia e autorità giudiziarie e altre autorità competenti, nonché tramite il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie penali e, se necessario, il ravvicinamento delle legislazioni penali» (art. 67 n. 3, TFUE).

Questo obiettivo si sviluppa in modo assai articolato, sulla base di due

diversi ambiti di attribuzioni. Il primo ambito (Capo 4) attiene allo svilup-po di una stretta cooperazione fra le autorità giudiziarie penali nazionali, tramite l’operare del principio del mutuo riconoscimento delle sentenze e delle decisioni giudiziarie penali delle diverse autorità nazionali e di un processo di armonizzazione delle legislazioni statali. Le linee d’azione individuate dal TFUE consistono nel: «a) definire norme e procedure per assicurare il riconoscimento in tutta l’Unione di qualsiasi tipo di sentenza e di decisione giudiziaria; b) prevenire e risolvere i conflitti di giurisdizio-ne tra gli Stati membri; c) sostegiurisdizio-nere la formaziogiurisdizio-ne dei magistrati e degli operatori giudiziari; d) facilitare la cooperazione tra le autorità giudiziarie o autorità omologhe degli Stati membri in relazione all’azione penale e all’esecuzione delle decisioni» (art. 82 TFUE).

Il secondo ambito d’azione individuato (nel Capo 5) deve consentire all’Unione si sviluppare «una cooperazione di polizia che associa tutte le autorità competenti degli Stati membri, compresi i servizi di polizia, i servizi delle dogane e altri servizi incaricati dell’applicazione della legge specializzati nel settore della prevenzione o dell’individuazione dei reati e delle relative indagini». Le misure reputate necessarie riguardano: «a) la raccolta, l’archiviazione, il trattamento, l’analisi e lo scambio delle perti-nenti informazioni; b) un sostegno alla formazione del personale e la coo-perazione relativa allo scambio di personale, alle attrezzature e alla ricerca in campo criminologico; c) le tecniche investigative comuni ai fini dell’in-dividuazione di forme gravi di criminalità organizzata» (art. 87 TFUE).

Infine, libertà e sicurezza sono a propria volta garantite se esse si de-clinano in condizioni di giustizia, in uno spazio dunque entro il quale sia assicurato a ciascuno il diritto di rivolgersi ai tribunali e alle autorità di uno Stato membro diverso dal proprio in modo non meno favorevole rispetto ai cittadini nazionali, senza che la complessità e la diversità dei rispettivi ordinamenti giuridici costituiscano un ostacolo all’esercizio e alla tutela dei diritti. In tale spazio i responsabili di azioni e attività criminose non dovrebbero potersi avvantaggiare delle differenze normative esistenti fra i sistemi penali e processual-penalistici nazionali; pur esistendo tali diver-sità, la cooperazione fra le autorità deve poter essere capace di attenuarne gli effetti negativi. Infine, in tale spazio i provvedimenti giudiziari tanto civili quanto penali delle autorità nazionali debbono poter essere rispettati secondo il principio del riconoscimento reciproco.2728

27 Vedi Conclusioni del Consiglio europeo di Tampere, cit.

28 Restano alcune competenze residuali, che risultano consequenziali all’esercizio degli altri poteri d’azione conferiti. Una prima attribuzione attiene alle misure da adottare ai fini di assicurare la «cooperazione amministrativa tra i servizi competenti degli Stati membri […] e fra tali servizi e la Commissione» (artt. 6, lett. g, TUE, e 74 TFUE); una seconda at-tribuzione riguarda il compito dell’Unione di «incentivare e sostenere l’azione degli Stati membri nel campo della prevenzione della criminalità» (art. 84 TFUE). Si tratta di poteri

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Insomma, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il diritto della persona di circolare liberamente e in sicurezza nell’Unione Europea è affermato in via generale in riferimento all’istituzione di uno spazio di liber-tà, sicurezza e giustizia: si tratta di un diritto immediatamente applicabile sulla base dell’unico presupposto di godere della cittadinanza dell’Unione. È invece un obiettivo da approfondire e perfezionare, tramite le politiche dell’Unione, per chi tale cittadinanza non possegga eppure intenda fare ingresso o restare nello spazio europeo.

Ne consegue una disciplina giuridica che comporta diversi regimi: un primo, di portata generale, per i cittadini degli Stati membri; un secondo, di portata particolare, relativo a chi fra questi ultimi usi della libertà di circolazione ai fini dell’esercizio di un’attività economica; un terzo, ancora di portata specifica, per le persone che abbiano cittadinanza di Stati terzi (o che siano apolidi).

Della prima e della seconda questione si occupano le norme che dispon-gono sulla cittadinanza dell’Unione e sui diritti ad essa correlati (artt. 9-11 TUE; artt. 20-25 TFUE), nonché le norme contenute nei Titoli II e IV della Parte Terza TFUE. Della terza questione si occupa il Titolo V della Parte Terza del TFUE, specificamente nel proprio Capo 2 (artt. 77-80) intitolato alle «Politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazio-ne» (Di Stasi 2013, pp. 87 sgg.).

La libera circolazione del cittadino dell’Unione, dunque, pur essendo messa dal TUE in stretta correlazione con l’esistenza di uno spazio eu-ropeo di libertà, sicurezza e giustizia (art. 3, n. 2), non è contemplata specificamente dalle disposizioni che si propongono di attuare tale spazio, benché queste non possano non esservi correlate anche quando si riferi-scono a stranieri (nell’accezione del T.U. italiano sull’immigrazione;29 vedi Rinoldi 2010, par. 2.2). Attiene all’uno e agli altri, ad esempio, l’assenza di controlli alle frontiere interne tra Paesi membri (art. 67 n. 2, TFUE), e attiene all’uno e agli altri la cooperazione giuridica tra Stati membri nelle materie civili (art. 67 TFUE), cooperazione atta a favorire la circolazione di tutte le persone; così come la cooperazione penale e di polizia tra gli stessi Paesi membri (art. 81 TFUE) vuole promuovere la sicurezza di circolazione, secondo criteri di giustizia, di tutte le persone. Anche nel primo dei settori particolari dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (appunto relativo

d’azione esercitati a titolo di competenza «di coordinamento, di sostegno e completamento» rispetto a quella degli Stati membri: a questo titolo l’Unione non può sostituirsi all’azione statale, ma soltanto affiancarsi ad essa, e le è comunque impedito di procedere a un’armo-nizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari nazionali (art. 2, n. 5, TFUE). Nulla di quanto attribuito alla competenza dell’Unione può a qualche titolo sollevare gli Stati membri dalla responsabilità loro incombente ai fini del mantenimento dell’ordine pubblico e della salvaguardia della sicurezza interna (art. 72 TFUE).

alle frontiere), dove meno sembra rilevare la disciplina della cittadinanza dell’Unione a tutto vantaggio di quella concernente i cittadini di Stati terzi, se ne può leggere l’implicazione di ogni persona quando si dispone che «L’Unione sviluppa una politica volta a […] garantire l’assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all’atto dell’attra-versamento delle frontiere interne» (art. 77 n.1, lett. a), TFUE).

La materia della libera circolazione delle persone fisiche si presenta perciò con una compenetrazione di piani che, senza confonderli, vanno apprezzati congiuntamente, tenendo ben presenti a tal fine, fra l’altro, le differenze tra persone beneficiarie di protezione internazionale all’interno dell’Unione (artt. 82 n.1 e 87 n. 1, TFUE) e la sopravvivenza di differenze nella stessa rilevanza dello status civitatis nazionale ai fini dell’applicazio-ne del diritto dell’Uniodell’applicazio-ne, dove ad esempio si ammette che un Paese mem-bro possa espellere il cittadino di un altro Stato memmem-bro,30 diversamente da quanto consentito riguardo ai propri.

Quest’ultimo principio, di diritto internazionale generale, è del resto ribadito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo la qua-le «[n]essuno può essere espulso […] dal territorio dello Stato di cui è cittadino».31 Addirittura tale Convenzione interviene sulla stessa disciplina nazionale di attribuzione dello status civitatis quando ad esempio la Corte di Strasburgo dichiara discriminatorio, ai sensi degli artt. 8 e 14, il rifiuto da parte dello Stato maltese di accordare la nazionalità a chi nasce, fuori dal matrimonio, da padre maltese e madre di altro Stato (nel caso, britan-nica), diversamente da quanto accade in analoga fattispecie allorché sia maltese la madre e di altro Paese il padre32 (Marchadier 2012, pp. 621 sgg.). Sempre dell’art. 14 della Convenzione di salvaguardia in relazione all’art. 8 viene dichiarata, da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uo-mo, la violazione allorché la Slovenia cancella lo status di residenti per-manenti di persone, già cittadine della estinta Repubblica federativa di Jugoslavia e di un suo Stato federato diverso dalla Slovenia, che non aves-sero ottenuto la cittadinanza slovena dopo l’indipendenza.33 Inversamente, la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che la perdita della cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione a seguito dell’acquisto di quella di altro Paese membro comporti, in caso di frode nella procedura di acquisizione di quest’ultima, che la revoca di quella acquisita sia anzitutto

30 Vedi CGCE, 19 gennaio 1999, Calfa. C-348/96, in Racc. I-11 sgg.

31 Art. 3, par. 1, del Protocollo n. 4. Parallelamente «[n]essuno può essere privato del diritto di entrare nel territorio dello Stato di cui è cittadino» (art. ult. cit., par. 2).

32 Vedi Corte EDU 11 ottobre 2011, ricorso n. 53124/09, Genovese c. Malta.

33 Vedi Corte EDU 26 giugno 2012, ricorso n. 26282/08, Kurić e altri c. Slovenia. Viene in tal caso adottata la procedura della cosiddetta ‘sentenza pilota’ (di cui all’art. 61 del rego-lamento di procedura della Corte con riferimento all’art. 46 della Convenzione).

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oggetto di valutazione alla luce del diritto dell’Unione, a motivo dell’au-tomaticamente connessa perdita pure della stessa cittadinanza europea. E il relativo status di apolidia derivante dev’essere oggetto di valutazione sempre alla luce del diritto dell’Unione dal punto di vista dell’esame della sua proporzionalità in ordine alle conseguenze che ciò comporti sia per il diretto interessato sia per i suoi familiari.34

Se ambedue questi casi, venuti in considerazione davanti alle due Corti europee, di Strasburgo e del Lussemburgo, pongono questioni dal punto di vista della cittadinanza federale (di uno Stato estinto il primo, di uno Stato… in divenire il secondo), non può non cogliersi la sollecitazione deri-vante per il nostro discorso dalla vicenda sorta in Slovenia con riguardo a un ‘attacco’ al territorio, da parte dell’individuo, diverso dalla cittadinanza e ugualmente, o forse più, significativo.